10 dicembre 2009

LA NOSTRA PIU' GRANDE PAURA

Settembre 13, 2007 in Mandela, libertà, paure
La nostra paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda,
è di essere potenti oltre ogni limite.
E’ la nostra luce, non la nostra ombra,
a spaventarci di più.
Ci domandiamo: ” Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? “
In realtà chi sei tu per NON esserlo?
Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo,
non serve al mondo.
Non c’è nulla di illuminato
nello sminuire se stessi cosicchè gli altri
non si sentano insicuri intorno a noi.
Siamo tutti nati per risplendere,
come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria di Dio che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.
Nelson Mandela

08 dicembre 2009

LA SQUADRA DELL'ORATORIO

LA SQUADRA DELL’ORATORIO
BARBAJANNA è sempre stata una fucina di buoni calciatori. Purtroppo, non essendo comune, (Barbajanna è una frazione nel comune di Leinà), per molte gare non godeva di certe “agevolazioni” soprattutto durante le competizioni eliminatorie che preludevano alle finali in campo provinciale. Noi si doveva fare le qualificazioni delle qualificazione per poter poi partecipare al torneo di qualificazione al torneo vero(non era giusto si diceva nello spogliatoio). In quegli anni, siamo nei favolosi anni sessanta, eravamo infatti costretti ad imporci sui numerosi e forti atleti di Leinà prima di passare a qualsiasi torneo locale. La nostra era una sparuta squadra, quattordici elementi di dieci e undici anni, tutti con un’unica passione il gioco del calcio. Eravamo la mitica squadra dell’oratorio, un gruppo di scalmanati giovinastri che colpiva tutto ciò che si muoveva e rotolava all’interno del campo di gioco. Per molto tempo dell’anno, avendo l’Angelo Danelli il contadino padrone del campo da calcio, seminato a granturco il campo stesso, eravamo costretti a svolgere i nostri allenamenti nel cortile adiacente alla chiesa, dove ogni scivolata sul terreno di gioco ci procurava ustioni di secondo e terzo grado. Ci allenavamo con la presenza di un commissario (nel vero senso della parola) , l’Argia (il nostro allenatore) era un commissario delle ferrovie dello stato, che ci spronava con parole gentili del tipo: “siete delle rape e cavar sangue da voi è impossibile!Bestie da soma, non valete niente!” per cui le nostre prestazioni sollecitate da così tanto acume psicologico a volte ne risentivano. Ma bastava sentire l’odore delle maglie sudate e il rumore dei tacchetti con i chiodi sul terreno da gioco per scatenarci e iniziar a menar calci a destra e a sinistra! Ci temevano tutti. Vincevamo quasi tutte le partite il nostro motto era: “Si vince con le buone o con le cattive altrimenti non si vive”. Solo L’Argia, a volte, faceva sì che, utilizzando trucchi da vero MAGO riusciva a farci perdere,e in quei frangenti negli spogliatoi volavano parole di fuoco sull’Argia e su quella santa donna che se l’era sposato.Non avevamo attrezzature e molto spesso dovevamo… arrangiarci, rubando (mi vergogno a dirlo ma lo facevamo) letteralmente palloni, magliette e pantaloncini nei campi ove svolgevamo le partite.Ricordo il… “furto” capolavoro di un pallone di cuoio, perpetrato nel Campo Comunale di Leinà.Il nostro compagno portiere, detto “il portinaio” per le numerose uscite a vuoto e per l’eleganza con cui subiva certe reti, sembrava facesse passare il pallone quasi con un ossequioso inchino si chiamava Rocco. Durante il riscaldamento, tra una sigaretta e l’altra, si fumava lui diceva che lo rilassava e lo riscaldava, calciò volutamente l’attrezzo al di là del muro di cinta del campo. Li attendeva Angelino, detto Arsenio per la sua capacità di rapinare in area di rigore tempo e spazio agli avversari, qualità che riusciva a trasportare anche nella sua vita di tutti i giorni. Questo rapido centrocampista di quantità, raccattava furtivamente il pallone e fuggiva come un fulmine verso la macchina dell’ignaro Argia, che impegnato nello studio di tattiche perdenti si ritrovava complice di un furto. Di solito “Arsenio” nascondeva nel portabagagli il pallone rubato e precisamente nella reticella portaoggetti e poi tornava a riscaldarsi con noi. Non essendo degli stupidi i dirigenti del Leinà si accorsero della nostra bravata e comprendendo il nostro vero intento, invece di farci punire dal nostro allenatore “commissario”, ci fornirono di attrezzature, il che ci consentì di svolgere la nostra attività per parecchio tempo senza pensare AD ALTRI piani di rifornimento furtivo.
Eravamo dei veri balordi e a questo proposito non posso esimermi dal raccontare un episodio che allora fece epoca, e fece parlare la popolazione dell’intero comune per mesi e mesi sull’argomento: “gioventù bruciata-non ci sono più i giovani di una volta” (frase sempre in bocca a tutti i ben pensanti).Recatici a Rodo per le finali del Torneo degli Oratori, faceva parte della comitiva anche un ragazzo dal nome: Paolone, che vista la sua stazza, la sua mole e la sua proverbiale cattiveria faceva la punta di sfondamento. Si trattava di una “massacratore” di centromediani avversari. Lui non li dribblava i difensori lui li abbatteva passandoci sopra. Con loro non aveva semplici contrasti aveva degli scontri dirompenti. La sua testa era il terminale di un’arma impropria. Una volta diede una testata ad un palo e noi corremmo tutti a sincerarci che IL PALO non fosse stato danneggiato seriamente e si potesse continuare a giocare, Lui non la prese bene questa nostra spiritosaggine e nello spogliatoio ce lo dimostrò prendendoci a frustate con l’asciugamano bagnato, fu terribile. Quel giorno, negli spogliatoi, così, tanto per divertirci, vista l’importanza della partita, incitavamo il nostro compagno a fare di più e meglio ad ogni sua “cortesia”sull’avversario. E quel giorno caricato per bene, Paolone in campo ce la mise tutta rifilando botte da orbi a tutto ciò che gli passava nelle vicinanze. Così verso la metà del secondo tempo, dopo l’ennesimo tentativo di tranciare la tibia del diretto malcapitato avversario, l’arbitro decise di mandarlo fuori, esibendogli sotto il naso il cartellino rosso. Il Paolone non ci vide più e fece vedere a tutti di che era capace. Alla vista del cartellino rosso si trasformò in una bestia e iniziò un irresistibile “sprint”, lasciando di stucco tutti gli altri giocatori, condusse una volata feroce, urlando come una belva ferita, verso la porta avversaria e giungendo li a velocità straordinaria si aggrappò alla rete e iniziò a strapparla con un impeto selvaggio. Dopo aver divelto la rete dai ganci della porta corse di nuovo, questa volta verso il centro del campo, con la rete tra le mani. Si stava dirigendo verso il povero arbitro, che atterrito era immobilizzato anzi direi pietrificato e guardava con rassegnata preoccupazione tutta la scena. Quando il Paolone raggiunse l’arbitro lo avvolse nella rete e buttandolo per terra lo trascinò per una decina di metri. Mancavano i leoni e poi si poteva dire di essere in una arena romana in presenza di gladiatori e vittime da sacrificare. Un vero disastro! Ad un certo punto, a fatica, il Paolone venne da noi immobilizzato e portato fuori dal campo a forza. Lo sforzo fu sovrumano: dovemmo trattenerlo e legarlo con la stessa rete con la quale aveva avvolto l’arbitro e con degli schiaffi in pieno viso cercammo di farlo rinvenire da quella transagonistica bestiale. Nello stesso tempo alcuni di noi dovettero anche tenere sotto controllo l’Argia perché cercava il Paolone e se lo avesse preso lo avrebbe massacrato di botte! Un vero delirio! Ad un tratto la scena mutò: sul campo arrivarono i vari genitori delle squadre presenti al torneo, i quali affermarono che non si poteva accettare tale gesto di maleducazione e di violenza inaudita (bè non avevano tutti i torti): “serviva una punizione esemplare, i giovani vanno educati!” (altra frase conosciuta) così disse uno di loro e così fu!Ci fu la squalifica e la radiazione della nostra squadra da tutti i tornei oratoriani del circondario. Fu squalificato anche l’Argia, considerato a torto, secondo me, responsabile di aver messo su una squadra di delinquenti e di non saperli controllare. A noi parve subito chiaro che il mondo ci stava facendo una (delle tante)grandissima ingiustizia… così, per rivalsa, il giorno dopo la sentenza, comunicata al nostro Don Luigi da un certo Don Lamberto, responsabile dello sport della curia, andammo subito a rubare le bandierine del campo sportivo di Rodo.La nostra squadra, per qualche tempo, dovette subire gli strali, le ingiurie e anche le maledizioni delle altre compagini che ci additarono come picchiatori e scarponi(noi sinceramente ne andavamo fieri). Ma tutto questo non ci demoralizzò noi continuammo per lungo tempo, anche senza svolgere partite ufficiali, ad allenarci e tirare calci in quel cortile sterrato vicino alla chiesa e a procurarci ferite ed abrasioni che con il tempo avremmo restituito ai giocatori delle squadre avversarie.