27 giugno 2007

DAL NOTIZIARIO DEL SETTORE TECNICO

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Dal "Notiziario del Settore Tecnico"L'ALTRA FACCIA DEL PALLONE:DALLA PARTE DEI BAMBINIdiProf. Leonardo Vecchiet, Dott. Luca Gatteschi, Dott. M.Grazia Rubenni
Negli ultimi decenni nei paesi industrializzati si sono avute modificazioni dello stile di vita che hanno riguardato in particolare le abitudini alimentari e l'attività fisica. Nel primo caso, sia per la sempre più vasta proposta delle industrie alimentari che per la riduzione della disponibilità oraria nelle famiglie legata agli impegni di lavoro, si é avuta una sempre maggiore diffusione di alimenti di facile preparazione o di pronto utilizzo, che risultano spesso ad elevato contenuto in grassi. Nel secondo caso, lo stile di vita ha teso sempre più verso la sedentarietà grazie alla diffusione di TV e computer e alla mancanza, soprattutto nelle grandi città, di spazi destinati allo svolgimento di attività fisiche di tipo ricreati vo. L'aumento dell'apporto calorico da un lato e la riduzione della spesa energetica dall'altro hanno coinvolto tutte le età, e i loro effetti possono essere visti sia negli adulti che nei ragazzi. La prevalenza dell'obesità e di quella che viene chiamata sindrome metabolica, cioè quell'insieme di fattori di rischio cardiovascolari rappresentati da ipertensione arteriosa, ipertrigliceridemia, bassi valori di colesterolo HDL, anomalie del metabolismo dei glucosio ed iperinsulinemia, é andata infatti fortemente aumentando. Ciò ha portato molti paesi interessati dal fenomeno, fra cui in primo luogo gli Stati Uniti, ad avviare strategie di prevenzione incentrate essenzialmente sull'educazione alimentare. Studi recenti indicano però che nonostante la riduzione dell'introito alimentare di grassi avvenuta nell'ultimo decennio, negli Stati Uniti circa il 25% dei bambini risulta obeso, con un incremento del 20% nell'ultima decade (Bar Or et al. 1998). Ciò ha portato a ritenere quale causa principale dell'aumento dei livelli di obesità tra i bambini il ridotto livello di attività fisica (Bar-Or, 1999; Goran, 1999; Luepker, 1999; Rossner 1998). Il problema dell'obesità infantile é molto sentito, anche perché molti bambini obesi diventeranno adulti obesi, con elevati fattori di rischio per insorgenza di stati patologici e bassa qualità di vita (Rossner 1998). Così, l'associazione tra aumento di peso nell'adolescenza e la comparsa di sindrome metabolica in età adulta é più che rilevante (Vanhala 1999). Allo stesso tempo, recenti studi sembrano riaffermare un ruolo importante per l'attività fisica nel controllo del peso corporeo. Tra questi, la segnalazione che un approccio basato solo sull'intervento nutrizionale non é sufficiente per il trattamento a lungo termine dell'obesità pediatrica (Pinelli et al.1999), e che negli Stati Uniti si assiste ad un ulteriore incremento dell'obesità infantile nonostante una riduzione dell'introito alimentare di grassi (Bar Or et al. 1998). Il gioco del calcio si distingue da altre attività sportive organizzate per la facilità di pratica (diffusione delle strutture) nonché per l'assenza di un biotipo caratteristico che può determinare una stretta selezione iniziale. Nel 1991 la Sezione Medica del Settore Tecnico ha iniziato una ricerca contraddistinta da due obiettivi [linee] principali: il primo, definire le caratteristiche antropometriche e fisiologiche del bambino praticante calcio nella fascia di età 8-12 anni ed a confrontarle con quelle di coetanei non praticanti attività sportiva; il secondo, seguire per cinque anni entrambi questi gruppi di soggetti in modo da valutare l'influenza della pratica del calcio sulle curve di sviluppo delle suddette caratteristiche anatomo-funzionali nella fascia 8-17 anni. I partecipanti allo studio sono stati sottoposti ad una serie di tappe schematizzate in figura 1. Sono state complessivamente effettuate 926 visite, per un range di età 8-17 anni. Una prima analisi di tipo trasversale, in cui sono quindi entrati tutti i dati raccolti, delle caratteristiche antropometriche ha mostrato che i due gruppi (calciatori e controlli) erano praticamente sovrapponibili in tutte le fasce di età per quanto riguarda il para- metro altezza, mentre il gruppo dei calciatori mostrava valori statisticamente inferiori sia di peso (nelle fasce di età 10-14 anni) che di massa grassa (nelle fasce di età IO- 17). Inoltre, una valutazione preliminare dei questionari alimentari ha mostrato che il gruppo dei calciatori presentava un introito energetico lievemente superiore a quello dei sedentari, per cui le differenze osservate non potevano essere ascritte ad un minore introito calorico. Questi primi dati sembrano quindi indicare una influenza positiva della pratica del calcio, anche con frequenza solo bisettimanale, sui parametri di composizione corporea. Anche se sarà necessaria una analisi più approfondita prima di giungere a conclusioni in merito ai meccanismi di tale influenza, si possono porre almeno due ipotesi:1)il fatto, emerso dalla valutazione dei questionari riguardo l'attività fisica svolta, che i ragazzi praticanti calcio presentavano anche un livello di ulteriore attività fisica "spontanea" superiore a quello dei controlli;2)Ia presenza di una maggiore educazione e consapevolezza alimentare nell'ambiente anche non strettamente tecnico circostante i giovani calciatori, con conseguente maggiore attenzione rivolta sia dalle famiglie che dai bambini stessi nei confronti delle scelte alimentari.In questa ottica, il gioco del calcio può rivestire un importante ruolo sociale attraverso una duplice azione: la prima diretta, di miglioramento del benessere psico-fisico dovuto alla pratica sportiva in se; la seconda indiretta di intervento in senso positivo sulle abitudini di vita, sia mediante l'incremento dell'attività fisica spontanea che l'adozione di più corrette abitudini alimentari. Questa seconda azione risulta ancora più importante in considerazione del dato che solo gli interventi capaci di modificare le abitudini di vita sembrano rivelarsi efficaci nel trattamento a lungo termine dell'obesità infantile.
Fig.1 Schema generale ricerca Coverciano
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L'ALLENAMENTO SITUAZIONALE

1. Allenare: Crescere insieme divertendosi


Vorremmo proporre un metodo che affronti, in modo adeguato, le problematiche di carattere tecnico - tattico, fisiche e psicologiche del gioco del calcio. Questa proposta vuole essere un aiuto per la pianificazione, l’organizzazione e la valutazione di un insegnamento “responsabile” ed efficace a corto e a lungo termine. Essa si basa su importanti rilevazioni fatte in materia di teoria della didattica dello sport, teoria dell’allenamento, psicologia sportiva.

Allenare: crescere insieme divertendosi è la frase che ispira il nostro lavoro di istruttori.
Allenare vuol dire crescere perché si ampliano le proprie conoscenze ed esperienze, ci si confronta con altri, si imparano a capire i bisogni e i sentimenti degli altri ( infatti per l’allenatore l’empatia è una dote fondamentale; per i bambini non è solo un fatto di imparare tutte le abilità del calcio, ma anche sviluppare fisico e personalità in modo armonioso seguendo le fasi sensibili per ogni età ).
Insieme perché l’allenamento non si fa da soli, deve essere di tutto il gruppo, non solo dell’allenatore: tutti devono essere coinvolti ed hanno il diritto - dovere di proporre, scegliere, valutare. L’allenatore deve comunque essere la guida autorevole del gruppo.
Divertendosi perché è un bisogno di tutti ed è quello che si avvicina ad uno sport.
Abbiamo quindi fissato alcuni principi fondamentali:

Comunicare: un istruttore deve esprimersi in modo semplice e facilmente comprensibile, deve essere sintetico e deve soprattutto sapere ascoltare: solo così può riuscire davvero ad avere un dialogo aperto con i suoi allievi, a renderli partecipi e a trasmettere loro il suo entusiasmo.

Rapporti con i ragazzi: un istruttore deve instaurare un rapporto di reciproco rispetto, aperto, deve essere autorevole non autoritario, deve saper capire e mettersi al livello dei suoi allievi, deve essere inoltre pronto ad imparare da loro. Il Prof. Bonfanti afferma categoricamente “ L’allenatore ed il giovane calciatore hanno molto da dare e da ricevere, sempre che l’adulto sia pronto anche a ricevere, perché, se non lo è, finisce per non aver nulla neanche da dare “.
Il Prof. Leali, affermando l’importanza della figura dell’allenatore nella formazione e nella maturazione umana del giovane calciatore, aggiunge che l’istruttore deve “ avere sempre un comportamento moralmente esemplare non solo nell’esercizio della sua funzione sportive, ma anche nella vita privata. I principi morali che egli tenta di trasmettere, se non si rispecchiano nel suo comportamento, non potranno esercitare un’influenza positiva sugli allievi, che, anzi, si sentiranno autorizzati a disattenderli, dal momento che l’istruttore stesso non li segue “.
Per un corretto apprendimento è necessario un istruttore capace ed un allievo disposto ad imparare, se una delle due componenti manca l’apprendimento è impossibile così come se viene a mancare un rapporto di reciproca fiducia. L’istruttore deve cioè essere dotato di qualità non solo tecniche: deve saper comprendere i giovani e sapersi immedesimare nei loro problemi, aiutarli a crescere anche sul piano psicologico e sociale.

Gruppo: perché i ragazzi possano apprendere è fondamentale che tra loro si trovino bene, devono poter parlare, scherzare, divertirsi insieme: è compito dell’istruttore creare un ambiente idoneo alla nascita e allo sviluppo di legami interpersonali e soprattutto cercare ed eliminare eventuali fattori disgreganti.