EMANUELE
Per il giovane Emanuele il gioco del calcio non era solo uno sport. Il calcio era per lui un modo di uscire dalla sua vita fatta di violenza e prevaricazione. Fin da giovanissimo la vita di Emanuele era stata permeata di violenza, soprattutto di quella violenza fine a se stessa, realizzata su persone deboli come bambini, donne e anziani. Lui viveva in un quartiere di Milano rinomato per gli atti delinquenziali che le band facevano quasi quotidianamente. Qui o appartenevi ad una fazione oppure non sopravvivevi. Anche Emanuele apparteneva ad una banda, ora le chiamerebbero: le baby band, e fu in quel quartiere che all’età di otto anni i membri di una banda rivale lo presero e lo picchiarono a sangue e se per caso un adulto non fosse passato di li sarebbe morto sotto i colpi di quei teppisti. Quelle botte gli lasciarono i segni profondi, oltre che sulla pelle incisero nella sua profonda psiche e lui, quei segni, li riportava in ogni sua esperienza. Anche nel calcio Emanuele trascinava il suo vissuto, il suo malessere e la sua violenza repressa e subita. Lui era, diciamo, un po’ troppo deciso e grintoso nel suo gioco, soprattutto quando doveva entrare in contrasto con qualche avversario.
In qualsiasi situazione si trovasse ad affrontare la sua soluzione era la stessa: aggredire in modo violento ed immediato senza pensarci molto. Il suo mondo era conosciuto da tutti e tutti gli stavano lontano. Lui aveva comunque sviluppato un concetto di gruppo molto forte ed all’interno della squadra era ben voluto dai suoi compagni che lui a sua volta proteggeva da tutto e da tutti. Era un gruppo coeso e molto unito quella selezione dell’A.C. Milan dei nati nel 1984, (esordienti regionali quell’anno) e tutti insieme facevano “paura” sul campo. Ricordo una partita a Varese:
dopo venti minuti era già 2 a 0 per noi, due tiri di Emanuele da fuori area, due gol bellissimi. Gli avversari erano in “trance” non ci capivano nulla di quello che stava succedendo in campo e noi stavamo dominando alla grande. Ad un certo punto l’arbitro, che per la cronaca era un dirigente loro, inizia a dare i numeri e a fare il “cinema” come si dice in gergo; morale: ci fischia contro due rigori nel giro di cinque minuti e ci manda fuori un giocatore per doppia ammonizione. A questo punto, sul due a due, personalmente oltre a far fatica a stare zitto e fermo,(me lo sarei mangiato quel galantuomo) faccio fatica anche a gestire il gruppo e soprattutto Emanuele che sta puntando l’arbitro correndogli vicino, troppo vicino e con un fare minaccioso. Il ragazzo ha dodici anni ma fisicamente sembra più grande ed accortosi di essere alto quanto l’arbitro lo va a cercare e, e, e accidenti mi accorgo che sta cercando il contatto fisico con il direttore di gara. Lo vedo gli è vicino, urlo come un dannato il suo nome, ma lui non mi sente o meglio fa finta di non sentire, urlo e corro in campo gli sono vicino lui si ferma e mi guarda negli occhi e facendo finta di nulla mi chiede: “che c’è mister?” a questo punto anche l’arbitro si è fermato e mi vede in mezzo al campo mentre sto correndo dietro a lui e ad Emanuele. L’arbitro fermandosi di colpo inciampa, barcolla,perde l’equilibrio ma dopo alcuni passi fuori asse riprende la sua corsa e cercando di capire cosa sta succedendo si gira verso di me e anche lui mi chiede: “si mister che c’è?”. Sono li in mezzo al campo e non so cosa rispondere con tutti gli occhi di tutti i partecipanti all’evento addosso e dalla tribuna si distingue una voce: “ma vai a sederti in panchina buffone!” Emanuele fa finta di nulla e se ne va correndo, l’arbitro mi guarda mi sorride con un ghigno e quasi sfottendomi mi dice: “si vada a sedere altrimenti la sbatto fuori!” Non so se prendermela con l’arbitro o urlare contro Emanuele, nell’incertezza me ne sto zitto e mesto me ne ritorno in panchina dove mi siedo e sto zitto fino alla fine della partita.
La partita la vincemmo quattro a due!
Sono passati quattordici anni è domenica pomeriggio e sono al campo sportivo di via Cilea, ora alleno le giovanili dell’F.C.Internazionale e tra un’ora giocheremo contro il Legnano. Sono un poco soprappensiero. Sto pensando che non mi piace giocare con il brutto tempo, sta piovendo infatti e la temperatura è bassa ci sono tre o quattro gradi. Mi pesa il pensiero dell’inverno e del lungo anno sportivo. L’estate, al contrario, è la mia stagione ideale. Sole, caldo e libertà. Quella appena trascorsa è stata magnifica. Per la prima volta ero andato al mare con la mia famiglia, ma come tutte le cose belle è passata in fretta, ma la sensazione che mi è rimasta dentro è bellissima. È strano come questi pensieri ti vengano nei momenti più impensati e tutto nella nostra testa venga collegato e ricordato a prescindere dalla nostra volontà.Come provenisse da molto lontano sento il mio cognome ripetuto più volte. Mi scuoto e prontamente mi giro verso la fonte sonora. Davanti a me un uomo si sbraccia facendomi segno di avvicinarmi. Ma chi è? Mi chiedo. Mi guardo attorno. Sono li all’entrata con tanta gente in piedi che verosimilmente aspetta di entrare nel proprio spogliatoio, ed è distratta da quel signore che continua a rivolgersi a me gesticolando. Mi avvicino stupito.“Ancora attaccato ai vecchi ricordi”, dice, “capita quando si è avuto una vita piena e intensa. Mister ma non si ricorda di me sono EMANUELE!”. Io sono un po’ frastornato, e non so cosa dire. Vorrei dirgli: certo che mi ricordo di lui e che non era per niente facile sbarazzarsi di quello che sento dentro in questo momento, certe cose rimangono appiccicate addosso e sinceramente non mi sento ancora pronto ad abbandonare tutto quanto. Emanuele continuava a guardarmi fisso negli occhi e capisco subito che con lui si deve passare ai fatti: “Emanuele quanto tempo!” ci abbracciamo e ci stringiamo forte per alcuni secondi. Io poso a terra la mia borsa, lui posa a terra la sua e con dentro entrambi tutto il nostro passato ci avviamo verso gli spogliatoi felici di esserci ancora per un attimo incontrati.
EMANUELE
Emanuele ha smesso di giocare a vent’anni, giocava in C2 e faceva il professionista, dopo un fatto di cronaca successogli nei pressi di Milano. Riporto qui sotto il suo racconto, con la sua verità che mi fece quel giorno dopo che io gli chiesi che stava facendo nella vita e se stava ancora giocando a calcio:
“ Mister era una sera dopo l’allenamento stavo tornando a casa in macchina guidava un mio compagno di squadra, quando una moto con su due balordi si è avvicinata e uno di loro ci ha sparato. Al mio amico l’han colpito sulla spalla e a me sulla coscia. Mister un dolore incredibile e sangue da tutte le parti. Pensi siamo andati all’ospedale da soli senza nessun aiuto e Li ho finito la mia carriera mister.Meno male che il proiettile è uscito dalla coscia senza danneggiare tutto il muscolo. Sono stato ricoverato in ospedale per un mese e non so ancora adesso chi devo “ringraziare” per quel che è successo! Comunque adesso mi diverto con dei miei amici e gioco in terza categoria”.
Questo il suo racconto, questa la sua verità. Non ho voluto indagare sui fatti sono solo contento che Emanuele sia ancora, ogni tanto su un campo da calcio e per alcuni pomeriggi lontano dal suo mondo violento.
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