04 giugno 2010

10000 ORE PER ECCELLERE

Ultimamente mi sono imbattuto in una “perla”: l’intervento, all’AIGA, di Malcom Gladwell sulla storia dei Fleetwood Mac. Lo so, sembra ironico e poco attinente ad un blog fotografico. E infatti, per certi versi, anche il modo presentare di Gladwell fa sorridere. Malcom è un cronista del Washington Post nonchè autore di libri arguti. La sua ultima fatica si chiama “Outliers” e racconta della vita di diversi personaggi diventati famosi e della parabola del loro successo:
…In the case of Outliers, the book grew out a frustration I found myself having with the way we explain the careers of really successful people…
Una “chiave” che, secondo l’autore, ha a che fare con un assioma, recentemente dimostrato con poche eccezioni da un gruppo di psicologi: la regola delle 10.000 ore. Sembra che servano infatti 10 anni (10.000 ore a 4 ore al giorno, 4 ore di dedizione) per riuscire a diventare dei maestri in qualsiasi campo, sia esso artistico che tecnico/scientifico:
“… it says that any kind of complex cognitive task takes 10,000 hours of deliberate practice to master and it’s — what’s extraordinary about this rule, the 10,000-Hour rule, is that it seems to apply to virtually everything that’s complicated.”
A meno che non si sia dotati di un tipo di creatività “esplosiva”, quella di cui era dotato, ad esempio Picasso, il cosiddetto “conceptual innovator”:
“… a man, who over the course of his career, is possessed by a series of truly revolutionary ideas, which he expresses in his art immediately…“
Ai Fleetwood Mac sono serviti 10 anni e 15 album prima di produrre un lavoro che ha avuto un successo enorme, “Rumors”. Mozart, che ha iniziato da bambino prodigio a 11 anni ha scritto la sua prima opera rilevante a 22 (il concerto n. 9, K 271). Cezanne, che per Gladwell è l’archetipo dei creativi “lenti”, ha iniziato a produrre opere rilevanti a circa cinquanta anni. Il famoso matematico Andrew Wiles ha impiegato dieci anni per dimostrare il teorema di Fermat. In un certo qual modo le tesi di Malcom sono “consolatorie”: i “creativi lenti”, gli “experimental innovator”, sono la maggior parte di noi. In un certo qual modo però la nostra società è antitetica a questi processi creativi…. Se non sei subito GENIALE, se non hai successo con il primo hit non sei nessuno. E questo, indubbiamente, causa un generale impoverimento della qualità delle cose che si producono, in un generale mordi-e-fuggi che assomiglia tanto ai ritmi frenetici di Internet (dei quali parlo qui), alla difficoltà di intavolare una discussione ragionata e “lenta” (di cui parlo qui).La cosa interessante è che il tempo non passa invano. Si matura, si riflette e le cose, lentamente assumono contorni più definiti. Ma fa anche “male”. Si diventa più esigenti, si va più facilmente in stallo, a volte forse ci si blocca… Il che è, in effetti, contro la regola delle 10000 ore. I blocchi creano ritardi…. Un’idea interessante la suggerisce Brooks Jensen (editor di Lenswork) che, dal 1986, ha istituito l’autodisciplina del “100 Prints Project“. Consiste nel produrre una fotografia ogni tre giorni, una buona fotografia:
“By commiting myself to post a new image every third day for a year, I hope to push myself to create 100 new images. “Artistic discipline” is a bit of an oxymoron, but being an artist and not producing work is just plain moronic”.
Resta da settare il “T0” delle nostre 10.000 ore. E contare, lentamente, da lì…

CONVEGNO A SAN PATRIGNANO