18 marzo 2009

MARCO

MARCO
ho la sua CARTELLA CLINICA tra le mani la apro e la leggo:
“Marco ha cinque anni. Nella sua giovane vita ha instaurato rapporti affettivi solo con una persona, che lo accudisce, una suora. Il bambino non ha genitori, lo hanno abbandonato appena nato al befotrofio. Questa reiezione parentale ha causato in lui disturbi psichici irreparabili. Il mio consiglio è di internarlo in un ospedale psichiatrico perchè considerato pericoloso per sé e per gli altri”. Questa breve relazione venne stilata da un povero medico subito dopo che Marco lo aggredì mordendogli una mano che cercava, solo, di accarezzarlo. Marco in quell'ospedale, continuando la lettura della sua cartella clinica, era spesso colto da crisi in cui manifestava azioni autolesionistiche, in parole povere si colpiva in viso con pugni, si graffiava su tutto il corpo e si mordeva le braccia e le mani. Un quadro psichico devastante! All'età di dieci anni Marco viene mandato, finalmente commento io, in questo centro di assistenza della prima infanzia dove vive tutt'ora (adesso ha quindici anni) e dove io l'ho conosciuto. La commissione di medici specialistici che si occupa di questi casi particolari ha deciso di far fare a Marco un'esperienza con il gruppo dell'istituto che ogni settimana gioca a calcio e dove io presto la mia opera come volontario ed esperto della disciplina. È un giovedì mattina quando Il medico, responsabile dell'equipe che lo segue, mi presenta per la prima volta Marco. Siamo già tutti sul campo quando ci raggiunge tenendo per mano questo bambino che a prima vista si presenta goffo e impacciato, cammina in precario equilibrio tenendo le braccia lungo i fianchi quasi cercasse di occupare meno spazio possibile. Vengono verso di me il dottore mi saluta e dice su di lui queste parole: “Marco è un soggetto affetto da gravissima patologia relazionale, il suo livello intellettivo è basso, si esprime con un linguaggio notevolmente ridotto ed è accompagnato da un evidente impaccio motorio. Possiede un carattere molto fragile ed è soggetto a crisi che lo portano ad essere aggressivo e violento nei confronti di sé e degli altri, insomma prof. sarà dura fargli fare qualcosa, le abbiamo tentate tutte proviamo anche con il calcio, chissà che questo gioco non gli...smuova qualcosa dentro. Un Particolare importante: segue dalla finestra della sua camera le vostre partite tutti i giovedì”. Speriamo sia utile per lui e non crei molti problemi a noi penso egoisticamente e chiamo tutti attorno a me per iniziare l'allenamento. Iniziamo! Primo problema non vuole partecipare! Dopo mezzora però, passata nell'immobilità assoluta guardando gli altri a fare esercizi e giochi, vedo che si muove e va verso la sacca dei palloni. Lo raggiungo e lui quasi spaventato si ferma. Prendo un pallone e glielo porgo, lo prende e si allontana con la palla tra le mani. Nel mentre gli educatori hanno già iniziato ad organizzare la partitella finale, quella che rende tutti più partecipi e crea entusiasmo nel gruppo. Mi avvicino ancora a Marco e gli chiedo se vuol partecipare. Mi guarda e lasciando cadere la palla si dirige verso il cerchio di centro campo. Tutti lo guardiamo e tutti ci chiediamo: “che vorrà fare?”. Lui rapidamente si avvicina alla palla, se ne impossessa con i piedi e con un dominio inaspettato della stessa si dirige verso una porta. Abbiamo capito vuole fare gol, vuole farla entrare in rete! Ma tutti noi, e lui, non abbiamo fatto i conti con il Guglie il difensore più duro ed arcigno della nostra squadra che vedendo un giocatore in possesso della palla che si sta involando verso la sua porta lo ferma con un takle all'inglese, portandogli via la palla e ripartendo in contropiede. Il Guglie (Guglielmo) e un ragazzone di diciassette anni ha un grave ritardo mentale che lo rende un bambinone in tutte le sue esternazioni sia in positivo che in negativo. Ma mentre il Guglie vola verso la gloria del gol, Il Marco rimane impietrito li dove è stato realizzato il “misfatto”cioè dove gli hanno rubato la palla, ma dopo alcuni secondi inizia a gridare e a rincorrere il Guglie e a questo punto partiamo tutti alla rincorsa del Marco che rincorre il Guglie! La scena è grottesca tutti rincorrono qualcuno. La velocità di traslocazione del Marco è impressionante in un attimo è sul Guglie il quale visto e sentito tutto il frastuono si è fermato e aspetta il Marco con la palla in mano. A questo punto Marco si ferma, io mi fermo, gli educatori e tutti gli altri ragazzi si fermano. Tutto si ferma e nessuno parla. Ho l'impressione di essere sull'orlo di un baratro dove cadremo tutti. Ma è lui stesso, il Marco, che sblocca la situazione sussurrando al Guglie: “PALLA MIA!” il Guglie che è abbastanza intimorito da tutto l'accaduto gli porge la palla senza opporre resistenza, il Marco la mette a terra e guidandola corre verso la porta dove si stava dirigendo il Guglie e con un tiro di punta del piede fa gol! Ci guardiamo in faccia io e gli educatori più commossi che sorpresi e continuando ad osservare lo spettacolo restiamo li in mezzo al campo quasi inebetiti. Marco sta correndo con le braccia aperte e alzate per tutto il campo urlando: “GOL GOL GOL”. A questo punto ci facciamo tirrare dentro dall'entusiasmo ci scateniamo tutti: ridiamo, saltiamo, battiamo le mani e anche noi gridiamo gol, gol, gol! Sono lì in mezzo al campo guardo questo ragazzo che corre, mi commuovo e vorrei urlargli:
“Corri, corri Marco che hai fatto gol!Corri e fuggi dal befotrofio, corri efuggi dagli ospedali psichiatrici, corri e fuggi dalla tua violenza, corri e fuggi dalla paura della solitudine.
Con un gol Marco Corri verso la tua normalità”.

15 marzo 2009

IL CALCIO E' POESIA?

Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del «goal». Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno. In questo momento lo è Savoldi. Il calcio che esprime più goals è il calcio più poetico.
Anche il «dribbling» è di per sé poetico (anche se non «sempre» come l’azione del goal). Infatti il sogno di ogni giocatore (condiviso da ogni spettatore) è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare. Se, entro i limiti consentiti, si può immaginare nel calcio una cosa sublime, è proprio questa. Ma non succede mai. E un sogno (che ho visto realizzato solo nei Maghi del pallone da Franco Franchi, che, sia pure a livello brado, è riuscito a essere perfettamente onirico).
Chi sono i migliori «dribblatori» del mondo e i migliori facitori di goals? I brasiliani. Dunque il loro calcio è un calcio di poesia: ed esso è infatti tutto impostato sul dribbling e sul goal.
Il catenaccio e la triangolazione (che Brera chiama geometria) è un calcio di prosa: esso è infatti basato sulla sintassi, ossia sul gioco collettivo e organizzato: cioè sull’esecuzione ragionata del codice. Il suo solo momento poetico è il contropiede, con l’annesso «goal» (che, come abbiamo visto, non può che essere poetico). Insomma, il momento poetico del calcio sembra essere (come sempre) il momento individualistico (dribbling e goal; o passaggio ispirato)..
. Il calcio in prosa è quello del cosiddetto sistema (il calcio europeo)
Il «goal», in questo schema, è affidato alla «conclusione», possibilmente di un «poeta realistico» come Riva, ma deve derivare da una organizzazione di gioco collettivo, fondato da una serie di passaggi «geometrici» eseguiti secondo le regole del codice (Rivera in questo è perfetto: a Brera non piace perché si tratta di una perfezione un po’ estetizzante, e non realistica, come nei centrocampisti inglesi o tedeschi).
Il calcio in poesia è quello del calcio latino-americano. Schema che per essere realizzato deve richiedere una capacità mostruosa di dribblare (cosa che in Europa è snobbata in nome della «prosa collettiva»): e il goal può essere inventato da chiunque e da qualunque posizione. Se dribbling e goal sono i momenti individualistici-poetici del calcio, ecco quindi che il calcio brasiliano è un calcio di poesia. Senza far distinzione di valore, ma in senso puramente tecnico, in Messico [Olimpiadi 1968] è stata la prosa estetizzante italiana a essere battuta dalla poesia brasiliana.
PIER PAOLO PASOLINI