02 novembre 2009

SAMUEL

SAMUEL
“Pronto chi parla? Pronto! Pronto! Si può sapere chi sei?” il telefonino aveva fatto circa quattro squilli prima che io lo potessi sentire. Ero negli spogliatoi e il cellulare era nei pantaloni dei jeans appesi nell’armadietto. Guardai il piccolo schermo del cellulare e vidi la dicitura:-numero sconosciuto- stavo per riattaccare quando un filo di voce replicò: “Pronto mister sono io Samuel”. Samuel erano quattro giorni che non avevo sue notizie. Oggi, giovedì, doveva presentarsi all’ultimo allenamento della settimana ma stranamente non si era visto. “Ciao Samuel, come mai oggi non sei venuto all’allenamento?” silenzio, dall’altro capo della comunicazione non c’era segno di vita. Allora ripresi: “pronto Samuel ci sei? Sei ancora in linea?” “Si mister ci sono” rispose con il solito filo di voce e fu in quel momento che sentii una voce maschile che sembrava provenisse da un altro apparecchio e da lontano: “dai diglielo, digli quello che hai deciso!” ripresi subito la parola e dissi: “scusa Samuele chi c’è li con te?” Samuel rispose subito: “c’è mio padre mister” fece una pausa e poi riprese a parlare: “Senta mister io non vengo più! Non voglio più venire a giocare!” i bambini sono così diretti, senza tanti giri di parole e senza tanti fronzoli vanno subito al nocciolo della questione. Samuel è così, un bambino diretto, schietto e trasparente. Quello che ha da dirti te lo dice in faccia senza usare tanti giri di parole. Samuel è anche un bambino di talento calcistico straordinario. Un bambino che fa la differenza. Quando vole prende la palla salta in dribbling due o tre giocatori avversari e fa gol con una semplicità inconsueta per uno della sua età. È un bambino che gioca per il piacere di giocare e lo si vede quando viene al campo che il calcio per lui è una passione. Una volta sua madre mi disse che prima di andare a letto trovò Samuel vestito con la divisa da calcio e lei gli chiese il perché e lui rispose: visto che tutte le notti sognava di giocare a calcio voleva farsi trovare pronto con la maglia della sua squadra per la partita che doveva giocare. Ci avevamo scherzato su questo fatto io e Samuel, ricordo che gli avevo detto che a letto doveva portarsi anche gli scarpini e non dimenticare il pallone e lui aveva riso e abbassando la testa aveva raggiunto il gruppo contagiandolo con la sua allegria. Perché Samuel ora non voleva più venire a giocare? Cosa stava succedendo? La domanda che mi uscì fu la più ovvia delle domande ovvie: “e perché non vuoi più giocare a calcio?” la risposta non si fece attendere: “non mi diverto più mister ecco perché non voglio più venire a giocare a calcio!” un bel pasticcio, non sapevo cosa ribattere a questa dichiarazione tanto decisa e perentoria. Un bambino di undici anni diceva di aver perso la voglia di giocare a calcio ed io non sapevo cosa rispondere, proprio un bel pasticcio! L’unica idea che mi venne fu quella di dire: “senti Samuel fai una bella cosa, sabato vieni a giocare la partita e se vuoi ne parliamo dopo di che deciderai. Ok? Che ne pensi?” ci fu una pausa e subito dopo una risposta decisa: “ok mister vengo sabato ma per l’ultima volta!” “Va bene Samuel ok!” prio in quel momento mi venne un’idea: “ah Samuel fai una cosa per sabato SCRIVI un breve temino su –che cosa è per te il gioco del calcio e portamelo, sono convinto che questo potrebbe essere utile alla discussione che ci sarà tra di noi, Ok?” ancora breve pausa e poi sentii: “ok mister sabato ci sarò per giocare l’ultima partita e porterò il tema”.
Tema di Samuel dal titolo: COSA E’ PER ME IL GIOCO DEL CALCIO
Svolgimento:
Il CALCIO per me è tutto. Ho iniziato a giocare a pallone già all’età di 4 anni nella squadra vicino a casa con bambini più grandi di me. Fin dall’inizio ho provato con il pallone un’emozione grandissima, una passione grandissima, nuove e bellissime amicizie ed infine la cosa più importante un continuo divertimento. Oggi ho undici anni gioco a Milano nell’Inter e pur facendo molta strada ogni volta che vado a giocare ho ancora una grande passione e ho fatto nuove amicizie. Oggi però mi trovo difronte a paure che non ho mai provato e che nell’allenamento non mi sfiorano nemmeno. Purtroppo io sono un bambino che ha poca pazienza e pretendo che spariscano subito. So che la strada sarà difficile e faticosa ma io fine alla fine ci proverò con tutte le mie forze perché mi sono reso conto in questi giorni, che non sono andato agli allenamenti, che il calcio è la mia vera passione.
Samuel…
È inutile dire che Samuel sta giocando ancora a calcio e, secondo me, anche se non dovesse diventare un calciatore professionista diventerà sicuramente un UOMO VERO!
(per correttezza nei confronti del bambino il nome è pura invenzione)

NICOLA

È una domenica mattina fredda e soleggiata di un autunno inoltrato. Il sole ha sciolto la brina che aveva ricoperto il campo di calcio di via Orsini a Milano. Oggi giochiamo contro l’Aldini, una società prestigiosa nel panorama del calcio giovanile, non solo milanese ma anche nazionale, per i suoi successi ottenuti nei campionati allievi e giovanissimi. I bambini che oggi scenderanno in campo sono del 96, i miei, e del 95 quelli dell’Aldini, entrambe l’età fanno parte della categoria esordienti. L’appuntamento è per le 11.00 al campo. Mentre mi accingo a varcare la soglia del centro sportivo, scorgo molti visi conosciuti, e guardando un po’ più in la mi accorgo che nel calmpo dove giocheremo noi si sta disputando già una partita. Mi dirigo verso il campo da gioco e d’istinto osservo quel che succede sulle panchine e noto, in una di esse, un allenatore giovane dai capelli ricci e biondi. È un viso noto, mi sembra proprio di conoscerlo, ma Si è proprio lui! È Nicola un mio ex allievo, di quando allenavo al Milan gli esordienti regionali, circa dieci anni fa. Nicola era un giocatore tecnico. Un centrocampista di qualità, subiva un po’ la fisicità degli avversari, ma usciva dalle situazione di gioco con intelligenza e sagacia. Sempre attento riusciva ad essere efficace soprattutto negli spazi stretti e aveva giocate originali che non sempre venivano sfruttate dai compagni di squadra. Adesso era li su di una panchina a fare il Mister! Sembrava ieri quando…lasciamo stare e torniamo al presente!
Nicola seguiva la partita in piedi dando indicazioni, rimproveri, incitamenti, complimenti e addirittura distribuendo applausi. Non faceva mancare nulla alla sua squadra di tredicenni, si era l’allenatore della squadra giovanissimi B dell’Aldini. Caratterialmente mi ricordavo un Nicola tranquillo silenzioso, timido e quasi riservato. Qui invece vedevo un giovanotto pieno di energia e quasi aggressivo. Ma non avevo visto ancora nulla. Il vero Nicola infatti lo vidi dopo che il numero 7 della sua squadra, immarcabile in quella partita, scese sulla fascia fece cross e il numero 9 realizzò un gol stupendo, lui ebbe uno scatto di gioia incontrollabile saltava e gridava gol-gol-gol! Palla al centro e Nicola si ricompose e continuò a dare consigli alzando il tono della VOCE: “dai Cris più decisione”, “dai Manu dacci dentro”, “forza Cocu”. Nicola parlava per acronimi. Nomi, cognomi e soprannomi tutti ridotti all’essenziale: due sillabe e via! Non si mangiava le parole riduceva le sillabe inutili per ottenere una comunicazione più veloce. Effettivamente la differenza tra l’avvertimento: “attento Alessandro” e l’altro: “attento Ale” era quello che bastava per impedire l’anticipo di un avversario. Mi incuriosiva Nicola, mi piaceva il suo modo di essere e di fare l’allenatore. Così mi intrufolai tra il pubblico e iniziai a fare domande sul biondino che era in panchina. I difetti e i pregi che mi riferirono erano quelli tipici di noi istruttori di settore giovanile: “è esigente, è irascibile, è comprensivo, carica bene la squadra ma ogni tanto alza troppo la voce…”. Mano a mano che ascoltavo le caratteristiche che lo contraddistinguevano mi accorgevo che Nicola mi assomigliava e questo un po’ mi inorgogliva, ma quando mi dissero che lui nei suoi discorsi ai ragazzi citava sempre quello che diceva “un suo vecchio allenatore” dal nome Giuliano, sentii montare l’emozione. Non vedevo l’ora che finisse la partita per salutarlo e per fagli gli auguri per la sua nuova carriera. Proprio in quel momento l’arbitro fischiò la fine della partita. Mi avviai verso gli spogliatoi con tutti i componenti della mia squadra. Le squadre che avevano giocato la partita precedende erano già negli spogliatoi. Chiesi dove potevo trovare Nicola, mi dissero spogliatoio numero 3, mi avvicinai e lo sentii che diceva: “bravi ragazzi abbiamo vinto una partita difficile perché questo avversario normalmente riesce a mettere in difficoltà chiunque. Noi gli abbiamo tolto la possibilità di giocare tranquillamente, era questa la nostra chiave per la vittoria.” Però si esprimeva come un vero allenatore, allora invece di bussare stetti ad ascoltare o meglio ad origliare: “Ci siamo riusciti molto bene. Siamo riusciti a comandare la partita seppure non ci siano state grandi occasioni da gol. Abbiamo solo rischiato su un contropiede a causa di un rimpallo. La squadra avverasaria non ci lasciava spazi, chiuso nella sua metà campo, cercava di colpirci in contropiede. Ma questo contropiede non è mai partito perché voi ragazzi siete stati bravissimi per intensità e forza fisica. Ho visto grande voglia di aiutarsi, senso tattico. Poi è venuta la qualità, il gol di Andrea poi ci ha dato la possibilità di arrivare al successo. BRAVI E COMPLIMENTI A TUTTI!” Stavo per bussare quando sentii: “ Un mio vecchio allenatore direbbe: -L’importante non è quello che provi alla fine di una partita, ma quello che provi mentre stai giocando la partita” Era una mia frase, la dicevo spesso ai miei giocatori e Nicola la stava ripetendo ai suoi giocatori citandomi. Decisi in quel momento che avrei bussato e lo avrei salutato. Bussai e dall’altra parte rispose la sua voce: “Chi è?” la risposta fu immediata: “UN VECCHIO ALLENATORE!”