23 dicembre 2009

TORNEO A RUVO DI PUGLIA


I PULCINI DELL'INTER 99 VINCONO A RUVO DI PUGLIA

L'INTER SI AGGIUDICA IL "TURENUM WINTER" 2009!22 Dicembre 2009
Grande successo per il Torneo Turenum Winter 2009 riservato alla categoria pulcini 1999 che si è tenuto presso lo stadio Comunale di Ruvo di Puglia sede tecnia dell'Accademia Bari Point. "Il sogno che avanza...", il nuovo motto del presidente Flora Mannarini, che con la sua vitalità ha reso possibile un evento che ha catapultato l'attenzione di sette realtà professionistiche nello stadio di Ruvo.
L'Accademia Bari Point con le dirette streaming dell'intera manifestazione ha unito e collegato l'intera nazione, "sintonizzata" sul portale http://www.accademiabaripoint.it/ per seguire in streaming l'evento.
Dopo 24 partite molto interessanti dal punto di vista calcistico l'Inter è risultata la vincitrice del trofeo "Turenum winter" 2009! Vittoria meritata per la squadra nerazzurra di Mister Giuliano Rusca, che di gara in gara ha sempre confermato la propria ottima preparazione. Le ultime reti di tutto il torneo sono di Zerbin e Soresina che decidono il punteggio finale del match con il Padova, e quindi, la classifica definitiva: Inter dinnanzi ad Atalanta, Roma, Padova, Sampdoria, Cesena, Accademia Bari Point e Bari.
Nel corso della cerimonia conclusiva, oltre ai ringraziamenti e alle premiazioni di rito, premio speciale per Roberto Muzzi, che con la sua umiltà ha saputo rimettersi in gioco partendo dalla categoria pulcini in qualità di Educatore-Allenatore!
Grande esperienza di gioco e di vita, che, aldilà dei risultati, lascerà un ricordo bello come pochi in tutti coloro i quali hanno avuto l'opportunità di viverla, dai dirigenti delle società, ai giovani atleti.
Un grosso in bocca al lupo per il futuro a tutte le squadre partecipanti a questa importante manifestazione e un plauso speciale alla vincitrice del torneo! manifestazione e un plauso speciale alla vincitrice del torneo!
Uff. Stampa Accademia Bari Point

10 dicembre 2009

LA NOSTRA PIU' GRANDE PAURA

Settembre 13, 2007 in Mandela, libertà, paure
La nostra paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda,
è di essere potenti oltre ogni limite.
E’ la nostra luce, non la nostra ombra,
a spaventarci di più.
Ci domandiamo: ” Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? “
In realtà chi sei tu per NON esserlo?
Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo,
non serve al mondo.
Non c’è nulla di illuminato
nello sminuire se stessi cosicchè gli altri
non si sentano insicuri intorno a noi.
Siamo tutti nati per risplendere,
come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria di Dio che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.
Nelson Mandela

08 dicembre 2009

LA SQUADRA DELL'ORATORIO

LA SQUADRA DELL’ORATORIO
BARBAJANNA è sempre stata una fucina di buoni calciatori. Purtroppo, non essendo comune, (Barbajanna è una frazione nel comune di Leinà), per molte gare non godeva di certe “agevolazioni” soprattutto durante le competizioni eliminatorie che preludevano alle finali in campo provinciale. Noi si doveva fare le qualificazioni delle qualificazione per poter poi partecipare al torneo di qualificazione al torneo vero(non era giusto si diceva nello spogliatoio). In quegli anni, siamo nei favolosi anni sessanta, eravamo infatti costretti ad imporci sui numerosi e forti atleti di Leinà prima di passare a qualsiasi torneo locale. La nostra era una sparuta squadra, quattordici elementi di dieci e undici anni, tutti con un’unica passione il gioco del calcio. Eravamo la mitica squadra dell’oratorio, un gruppo di scalmanati giovinastri che colpiva tutto ciò che si muoveva e rotolava all’interno del campo di gioco. Per molto tempo dell’anno, avendo l’Angelo Danelli il contadino padrone del campo da calcio, seminato a granturco il campo stesso, eravamo costretti a svolgere i nostri allenamenti nel cortile adiacente alla chiesa, dove ogni scivolata sul terreno di gioco ci procurava ustioni di secondo e terzo grado. Ci allenavamo con la presenza di un commissario (nel vero senso della parola) , l’Argia (il nostro allenatore) era un commissario delle ferrovie dello stato, che ci spronava con parole gentili del tipo: “siete delle rape e cavar sangue da voi è impossibile!Bestie da soma, non valete niente!” per cui le nostre prestazioni sollecitate da così tanto acume psicologico a volte ne risentivano. Ma bastava sentire l’odore delle maglie sudate e il rumore dei tacchetti con i chiodi sul terreno da gioco per scatenarci e iniziar a menar calci a destra e a sinistra! Ci temevano tutti. Vincevamo quasi tutte le partite il nostro motto era: “Si vince con le buone o con le cattive altrimenti non si vive”. Solo L’Argia, a volte, faceva sì che, utilizzando trucchi da vero MAGO riusciva a farci perdere,e in quei frangenti negli spogliatoi volavano parole di fuoco sull’Argia e su quella santa donna che se l’era sposato.Non avevamo attrezzature e molto spesso dovevamo… arrangiarci, rubando (mi vergogno a dirlo ma lo facevamo) letteralmente palloni, magliette e pantaloncini nei campi ove svolgevamo le partite.Ricordo il… “furto” capolavoro di un pallone di cuoio, perpetrato nel Campo Comunale di Leinà.Il nostro compagno portiere, detto “il portinaio” per le numerose uscite a vuoto e per l’eleganza con cui subiva certe reti, sembrava facesse passare il pallone quasi con un ossequioso inchino si chiamava Rocco. Durante il riscaldamento, tra una sigaretta e l’altra, si fumava lui diceva che lo rilassava e lo riscaldava, calciò volutamente l’attrezzo al di là del muro di cinta del campo. Li attendeva Angelino, detto Arsenio per la sua capacità di rapinare in area di rigore tempo e spazio agli avversari, qualità che riusciva a trasportare anche nella sua vita di tutti i giorni. Questo rapido centrocampista di quantità, raccattava furtivamente il pallone e fuggiva come un fulmine verso la macchina dell’ignaro Argia, che impegnato nello studio di tattiche perdenti si ritrovava complice di un furto. Di solito “Arsenio” nascondeva nel portabagagli il pallone rubato e precisamente nella reticella portaoggetti e poi tornava a riscaldarsi con noi. Non essendo degli stupidi i dirigenti del Leinà si accorsero della nostra bravata e comprendendo il nostro vero intento, invece di farci punire dal nostro allenatore “commissario”, ci fornirono di attrezzature, il che ci consentì di svolgere la nostra attività per parecchio tempo senza pensare AD ALTRI piani di rifornimento furtivo.
Eravamo dei veri balordi e a questo proposito non posso esimermi dal raccontare un episodio che allora fece epoca, e fece parlare la popolazione dell’intero comune per mesi e mesi sull’argomento: “gioventù bruciata-non ci sono più i giovani di una volta” (frase sempre in bocca a tutti i ben pensanti).Recatici a Rodo per le finali del Torneo degli Oratori, faceva parte della comitiva anche un ragazzo dal nome: Paolone, che vista la sua stazza, la sua mole e la sua proverbiale cattiveria faceva la punta di sfondamento. Si trattava di una “massacratore” di centromediani avversari. Lui non li dribblava i difensori lui li abbatteva passandoci sopra. Con loro non aveva semplici contrasti aveva degli scontri dirompenti. La sua testa era il terminale di un’arma impropria. Una volta diede una testata ad un palo e noi corremmo tutti a sincerarci che IL PALO non fosse stato danneggiato seriamente e si potesse continuare a giocare, Lui non la prese bene questa nostra spiritosaggine e nello spogliatoio ce lo dimostrò prendendoci a frustate con l’asciugamano bagnato, fu terribile. Quel giorno, negli spogliatoi, così, tanto per divertirci, vista l’importanza della partita, incitavamo il nostro compagno a fare di più e meglio ad ogni sua “cortesia”sull’avversario. E quel giorno caricato per bene, Paolone in campo ce la mise tutta rifilando botte da orbi a tutto ciò che gli passava nelle vicinanze. Così verso la metà del secondo tempo, dopo l’ennesimo tentativo di tranciare la tibia del diretto malcapitato avversario, l’arbitro decise di mandarlo fuori, esibendogli sotto il naso il cartellino rosso. Il Paolone non ci vide più e fece vedere a tutti di che era capace. Alla vista del cartellino rosso si trasformò in una bestia e iniziò un irresistibile “sprint”, lasciando di stucco tutti gli altri giocatori, condusse una volata feroce, urlando come una belva ferita, verso la porta avversaria e giungendo li a velocità straordinaria si aggrappò alla rete e iniziò a strapparla con un impeto selvaggio. Dopo aver divelto la rete dai ganci della porta corse di nuovo, questa volta verso il centro del campo, con la rete tra le mani. Si stava dirigendo verso il povero arbitro, che atterrito era immobilizzato anzi direi pietrificato e guardava con rassegnata preoccupazione tutta la scena. Quando il Paolone raggiunse l’arbitro lo avvolse nella rete e buttandolo per terra lo trascinò per una decina di metri. Mancavano i leoni e poi si poteva dire di essere in una arena romana in presenza di gladiatori e vittime da sacrificare. Un vero disastro! Ad un certo punto, a fatica, il Paolone venne da noi immobilizzato e portato fuori dal campo a forza. Lo sforzo fu sovrumano: dovemmo trattenerlo e legarlo con la stessa rete con la quale aveva avvolto l’arbitro e con degli schiaffi in pieno viso cercammo di farlo rinvenire da quella transagonistica bestiale. Nello stesso tempo alcuni di noi dovettero anche tenere sotto controllo l’Argia perché cercava il Paolone e se lo avesse preso lo avrebbe massacrato di botte! Un vero delirio! Ad un tratto la scena mutò: sul campo arrivarono i vari genitori delle squadre presenti al torneo, i quali affermarono che non si poteva accettare tale gesto di maleducazione e di violenza inaudita (bè non avevano tutti i torti): “serviva una punizione esemplare, i giovani vanno educati!” (altra frase conosciuta) così disse uno di loro e così fu!Ci fu la squalifica e la radiazione della nostra squadra da tutti i tornei oratoriani del circondario. Fu squalificato anche l’Argia, considerato a torto, secondo me, responsabile di aver messo su una squadra di delinquenti e di non saperli controllare. A noi parve subito chiaro che il mondo ci stava facendo una (delle tante)grandissima ingiustizia… così, per rivalsa, il giorno dopo la sentenza, comunicata al nostro Don Luigi da un certo Don Lamberto, responsabile dello sport della curia, andammo subito a rubare le bandierine del campo sportivo di Rodo.La nostra squadra, per qualche tempo, dovette subire gli strali, le ingiurie e anche le maledizioni delle altre compagini che ci additarono come picchiatori e scarponi(noi sinceramente ne andavamo fieri). Ma tutto questo non ci demoralizzò noi continuammo per lungo tempo, anche senza svolgere partite ufficiali, ad allenarci e tirare calci in quel cortile sterrato vicino alla chiesa e a procurarci ferite ed abrasioni che con il tempo avremmo restituito ai giocatori delle squadre avversarie.

30 novembre 2009

MARUT

MARUT
Ha undici anni Marut – occhi grandi, denti bianchi, sorriso splendido – ha vissuto e visto tante cose, che potrebbe scrivere un bel libro di memorie. Marut è rumeno di etnia rom, e ha trascorso metà della sua vita sulla strada. Ha dormito in un furgone, in una baracca, all’aria aperta. Ha mendicato con i genitori in Spagna e in Italia, in Francia e in Portogallo. Ha visto distruggere la sua baracca, è stato aggredito dalla polizia italiana, spagnola, francese e portoghese. Ha sentito, da sotto una coperta, come suo padre veniva picchiato per aver difeso lui e la sua famiglia, ha visto soffrire dei bambini perché non avevano le medicine, ha conosciuto la paura degli zingari quando il loro accampamento è stato dato alle fiamme. Ma Marut ha resistito. E ha ora, finalmente, trovato in questo campo nomadi quella tranquillità che lo ha portato a desiderare di fare il calciatore e io vorrei raccontarvela! Eccola:
Marut, il figlio maggiore di una famiglia Rom numerosa, che con mamma Maryam e papà Mohamed vive nella piazzolla di sosta di una zona attrezzata per Zingari, di una città, che per questioni di privacy non citerò, vicino a Milano, sogna di diventare un campione di calcio. Il ragazzo, oggi 11enne, vive nel “Villaggio” con altri Bambini e giocano a calcio tutto il giorno, quando Marut non è obbligato, dai suoi genitori, ad andare a scuola. Fin da quando aveva appena 6 anni, a differenza della maggior parte dei bambini della sua età che fanno ben altro e non per colpa loro! Mourad non desidera diventare un uomo libero da tutto e da tutti come suo padre (che non si sa bene che cosa faccia), lui vuole fare il calciatore. Il calcio non è semplicemente un divertimento, ma una vera passione e la sua professione da sogno.
Marut e i suoi amici hanno formato addirittura due squadre, che prendono il nome di due famose formazioni calcistiche della terra d’origine della sua famiglia: la Romania. Una l’hanno chiamata Dinamo e l’altra Steaua. Si sono fatti anche le maglie una, quella che indossa Marut è della Dinamo, ed è completamente rossa , l’altra, dello Steaua, è di colore bleu e rossa. Lui indossando quella della Dinamo mostra chiaramente la sua preferenza e denota la sua appartenenza alla rispettiva squadra . Il ragazzo ripete spesso: “Giochiamo tutti i giorni a pallone e noi della Dinamo vinciamo sempre!” così racconta con entusiasmo, mentre parla del suo argomento preferito.
Marut sogna di poter diventare un giorno proprio come Marius Niculae, il capitano dell’originale squadra: Dinamo di Bucaresti. “Niculae è bravissimo, un vero goleador!” sostiene il ragazzo “Segna sempre tanti gol, la squadra vince sempre(?) proprio grazie a lui!”.
Marut, che ora frequenta la prima media nella scuola dove insegno, racconta dei suoi allenamenti giornalieri per migliorare le sue capacità e rinforzare i suoi muscoli. Il ragazzo è noto fra gli amici del “villaggio” per essere un ottimo giocatore di calcio e quando è in “casa”(roulotte) non si perde alcuna trasmissione calcistica in televisione (hanno la parabolica e vedono tutti i canali satellitari). Rimane incollato allo schermo quando c’è una partita, specialmente se gioca la sua squadra preferita. In un colloquio a scuola ho conosciuto la madre e lei mi raccontato della passione di Marut con un sorriso: “Marut è bravo bambino, lui ha solo difetto del pallone. Lui gioca tuto giorno con pallone. Lui gioca con altri bambini con pallone fatto di pezza e legato con sacchetti di spesa”. Pallone fatto di pezza e legato con i sacchetti di plastica? Sono incuriosito e il giorno successivo chiedo a Marut di farmi vedere il pallone con il quale gioca con i propri amici e lui il giorno seguente me lo porta a scuola e me lo fa proprio vedere. Io cerco di prenderglielo dalle mani e lui non lo molla neppure un secondo, lo tiene stretto tra le sue mani e ripete continuamente: “bello, bello eh prof? è proprio bello!” Ha ragione è fantastico è un oggetto misto di plastica e pezza, grosso come un pallone numero quattro. Penso che non rimbalzi visto da cosa è composto, ma la cosa bella è che tutto colorato e pieno di nodi. Altro particolare: emana una puzza di cavoli marci stomachevole, è inavvicinabile!
Sul piano internazionale, Marut ammira anche Kaka, l’atleta brasiliano che al momento gioca per la squadra di calcio del Real Madrid (con la maglia numero 8). “Mi piacerebbe diventare come Niculae o come Kaka e ce la metterò tutta per realizzare il mio sogno!” conclude con un sorriso il ragazzo.
L’altro giorno sono andato al suo “villaggio” e gli ho portato un paio di palloni di cuoio nuovi fiammanti. Tutti i bambini mi hanno fatto festa hanno preso i palloni e li guardavano con ammirazione e se li passavano l’un l’altro come se fossero preziosi. Quando ho chiesto loro di fare una partita hanno messo da parte i bei palloni hanno tirato fuori la loro palla di –stoffacelofanata- e via a giocare. Che bello vedere quei bambini scalzi correre dietro a quel pezzo di stoffa tutto pieno di riflessi colorati.
Vai Marut il primo campione di pallacelofanata!
* Il nome del bambino è stato cambiato per proteggere la sua privacy.

24 novembre 2009

I GEMELLI

I GEMELLI DEL CIAPA’ GOL

Ve li ricordate i “gemelli del gol”: Francesco Graziani e Paolino Pulici.
Li chiamavano così ai tempi del Torino di Gigi Radice perché segnavano gol a raffica e, in campo, la loro intesa era straordinaria. Sono passati alla storia dell’Italcalcio proprio come i “gemelli del gol”:
per la sintonia perfetta anche nell’esecuzione dei movimenti in fase offensiva e gol a grappoli... Paolino e Ciccio fecero grande il Torino, che riassaporò lo scudetto al termine della stagione 1975/’76 rinverdendo i fasti della grande squadra granata perita a Superga. Ma Graziani e Pulici parenti non sono. Quindi sono
gemelli solo in campo. Gemelli in campo e nella vita, invece, lo sono Antonio e Mario, nati a Milano un giorno di febbraio del 1981, più di due lustri dopo la stagione d’oro della coppia granata.
Ma chi sono Antonio e Mario? Rispondo subito al quesito:
innanzitutto sono due grandi appassionati di calcio E TIFOSI DEL TORO. Due bambini che al tempo, quando li conobbi, giocavano a calcio dalla mattina alla sera. Tiravano calci a tutto ciò che si muoveva e rotolava e quello che non si muoveva e non rotolava lo muovevano loro e lo facevano rotolare con dei calci. Giocavano a calcio per strada e ritornavano a casa sempre con le ginocchia sbucciate.
Sono cresciuti calcisticamente nell’oratorio di Cernusco sul Naviglio e, giunti ad un bivio, dove da una parte c’era lo studio e dall’altra il calcio(erano stati selezionati per la squadra che allenavo io nel 1991: l’A.C.Milan) hanno sorprendentemente scelto lo studio!
Insomma, per la sorpresa di tutti, hanno rinunciato ad una carriera da calciatori! I due invece di giocare in attacco, come la coppia famosa sopracitata, giocavano in difesa. Erano due difensori arcigni che giocavano nell’under 11 dell’A.C.Milan (almeno ci hanno giocato per due mesi). Io, allora, li avevo soprannominati: “I GEMELLI DEL CIAPA’ GOL”
Passati dieci anni, un bel giorno, sono in pizzeria in compagnia di mio figlio, e nel bel mezzo di una discussione che aveva come tema principale: “ma le punizioni di prima le calciava meglio Maradona o Roberto Baggio?” sento una mano che si appoggia sulla mia spalla destra e un voce che mi chiama: “Mister, Mister” mi giro e vedo di fronte a me due ragazzoni con una fisionomia quasi identica: i due gemelli! Li riconosco subito sono: Antonio e Mario. “Mister ci riconosce?” continuano loro. Ma certo che li riconosco, mi alzo e li abbraccio chiamandoli per nome. Siamo tutti e tre commossi sotto gli occhi di Davide che in realtà non ci ha, ancora, capito nulla. Glieli presento e li invito ad accomodarsi ed iniziamo a parlare. Chiedo loro come va? E se soprattutto giocano ancora a calcio e mi rispondono: risponde Antonio
“Viviamo il mondo del calcio come un divertimento, qualcosa che ci piace fare; gli allenamenti non li viviamo come un obbligo ma come una gioia, naturalmente quando non si corre e basta.
Quando non siamo impegnati con gli allenamenti o con le partite di campionato, proprio per via del nostro legame con questo sport, troviamo sempre il tempo per partecipare a vari tornei o per giocare al campetto con gli amici”. Era proprio quello che cercavo per Davide: una testimonianza di pura passione per questo sport. Davide ha quindici anni e gioca al calcio ma lo vive emotivamente in modo troppo intenso. Lo vedo quando è in campo è teso e nervoso e questo gli fa fare degli errori che non dovrebbe fare. È bravino se la cava ma questa maledetta emotività incontrollata LO RENDE INSICURO ed incerto nelle giocate anche in quelle più semplici. Ma la discussione continua e mi appassiona allora e faccio un’altra domanda:
Cosa vi ha insegnato il calcio?
Risponde Antonio
”Il calcio ci ha trasmesso anche molti valori come il rispetto delle persone, educazione nei confronti di chi ci stava attorno e correttezza verso i compagni. Il calcio se interpretato senza esasperazioni ma con il giusto spirito è una scuola di vita. Così dovrebbe essere per tutti i ragazzi. Lo sport in generale deve trasmettere valori positivi, deve essere una palestra importante per allenarsi alla
vita. Purtroppo però le esasperazioni sono dietro l’angolo come pure le eccessive aspettative di taluni genitori sono spesso troppo elevate e fonte di pressione eccessiva per i ragazzi che arrivano a non sopportare più determinate pressioni. Noi siamo stati fortunati: i nostri genitori sono appassionati, ci hanno sempre seguito e ci seguono, ma ci hanno anche assecondato in modo splendido nelle nostre scelte di optare ad un certo punto per lo studio riservando al calcio un ruolo prezioso, ma come passione e basta”. Manna che scende dal cielo! Continuo con le domande:
Chi vi ha trasmesso la passione per il calcio?
”Questa grande passione ci è stata trasmessa sicuramente da entrambi i nostri nonni, e anche da nostro papà che ha giocato per parecchi anni, ci ha anche allenati da
piccoli nella squadra dell’oratorio, dove abbiamo iniziato la nostra modesta carriera calcistica e ci ha seguito anche nelle trasferte più lontane, ci ha insegnato a giocare a calcio e tutto ciò che di bello può essere il calcio: è stato un vero maestro. Ora che ha qualche difficoltà a spostarsi ovunque, è ammalato e non può muoversi da casa è comunque sempre informatissimo e non ci fa mancare mai i
suoi consigli per le nostre prestazioni domenicali. Spesso sottolinea che ci alleniamo
poco per via dei nostri studi e sicuramente ha ragione, ma sa bene e ci comprende che abbiamo fatto un’importante scelta di vita e che alimentiamo la nostra passione nel migliore dei modi secondo alcuni principi significativi che ci siamo dati trovando un equo compromesso con noi stessi e con chi ci accetta come siamo”.
Che bravi ragazzi Antonio e Mario parlano e sorridono e trasmettono a me e a Davide quella serenità che forse ultimamente ci è venuta a mancare. Il rapporto che ci lega è fortissimo ma la conflittualità generazionale a volte mi porta a non comprendere quel senso di indipendenza che cova mio figlio in quei semplici atti di ribellione alle direttive che cerco di impartigli. Antonio e Mario stanno parlando con Davide come se lo conoscessero da anni e non da pochi minuti, queste generazioni hanno facilità nel comunicare e nel condividere esperienze e a proposito sento Davide che fa una domanda ai due gemelli:
Ma cosa vi ha insegnato veramente il calcio?
Risponde Mario:
“ sai Davide Il calcio, in campo e fuori ti fa incontrare molte persone che poi possono rivelarsi grandi amici. Il calcio a noi ha dato tante emozioni belle e brutte, quando si vince la felicità non ti fa pensare a nient’altro, quando si
perde invece si ha la possibilità di capire i propri errori, correggerli per poi arrivare a una vittoria ancora più bella di una casuale”. Mangiamo, parliamo, ricordiamo tempi passati e ridiamo molto ci divertiamo e io ogni tanto guardo negli occhi mio figlio e lo vedo sereno, rilassato e tranquillo. Sono contento di aver incontrato questi due ragazzi semplici, educati e solari, che coltivano serenamente la loro grande passione: giocare al calcio, collocata appunto a grande passione e basta. Razionalmente, ma
lucidamente e serenamente hanno optato per proseguire gli studi, hanno vissuto il
calcio, semplicemente e lo hanno inserito nella loro vita come volevano e dovevano.
L’importante nella vita e nello sport è, prima di tutto, coltivare una passione che è tale quando è soprattutto divertimento, con sacrificio, ma divertimento.
Si finisce la serata con lo scambio dei numeri di telefono quanto vorrei che Davide frequentasse e diventasse amico di Antonio e Mario i miei gemelli: DEL CIAPA’ GOL!

23 novembre 2009

LUCA ANTONINI

Sin da bambino è detto “il piccolo”, dal nome del protagonista di cartone animato in voga quel tempo. Il suo ruolo iniziale era quello di attaccante, ma col tempo ha cominciato a giocare nel ruolo di esterno di centrocampo. È dotato di buona tecnica, di fantasia e di un discreto tiro di destro; è anche abile nel fornire assist. Ma andiamo per gradi e partiamo dall’inizio quando ho conosciuto e selezionato Luca. Comincia a giocare a calcio a il San Giuliano Milanese, suo paese natio. Un giorno viene visto giocare sul campo in terra battuta della società San Giulianese e viene segnalato al capo degli osservatori (signor Zagatti) e il martedì successivo il “piccolo” mi viene portato sul campo di allenamento dal signor Trapanelli, l’allora factotum dell’attivvità di base dell’A.C.Milan, per essere visionato con una certa urgenza perché ci sono altre squadre intenzionate al piccolo! Il bambino ha dieci anni ed è veramente minuto è magro ma molto magro ed è alto un metro e una buca per non dire che è basso ma molto basso. Allora Luca aveva la stessa pettinatura, la stessa maglia, le stesse movenze che ha ora: se si tralasciava la struttura fisica diversa sembra che le sue sembianze siano le stesse di allora solo che ora il giocatore pesa quaranta chili in più ed è ottanta centimetri più grande. Dopo poche esercitazioni e una breve partitella il bambino dimostra unaTecnica individuale impressionante, visione di gioco rara a vedersi in un “pulcino”, Luca è un bambino sveglio e ansioso di dimostrarmi di essere bravo. Il calcio, si vede subito, è tutta la sua vita e già a dieci anni dimostra di saperci fare, in quella prova fa sfracelli, dribbla gli avversari come birilli fa gol di testa, di piede e ricordo benissimo ne fa uno anche di piede: è bravissimo! Allora mi stacco dall’allenamento per andare a chiamare Trapanelli al quale comunico che il ragazzino va “preso subito”. Il signor Trapanelli mi sorride e mi dice: “Mister ne ha parlato con Lui?” Rispondo che vorrei parlare con suo padre più che con lui. Il sorriso del signor Trapanelli persiste e mi fa preoccupare, comunque decido di seguire il suo consiglio e vado a parlare con il bimbo. Eccomi di fronte a lui e inizio con le domande e vado subito al nocciolo della questione: “senti Luca saresti contento di venire al Milan?” Lui mi guarda e mi risponde: “ma io sono tifoso della Sampdoria, come faccio?” “tifoso della Sampdoria?” ribatto io con una certa sorpresa. Non parla ma ad un certo punto cerca di togliere la tuta rossonera del Milan, che il magazziniere gli ha dato per effettuare l’allenamento vestito come tutti gli altri, e sorpresa delle sorprese sotto porta la maglia della Sampdoria! “Ha capito Mister? Io sono veramente Sampdoriano!” ringraziandomi per la mia gentilezza e senza il minimo problema mi lascia lì in mezzo al campo e se neva a duellare con gli altri bambini che stanno continuando la partita. Sorrido e vado dal signor Trapanelli con la convinzione: “questo bimbo lo dobbiamo prendere altro che Sampdoria!”
Luca Antonini (Milano, 4 agosto 1982) è un calciatore italiano, difensore del Milan. È un giocatore polivalente che sa ricoprire sia il ruolo di terzino che di esterno di centrocampo sulla fascia sinistra e all'occorrenza anche destra.[1] Cresciuto nel
Milan, nel 2001, a stagione da poco avviata, è stato ceduto in prestito al Prato, in Serie C1, dove ha totalizzato 26 presenze e 3 reti. Nella stagione 2002-2003 ha collezionato 17 presenze e 1 gol in Serie B all'Ancona, ottenendo la promozione in Serie A e ritagliandosi un ruolo da titolare nella seconda parte del campionato, dopo un girone d'andata trascorso come riserva. Nell'estate del 2003 si è trasferito alla Sampdoria in comproprietà con i rossoneri, dove è sceso in campo solamente in 5 partite nel ruolo di vice Gasbarroni sulla fascia e non realizzando gol. L'anno seguente torna a giocare in Serie B, al Modena, dove ha segnato una rete in 15 partite disputate. Nell'agosto del 2005 il Milan lo ha prestato all'Arezzo, dove nell'arco della stagione ha segnato 3 gol in 39 partite. Alla fine della stagione 2005-2006 è stato preso in prestito dal Siena. Nell'estate del 2007 il Milan ha rilevatato la metà posseduta dalla Sampdoria e lo ha ceduto in comproprietà all'Empoli, assieme all'altro giovane Abate, anche lui prodotto del vivaio rossonero. Con l'Empoli Antonini ha esordito nelle coppe europee il 20 settembre 2007, in occasione della partita di Coppa UEFA Empoli-Zurigo (2-1), nella quale ha anche realizzato la rete del momentaneo 2-0 su rigore al 49° minuto. Dopo una positiva stagione con l'Empoli, in cui è stato spesso arretrato alla linea a quattro di difesa e utilizzato nel ruolo di terzino sinistro per sopperire alle assenze di Tosto e Raggi, terminata però con la retrocessione dei toscani in B, il 9 giugno 2008 è stato riscattato dal Milan.[2]

SAPERSI SMARCARE



Esercizio per imparare a smarcarsi
Sempre pronti a smarcarsi.Due giocatori -l'1 e il 2- col pallone, e uno -il 3- senza. Come nello schema raffigurato a fianco.Durante l'esercizio vanno efettuati degli scambi continui con l'uomo senza palla che deve muoversi negli spazi liberi, in relazione a quelli dei movimenti dei suoi compagni.Si può estendere l'esercizio a due gruppi di giocatori includendo un portiere che dovrà sempre toccare la palla con le mani senza bloccarlo.Lo scopo di questo tipo di allenamento è quello di abituare il calciatore a giocare a testa alta, a sfruttare gli spazi per smarcarsi e a cambiare rapidamente direzione.

19 novembre 2009

ALESSANDRO

I centravanti di razza li vedi subito, basta un’occhiata, hanno qualcosa di particolare: sono svegli, attenti, furbi e sempre pronti a sfruttare la situazione a loro favore. Sin da piccoli ti sorprendono: sono creativi nel cercare soluzioni di gioco e mai ripetitivi. La prima volta che vidi Alessandro eravamo su di un campetto di provincia, precisamente nella provincia di Lodi in una partita tra undicenni. Partita di campionato: categoria esordienti. La categoria categoria è la più spettacolare del settore giovanile calcistico. Vedere quegli assatanati che con il loro schema a “nuvola” corrono tutti dietro alla palla è un vero spettacolo avvincente ed entusiasmante. Ti fa rivivere quei pomeriggi estivi quando alla domenica andavi all’oratorio a giocare con i compagni di catechismo e l’unico giocattolo era la palla che portava il solito Antonio, il carogneta di turno, che faceva giocare solo chi voleva lui e si faceva la squadra su misura ed imbattibile. Quante gioe e quante scarpate in quei campi polverosi ho vissuto e ho soprattutto dato.
Ma ecco che, improvvisamente, dalla difesa era partito un lancio lungo e il pallone volando sopra le teste di tutti e superando tutto il centro campo era destinato per l’unica punta di ruolo: Alessandro! Il difensore era veloce quanto lui, insieme pestavano l’erba come se fossero stati impegnati in una gara di velocità. Mentre correvano, il difensore cercava di mettere il gomito davanti al busto di Alessandro che a sua volta cercava di fare la stessa cosa. Ad un certo punto, raggiunto il limite dell’area di rigore, Alessandro tagliò la strada al difensore e invase idealmente la corsia dell’avversario, il mal capitato arcigno difensore impattò con il proprio ginocchio il tallone destro del furbesco attaccante che cadde disteso all’interno dell’area. Un fischio acuto e lungo decretò il rigore! Fu così che vidi Alessandro segnare la prima rete: la realizzò per mezzo di un calcio di rigore.
Alessandro con quel viso da angioletto e con un casco di capelli, tutti arruffati, come copricapo, dopo il gol, correva e saltava come un grillo. La sua maglietta e i suoi pantaloncini si gonfiavano come se dovesse prendere il volo proprio come un acquilone. La sua divisa di gioco, una volta di color bianco almeno credo, era tutta imbrattata di macchie marroni che dal mio punto di osservazione sembravano impronte di mani che avevano cercato di fermare Alessandro dalle sue intenzioni carognesche di attaccante assetato di gol. Dopo alcuni minuti tutto si calma e con la palla al centro riprendono le ostilità. La partita ora sembra un grande ingorgo e sembra che la maggior parte di quei giovani giocatori vogliano fermarsi proprio li nel mezzo del campo. Solo lui si muove ai margini proponendosi in ampiezza e in profondità. L’aria densa e calda di quel sabato pomeriggio di una primavera inoltrata fa in modo che il campo sia ricoperto da un leggero strato di porvere, giusto quei quattro-cinque centimetri che avvolge tutti in una tromba d’aria polverosa dalla quale ad un certo punto sbuca ancora lui: Alessandro. Zigzagando da destra a sinistra e da sinistra a destra in un attimo dribbla tre avversari e si porta a ridosso del portiere che scarta con una finta a doppio passo e con un morbido tocco di interno destro insacca in rete la seconda marcatura personale! Due a zero! Dopo il gol Alessandro corre fuori dal campo come se volesse andareverso degli spalti per esultare con i propri tifosi che in realtà esistono solo nella sua immaginazione. Corre e grida , grida e corre mentre due suoi compagni lo rincorrono per abbracciarlo e festeggiare assieme. Il ragazzo è un vero attaccante di razza!
Mentre osservo la scena dell’esultanza, vicino a me ci sono due signori che discutono e si dicono a vicenda che il ragazzo ha talento e che meriterebbe di fare strada, continuando nella discussione iniziano a paragonarlo ad una serie di giocatori che vanno dal Boninsegna al Riva prima maniera, dal Bettega al Pulici e la frase che ripetono alla fine di ogni discorso è : “ma te se ricordet ai noster temp…? propri bei temp quand ghera chei giugadur chi” che tradotto vorrebbe dire: “ma ti ricordi ai nostri tempi…? Proprio bei tempi quando c’erano questi giocatori”. Be io non so se quei tempi erano meglio di questoi so solo che finchè ci saranno sui campi di periferia giovani giocatori come Alessandro il calcio avrà un futuro.
Alessandro Matri
Alessandro Matri (Sant'Angelo Lodigiano, 19 agosto 1984) è un calciatore italiano, attaccante del Cagliari.
Di proprietà fino al 2006-2007 del Milan, si mette in mostra in serie C e B con le maglie di Lumezzane e Rimini. Nel 2007-08 metà del suo cartellino viene acquistato dal Cagliari. Ha esordito con la maglia rossoblù, andando subito a segno, fissando il momentaneo 0-1, in Napoli-Cagliari, nella prima giornata del campionato 2007-2008. Il primo gol in trasferta lo segna contro il Parma, segue poi il gol in casa contro il Catania, allo stadio Azzurri D'Italia contro l'Atalanta, quella nella prima giornata di ritorno sempre contro il Napoli e infine l'ultima il 24/02/2008 contro la Lazio che ha portato un'importante vittoria per il Cagliari. Ha segnato anche in Coppa Italia contro la Sampdoria. Nel periodo di Davide Ballardini e nonostante i suoi preziosi goal, Matri è spesso relegato in panchina a causa del buon periodo di forma dell'attaccante Robert Acquafresca. Tuttavia, nel giorno dopo il divorzio tra la società sarda e il tecnico ravennate, Matri viene riscattato dal Cagliari per 2.300.000 €. ILconsolidamento del ruolo di titolare di altri compagni lo vede spesso partire dalla panchina nella prima parte del torneo, mentre il girone di ritorno lo vede protagonista con sei gol, rispettivamente con Lazio, Juventus, Lecce, Catania, Sampdoria e Roma. L'anno successivo, con la partenza di Robert Acquafresca, si prospetta una stagione più in primo piano per Matri, che però trova qualche difficoltà a partire titolare nelle prime partite e, dopo 12 giornate, arriva a quota quattro gol.

13 novembre 2009

VALERIA

VALERIA
Valeria arrivava al campo da calcio con le gote color vermiglio, sorrideva appena mi vedeva e mi salutava con semplice: “ciao OBI-UAN mister RU”. Era tutta particolare Valeria, si esprimeva con un linguaggio tutto suo, a volte era incomprensibile, ma il più delle volte era spiritosa, divertente e le sue parole ti facevano ridere anche nei momenti più seri. Ti ispirava tenerezza quella bambina dagli occhi convergenti e dal nasino a forma di uncino rovesciato. Si vestiva anche in modo particolare: in testa portava sempre un cappellino di lana che gli aveva sferruzzato la nonna e che non smetteva mai, neppure quando giocava, era ormai parte di lei in qualsiasi momento della giornata. Il sospetto che lo utilizzasse come fazzoletto da naso era fondato, visto che su di esso c’erano anche delle piccole chiazze biancastre diffuse in ordine sparso. Il copricapo in questione era di colore nero. Valeria arrivava sempre per prima al campo perchè era l’unica bambina che faceva parte della squadra dell’Istituto Comprensivo di Lainate e quindi aveva la necessità di cambiarsi da sola; ecco che allora mezz’ora prima degli altri arrivava lei con la sua bicicletta di colore nero fumo di lontra (la definizione era sua), entrava nello spogliatoio si metteva gli abiti sportivi ed usciva ad aspettare gli altri. A proposito di abiti sportivi: anche qui la sua originalità toccava i limiti della decenza e del regolamento. Si vestiva con i pantaloni neri,lunghi sino alla caviglia e larghissimi all’interno dei quali le sue gambe si perdevano. Metteva poi un maglione di colore giallo allampanato che dava fastidio solo a guardarlo. È inutile dire che il numero che portava sulla schiena era l’1. Le mani le infilava nei guanti che erano almeno tre misure più grandi , per lei erano guanti magici perché li aveva avuti in dono dal suo idolo: Pierluigi Buffon. Lei sognava di diventare il Buffon al femminile del calcio italiano. Vedeva e aveva visto tutte le sue partite, a volte in televisione e a volte in diretta allo stadio. Andava allo stadio di Torino quasi tutte le domeniche, accompagnata dal padre tifosissimo della Juventus. Conosceva tutte le caratteristiche del fuoriclasse Juventino e si ispirava a lui durante gli allenamenti e le partite. Buffon era il suo eroe e il suo modello. Lei non era come tutte le altre bambine che impazzivano per gli attori o i cantanti famosi, lei impazziva per lui il portiere più bravo del mondo: Pierluigi Buffon!
Tornando allo spogliatoio: Valeria, dopo essersi cambiata, aspettava tutti seduta sui gradini dell’ingresso degli spogliatoi. Le sue gambe lunghissime e ben distese arrivavano sino all’ultimo dei tre grandi gradini in granito rosa di Sardegna, che si trovavano davanti al cancello d’ingresso e che se si voleva accedere agli spogliatoi si dovevano affrontare con qualche difficoltà. Le braccia altrettanto lunghe e ben distese occupavano tutta la larghezza del cancello. Così Valeria controllava l’entrata e sembrava una vera portinaia, anzi una vera PORTIERA. Valeria era infatti il portiere della squadra under 12 di calcio dell’Istituto. Una squadra che lei adorava, la faceva sentire parte di un gruppo, parte di una famiglia, un porto tranquillo che nella vita non aveva mai avuto. Per lei questa squadra era un territorio conosciuto e amato, dove si parlava un linguaggio comprensibile e condiviso, dove si tornava sempre volentieri. Per Valeria questa squadra era una sosta nel lungo viaggio della vita. Ma torniamo al calcio!Un particolare non trascurabile: Valeria era brava quanto un maschio, anzi di più! L’aneddoto che voglio raccontare è legato a questo aspetto, anzi ne è l’antefatto: “Sono le 14.30 di un giovedì pomeriggio di una primavera, che di primavera non ha nulla, fa un freddo becco infatti. Siamo a Milano in via Cilea n°51 al campo dell’Accademia Internazionale e sta per iniziare la finale provinciale under 12 di calcio a cinque tra il nostro istituto comprensivo “Fermi” di Lainate e l’Istituto Comprensivo “Muratori” di Cornaredo. Noi in tenuta rosso blu, i nostri avversari in completo verde pisello. Io sono l’allenatore in panca e in porta, con noi ovviamente, c’è Valeria. Ai bordi del campetto ci sono dei familiari (5), gli autisti dei bus (2) e qualche curioso, insomma c’è il tutto esaurito e sono rimasti solo posti in piedi. L’inizio della partita è un po’ contratto è un continuo batti e ribatti, le squadre non vogliono prendere gol e pensano più a difendersi che a costruire buone trame di gioco per farlo il gol. Siamo noi ad aprire le segnature con un tiro al sette del Rino. Loro ci tentano in tutti i modi ma Valeria si supera parando l’imparabile. Il nostro secondo gol arriva dopo cinque minuti con un’altra bomba del Tano che piega le mani al portiere avversario. Dopo due minuti l’arbitro assegna un calcio di rigore alla squadra avversaria per un fallo di mano (netto) del solito Pila! Valeria…PARA! Finisce il primo tempo e si vince 2 a 0! Nel secondo tempo non cambia la musica: loro attaccano e “NOI” pariamo tutto o meglio Valeria para tutto. A due minuti dalla fine la loro punta, certo Nello, fa un gol di fortuna dopo una carambola interminabile, la palla prima di entrare tocca ben quattro gambe. A questo punto loro cominciano a crederci più che mai, ma Valeria si supera in almeno tre occasioni e salva il risultato! CAMPIONI PROVINCIALI DI CALCIO A 5!! Tutti a portare in trionfo Valeria che è stata la vera eroina della partita. È a questo punto che mi si avvicina una persona (della quale non farò il nome) che io conosco da anni perché fa l’osservatore per il settore giovanile di una società professionistica di serie C (che non citerò) che mi dice: “senti Giuliano che ne diresti di mandarci questo portiere per un provino? E’ veramente forte questo Valerio…non è da Inter ma per noi potrebbe andare” rimango basito, non so se ridere e rispondere che non si tratta di “un” ma di “una”. Sto zitto gli sorrido e rispondo: “vedremo prima di mandartelo lo voglio provare io all’Inter e casomai dopo si vedrà…” il mio interlocutore fa un cenno di assenso e se ne va dicendomi: “fammi sapere noi siamo veramente interessati a questo VALERIO”. Lo saluto e girandomi me la trovo di fronte Valeria tutta contenta e sorridente, l’abbraccio e le faccio i miei complimenti dicendole una cosa che la farà sicuramente felice: “Valeria il nuovo Buffon del calcio del calcio femminile!” ride prende il cappello di lana tra le mani e … si soffia il naso! Nooo!

02 novembre 2009

SAMUEL

SAMUEL
“Pronto chi parla? Pronto! Pronto! Si può sapere chi sei?” il telefonino aveva fatto circa quattro squilli prima che io lo potessi sentire. Ero negli spogliatoi e il cellulare era nei pantaloni dei jeans appesi nell’armadietto. Guardai il piccolo schermo del cellulare e vidi la dicitura:-numero sconosciuto- stavo per riattaccare quando un filo di voce replicò: “Pronto mister sono io Samuel”. Samuel erano quattro giorni che non avevo sue notizie. Oggi, giovedì, doveva presentarsi all’ultimo allenamento della settimana ma stranamente non si era visto. “Ciao Samuel, come mai oggi non sei venuto all’allenamento?” silenzio, dall’altro capo della comunicazione non c’era segno di vita. Allora ripresi: “pronto Samuel ci sei? Sei ancora in linea?” “Si mister ci sono” rispose con il solito filo di voce e fu in quel momento che sentii una voce maschile che sembrava provenisse da un altro apparecchio e da lontano: “dai diglielo, digli quello che hai deciso!” ripresi subito la parola e dissi: “scusa Samuele chi c’è li con te?” Samuel rispose subito: “c’è mio padre mister” fece una pausa e poi riprese a parlare: “Senta mister io non vengo più! Non voglio più venire a giocare!” i bambini sono così diretti, senza tanti giri di parole e senza tanti fronzoli vanno subito al nocciolo della questione. Samuel è così, un bambino diretto, schietto e trasparente. Quello che ha da dirti te lo dice in faccia senza usare tanti giri di parole. Samuel è anche un bambino di talento calcistico straordinario. Un bambino che fa la differenza. Quando vole prende la palla salta in dribbling due o tre giocatori avversari e fa gol con una semplicità inconsueta per uno della sua età. È un bambino che gioca per il piacere di giocare e lo si vede quando viene al campo che il calcio per lui è una passione. Una volta sua madre mi disse che prima di andare a letto trovò Samuel vestito con la divisa da calcio e lei gli chiese il perché e lui rispose: visto che tutte le notti sognava di giocare a calcio voleva farsi trovare pronto con la maglia della sua squadra per la partita che doveva giocare. Ci avevamo scherzato su questo fatto io e Samuel, ricordo che gli avevo detto che a letto doveva portarsi anche gli scarpini e non dimenticare il pallone e lui aveva riso e abbassando la testa aveva raggiunto il gruppo contagiandolo con la sua allegria. Perché Samuel ora non voleva più venire a giocare? Cosa stava succedendo? La domanda che mi uscì fu la più ovvia delle domande ovvie: “e perché non vuoi più giocare a calcio?” la risposta non si fece attendere: “non mi diverto più mister ecco perché non voglio più venire a giocare a calcio!” un bel pasticcio, non sapevo cosa ribattere a questa dichiarazione tanto decisa e perentoria. Un bambino di undici anni diceva di aver perso la voglia di giocare a calcio ed io non sapevo cosa rispondere, proprio un bel pasticcio! L’unica idea che mi venne fu quella di dire: “senti Samuel fai una bella cosa, sabato vieni a giocare la partita e se vuoi ne parliamo dopo di che deciderai. Ok? Che ne pensi?” ci fu una pausa e subito dopo una risposta decisa: “ok mister vengo sabato ma per l’ultima volta!” “Va bene Samuel ok!” prio in quel momento mi venne un’idea: “ah Samuel fai una cosa per sabato SCRIVI un breve temino su –che cosa è per te il gioco del calcio e portamelo, sono convinto che questo potrebbe essere utile alla discussione che ci sarà tra di noi, Ok?” ancora breve pausa e poi sentii: “ok mister sabato ci sarò per giocare l’ultima partita e porterò il tema”.
Tema di Samuel dal titolo: COSA E’ PER ME IL GIOCO DEL CALCIO
Svolgimento:
Il CALCIO per me è tutto. Ho iniziato a giocare a pallone già all’età di 4 anni nella squadra vicino a casa con bambini più grandi di me. Fin dall’inizio ho provato con il pallone un’emozione grandissima, una passione grandissima, nuove e bellissime amicizie ed infine la cosa più importante un continuo divertimento. Oggi ho undici anni gioco a Milano nell’Inter e pur facendo molta strada ogni volta che vado a giocare ho ancora una grande passione e ho fatto nuove amicizie. Oggi però mi trovo difronte a paure che non ho mai provato e che nell’allenamento non mi sfiorano nemmeno. Purtroppo io sono un bambino che ha poca pazienza e pretendo che spariscano subito. So che la strada sarà difficile e faticosa ma io fine alla fine ci proverò con tutte le mie forze perché mi sono reso conto in questi giorni, che non sono andato agli allenamenti, che il calcio è la mia vera passione.
Samuel…
È inutile dire che Samuel sta giocando ancora a calcio e, secondo me, anche se non dovesse diventare un calciatore professionista diventerà sicuramente un UOMO VERO!
(per correttezza nei confronti del bambino il nome è pura invenzione)

NICOLA

È una domenica mattina fredda e soleggiata di un autunno inoltrato. Il sole ha sciolto la brina che aveva ricoperto il campo di calcio di via Orsini a Milano. Oggi giochiamo contro l’Aldini, una società prestigiosa nel panorama del calcio giovanile, non solo milanese ma anche nazionale, per i suoi successi ottenuti nei campionati allievi e giovanissimi. I bambini che oggi scenderanno in campo sono del 96, i miei, e del 95 quelli dell’Aldini, entrambe l’età fanno parte della categoria esordienti. L’appuntamento è per le 11.00 al campo. Mentre mi accingo a varcare la soglia del centro sportivo, scorgo molti visi conosciuti, e guardando un po’ più in la mi accorgo che nel calmpo dove giocheremo noi si sta disputando già una partita. Mi dirigo verso il campo da gioco e d’istinto osservo quel che succede sulle panchine e noto, in una di esse, un allenatore giovane dai capelli ricci e biondi. È un viso noto, mi sembra proprio di conoscerlo, ma Si è proprio lui! È Nicola un mio ex allievo, di quando allenavo al Milan gli esordienti regionali, circa dieci anni fa. Nicola era un giocatore tecnico. Un centrocampista di qualità, subiva un po’ la fisicità degli avversari, ma usciva dalle situazione di gioco con intelligenza e sagacia. Sempre attento riusciva ad essere efficace soprattutto negli spazi stretti e aveva giocate originali che non sempre venivano sfruttate dai compagni di squadra. Adesso era li su di una panchina a fare il Mister! Sembrava ieri quando…lasciamo stare e torniamo al presente!
Nicola seguiva la partita in piedi dando indicazioni, rimproveri, incitamenti, complimenti e addirittura distribuendo applausi. Non faceva mancare nulla alla sua squadra di tredicenni, si era l’allenatore della squadra giovanissimi B dell’Aldini. Caratterialmente mi ricordavo un Nicola tranquillo silenzioso, timido e quasi riservato. Qui invece vedevo un giovanotto pieno di energia e quasi aggressivo. Ma non avevo visto ancora nulla. Il vero Nicola infatti lo vidi dopo che il numero 7 della sua squadra, immarcabile in quella partita, scese sulla fascia fece cross e il numero 9 realizzò un gol stupendo, lui ebbe uno scatto di gioia incontrollabile saltava e gridava gol-gol-gol! Palla al centro e Nicola si ricompose e continuò a dare consigli alzando il tono della VOCE: “dai Cris più decisione”, “dai Manu dacci dentro”, “forza Cocu”. Nicola parlava per acronimi. Nomi, cognomi e soprannomi tutti ridotti all’essenziale: due sillabe e via! Non si mangiava le parole riduceva le sillabe inutili per ottenere una comunicazione più veloce. Effettivamente la differenza tra l’avvertimento: “attento Alessandro” e l’altro: “attento Ale” era quello che bastava per impedire l’anticipo di un avversario. Mi incuriosiva Nicola, mi piaceva il suo modo di essere e di fare l’allenatore. Così mi intrufolai tra il pubblico e iniziai a fare domande sul biondino che era in panchina. I difetti e i pregi che mi riferirono erano quelli tipici di noi istruttori di settore giovanile: “è esigente, è irascibile, è comprensivo, carica bene la squadra ma ogni tanto alza troppo la voce…”. Mano a mano che ascoltavo le caratteristiche che lo contraddistinguevano mi accorgevo che Nicola mi assomigliava e questo un po’ mi inorgogliva, ma quando mi dissero che lui nei suoi discorsi ai ragazzi citava sempre quello che diceva “un suo vecchio allenatore” dal nome Giuliano, sentii montare l’emozione. Non vedevo l’ora che finisse la partita per salutarlo e per fagli gli auguri per la sua nuova carriera. Proprio in quel momento l’arbitro fischiò la fine della partita. Mi avviai verso gli spogliatoi con tutti i componenti della mia squadra. Le squadre che avevano giocato la partita precedende erano già negli spogliatoi. Chiesi dove potevo trovare Nicola, mi dissero spogliatoio numero 3, mi avvicinai e lo sentii che diceva: “bravi ragazzi abbiamo vinto una partita difficile perché questo avversario normalmente riesce a mettere in difficoltà chiunque. Noi gli abbiamo tolto la possibilità di giocare tranquillamente, era questa la nostra chiave per la vittoria.” Però si esprimeva come un vero allenatore, allora invece di bussare stetti ad ascoltare o meglio ad origliare: “Ci siamo riusciti molto bene. Siamo riusciti a comandare la partita seppure non ci siano state grandi occasioni da gol. Abbiamo solo rischiato su un contropiede a causa di un rimpallo. La squadra avverasaria non ci lasciava spazi, chiuso nella sua metà campo, cercava di colpirci in contropiede. Ma questo contropiede non è mai partito perché voi ragazzi siete stati bravissimi per intensità e forza fisica. Ho visto grande voglia di aiutarsi, senso tattico. Poi è venuta la qualità, il gol di Andrea poi ci ha dato la possibilità di arrivare al successo. BRAVI E COMPLIMENTI A TUTTI!” Stavo per bussare quando sentii: “ Un mio vecchio allenatore direbbe: -L’importante non è quello che provi alla fine di una partita, ma quello che provi mentre stai giocando la partita” Era una mia frase, la dicevo spesso ai miei giocatori e Nicola la stava ripetendo ai suoi giocatori citandomi. Decisi in quel momento che avrei bussato e lo avrei salutato. Bussai e dall’altra parte rispose la sua voce: “Chi è?” la risposta fu immediata: “UN VECCHIO ALLENATORE!”

31 ottobre 2009

PREPARIAMO LA SQUADRA

Nella preparazione delle squadre giovanili di calcio il principio conduttore e la necessità di riunire negli esercizi il divertimento allo sviluppo tecnico-tattico.Addolcire l'allenamento mettendo in forma di gioco ogni parte della seduta è tanto più efficace quanto minore è l'età del ragazzo all'interno di una fascia compresa tra i dieci e i sedici anni.Nei primi due anni di questo periodo si deve porre l'obiettivo di insegnare ai giovani a disporsi e muoversi con logica sul campo di gioco.Superati questi due primi anni si entra in una fase critica dello sviluppo fisico compresa tra i tredici e quattordici anni. Questo periodo corrisponde in parte alla pubertà durante la quale molti fattori agiscono sulla stabilità emotiva del giovane per cui si rende quasi obbligatorio il raggiungimento della più assoluta serenità nell'allenamento.Il gioco deve diventare parte fondamentale del metodo di insegnamento per allentare le tensioni che possono formarsi nel gruppo familiare, nella scuola, tra gli amici e in altre formazioni sociali.Lo svago si configura strumento di distensione che tuttavia non deve essere separato dall'affinamento di particolari qualità, siano queste atletiche e tattiche.

26 ottobre 2009

SONO NATI I CENTRI DI FORMAZIONE F.C.INTERNAZIONALE

MILANO - I numeri dicono che, a oggi, il 30% dei calciatori tesserati per il Settore Giovanile di F.C. Internazionale proviene dalle società affiliate. Sempre i numeri raccontano che, dal 1996 a oggi, più di 300mila bambini sono stati ospiti al "Meazza" in occasione delle partite ufficiali, che sono stati distribuiti 75mila kit Nike, che le scuole calcio estive hanno registrato 16mila iscritti, che 8mila tecnici delle società affiliate hanno partecipato ai corsi di aggiornamento, più di 5mila e 500 allenatori del Settore Giovanile nerazzurro hanno visitato le società affiliate mentre in più di 4mila hanno potuto assistere alle sedute di lavoro al centro sportivo "Giacinto Facchetti", più di 1600 bambini sono stati seguiti dallo staff medico del Settore Giovanile nerazzurro e più di 800 amichevoli sono state organizzate con le società affiliate.
"Sono risultati straordinari - commenta Ernesto Paolillo, amministratore delegato e dg dell'Inter -, ma il Settore Giovanile, per un grande club come il nostro, è come un fondo patrimoniale, quindi ogni giorno bisogna lavorare per migliorarlo". Un passaggio fondamentale, in tal senso, è la nascita dei primi sei Centri di Formazione Inter (cdf), alba di un progetto nazionale che va oltre i rapporti di affiliazione e propone, in Italia, una novità assoluta: riproporre, in tutto e per tutto, il modello nerazzurro di filosofia e di lavoro per uniformarlo attraverso società di comprovata ed elevata qualità strutturale tecnico organizzativa in riferimento alle categorie Piccoli Amici, Pulcini ed Esordienti, quindi dai 6 ai 13 anni.
Sono già attivi due centri a Milano (Cs Accademia Internazionale ed Fc Enotria), due in Lombardia (Asd Sarnico in provincia di Bergamo e Accademia Calcio Como), una in Emilia Romagna (Fcd S.Giuseppe Calcio di Piacenza) e una in Piemonte (Suno Fcd in provincia di Novara). Sei vere e proprie 'succursali' del centro sportivo "Giacinto Facchetti" di Milano dove ogni direttore tecnico di ogni singolo centro di formazione, tutti scelti dal Settore Giovanile dell'Inter, ha il compito di coordinare tutte le attività uniformandole a quelle di F.C. Internazionale.
"Sono molto contento che la mia società abbia avviato questo progetto - ha sottolineato Josè Mourinho, intervenuto alla presentazione organizzata da Roberto Samaden, responsabile tecnico del Settore Giovanile -. Lo considero, a tutti i livelli, un progetto sociale e non solo calcistico perché, per la fascia d'età alla quale si rivolge, lo sport è importante nella formazione del ragazzo più che dell'atleta, dell'uomo che sarà più che del calciatore che sarà. Mi piacerebbe tanto poter raccogliere, in prima squadra, il frutto di questo lavoro, ma non so se sarà possibile perché, chi lavora con i giovani, sa che i tempi del raccolto sono lunghi, ma l'atto della semina è decisivo, importantissimo, fondamentale. Avere una squadra, in futuro, con una forte presenza del 'made in Inter', questa è la bellezza del progetto che, nella globalità dei nostri tempi, va oltre il luogo di nascita del ragazzo o il suo passaporto, ma ha radici, culturali-sportive, nel club di appartenenza".
Roberto Samaden (responsabile tecnico del Settore Giovanile F.C. Internazionale), Giuliano Rusca (responsabile attività di base del Settore Giovanile F.C. Internazionale), Stefano Bellinzaghi (dt) e Simone Terraneo (responsabile attività di base) all'Accademia Internazionale di Milano, Gianni Vivabene (dt) e Roberto Ricella (responsabile attività di base) all'Enotria di Milano, Bruno Casiraghi (dt) e Giovanni Valenti (responsabile attività di base) all'Asd Sarnico, Michele Ravera (dt) e Nazzareno Tosetti (responsabile attività di base) all'Accademia Calcio Como, Federico Marzolini (dt) e Davide Puglia al Fcd San Giuseppe di Piacenza, Paolo Migliavacca (dt) e Mattia Rolfo (responsabile attività di base) a Suno in provincia di Novara. Questa, per il momento, è la grande squadre dei Centri di Formazione Inter. "Per il momento - come sottolinea Samaden - perché, come in tutti i nostri progetti, sappiamo sempre da dove partiamo e mai dove arriviamo, perché la competenza, l'entusiasmo e la passione ci portano sempre oltre gli stessi obiettivi prefissati".

11 settembre 2009

GIANLUCA

Gianluca
Gianluca è un bimbo dagli occhi verdi molto grandi, curiosi e sospettosi. Guarda il pallone rotolare sul prato con un'attenzione particolare come se volesse contare il numero degli esagoni che ne avvolgono la superficie. Già si immagina campione di serie A, si vede giocare con i più grandi negli stadi più importanti. È ancora un Pulcino e gioca con i suoi piccoli amici. Vuoi mettere la bellezza di sfidarli tutti in interminabili uno contro uno in un allenamento vero? Vuoi mettere la bellezza di sfidarli su un campo regolamentare di calcio e non nel cortile di casa? Qui si che c'è soddisfazione! Qui si che c'è divertimento! Vuoi mettere fare un campionato vero con le magliette tutte colorate, contro degli avversari veri e alla presenza di un arbitro vero?
Tutto è iniziato così per Gianluca. Non pensava di certo, a otto anni, di entrare un giorno nell'almanacco dei giocatori della storia del calcio, di vincere scudetti e coppe dei campioni e di indossare persino la maglia della Nazionale. Suo padre gli aveva instillato la passione per il calcio. Alla domenica lo portava allo stadio di Como dove giocavano gli “azzurri lariani” e li si divertiva un mondo nel vedere quei lunghi passaggi dei giocatori che mandavano la palla addirittura a finire nelle acque del lago.
Il bimbo predilige correre dietro al pallone che perdere tempo a guardare gli altri che giocano e si divertono, così allo stadio lui si porta il pallone e gioca da solo, gioca e si diverte!
Viene notato da me mentre gioca nella squadre di Albate. È una giornata di Settembre giochiamo, io allora allenavo gli esordienti del Calcio Como, al comunale di Albate contro l'Albatese. Dopo dieci minuti vinciamo uno a zero e l'arbitro assegna all'Albatese un calcio di punizione, la palla è posizionata dall'arbitro a circa venticinque metri dalla nostra porta. Attorno alla palla si forma un cappanello di ragazzini da dove fuoriesce un piccoletto con la palla in mano, senza parlare la piazza per terra e indietreggia per prendere la rincorsa. Mi chiedo: “non vorrà mica tirare?” Tira! Parte la rincorsa, calcia di destro una "botta" incredibile che si insacca proprio all'incrocio. Gol uno a uno. Io e il mio accompagnatore il sig. Rustignoli ci guardiamo negli occhi e ci capiamo subito, questo è da seguire! Durante la partita lo osserviamo: è un centrocampista centrale, corre come un matto per tutto il campo e , per la sua età, ha un tiro micidiale. Ha poi un innato senso del gol, infatti dopo cinque minuti ci fa un altro gol! È deciso lo convochiamo per martedì ad Orsenigo! Il lunedì seccessivo il ragazzo viene preso e inserito nella squadra esordienti del Calcio Como, facendo poi tutta la trafila nelle giovanili e ottenendo i risultati sognati!
GIANLUCA ZAMBROTTA
Dotato di un fisico potente e resistente, è cresciuto nelle giovanili del Como e nei primi anni della sua carriera ha ricoperto ruoli offensivi come esterno di centrocampo o ala.
L'esordio nel mondo del calcio professionistico è avvenuto nel 1994 nella sua città natale. Zambrotta è rimasto per tre stagioni al Como, giocando in Serie B e in Serie C1.
1997-1999: Bari [modifica]
Nel 1997 è passato al Bari, dove a 20 anni ha esordito in Serie A il 31 agosto 1997 in Bari-Parma (0-2).
Con la squadra pugliese si è messo in luce sia per le sue ottime qualità tecniche che per le sue qualità tattiche. Nella formazione barese veniva impiegato da jolly d'attacco o da esterno di centrocampo. Zambrotta ha disputato 2 ottime stagioni con il Bari, tanto da guadagnarsi la chiamata in Nazionale e l'attenzione dei grandi club.[3]
1999-2006: Juventus [modifica]
Nella stagione 1999-2000, a 22 anni, è passato alla Juventus. Nel 2002 l'allenatore Marcello Lippi lo ha impiegato per la prima volta come terzino sinistro, e in seguito la scelta si è rivelata permanente perché Zambrotta si è espresso subito ad altissimi livelli,[4] diventando uno dei migliori interpreti del suo nuovo ruolo. Il suo controllo di palla in corsa, la sua abilità tattica, sia offensiva che difensiva, lo hanno fatto diventare un giocatore di livello mondiale in questo ruolo.
Sotto la guida di Lippi ha conquistato due scudetti (2002 e 2003). Nel 2003, dopo le grandi prestazioni in Serie A e in Champions League, dove ha perso la finale di Manchester ai rigori contro il Milan, è stato onorato con inserimento nella lista tra i contendenti al Pallone d'oro insieme ad altri compagni della Juventus.
Anche i due anni con Fabio Capello alla guida dei bianconeri, dal 2004 al 2006 sono stati molto proficui per Zambrotta, che ha vinto uno scudetto il primo anno e un altro sub-judice l'anno seguente per via di Calciopoli. A seguito delle decisioni della giustizia sportiva, tuttavia, il primo scudetto è stato revocato dalla CAF e il secondo assegnato all'Inter.
Il 21 luglio 2006, Zambrotta ha lasciato la Juventus a seguito delle vicende giudiziarie che hanno provocato la retrocessione della società torinese. A 29 anni ha deciso di andare a giocare in Spagna, acquistato dal Barcellona per 14 milioni di euro,[5] insieme al compagno della Juventus Lilian Thuram.[6]
Nel Barcellona è stato impiegato dal tecnico Frank Rijkaard prevalentemente come terzino destro. Ha disputato la prima partita con la nuova maglia il 13 agosto 2006 in amichevole contro i New York Red Bulls e ha esordito in partite ufficiali il 17 agosto 2006 in Supercoppa di Spagna nel derby con l'Espanyol, subentrando all'81° minuto a Puyol.[7]
Ha segnato il primo gol con la maglia blaugrana il 17 marzo 2007 in Recreativo Huelva-Barcellona 0-4[8] e si è ripetuto, sempre nella stagione 2006-2007 anche contro l'Atlético Madrid al Vicente Calderón, nella peggior sconfitta interna dell'Atlético (0-6),[9] e contro il Gimnàstic.
Durante la militanza nel Barcellona, nel dicembre 2006 è stato nominato presidente onorario del Como.[10]
Dopo un insistente circolare di voci di calciomercato durato per alcuni mesi, il giocatore ha lasciato il Barcellona il 31 maggio 2008 per approdare al Milan per la cifra di 9 milioni di euro più altri 2 nel caso in cui il Milan concludesse il campionato 2008-2009 almeno al terzo posto.[11][12]
Ha esordito in partite ufficiali con la maglia rossonera il 31 agosto 2008 in Milan-Bologna 1-2, prima giornata della Serie A 2008-2009. Il 21 settembre 2008 ha segnato il suo primo gol ufficiale con la maglia rossonera nel posticipo della terza giornata di campionato contro la Lazio, realizzando al 35° minuto il 2-1 per il Milan (4-1 il risultato finale).

07 settembre 2009

PIX SCRIVE ALLA MADRE

Cara Madre,
avrei voluto salutarti meglio, avrei voluto parlare con te ma il tempo delle decisioni non me l'ha permesso. Avrei voluto e voglio dirti l’amore che ho nel mio cuore per te. Madre che mi hai messo al mondo è giunta l'ora di lasciarci e proprio in questo momento voglio dirti quanto ti amo.
Tu sei la Madre che mi abbracciava in ogni percorso della mia vita, mi prendevi per mano quando non sapevo dove andare e mi accompagnavi con la tua fermezza. Mi rialzavi tutte le volte che cadevo con quel sorriso così dolce che mi scioglieva il cuore e che faceva sembrare tutto più bello e semplice.Cerca di capire con il tuo grande cuore cara Madre il tuo avventuroso figlio, non è facile per me…lasciare il cuore di una madre che si strugge per suo Figlio che parte per sempre e mai tornerà. Soffro per il dolore che ti sto procurando, soffro per la sofferenza che ti arrecherà la solitudine, soffro perchè non si sentono le urla del mio cuore per te. Tu sei sempre lì con me, accanto a me! Tu Non mi lascerai mai, sarai sempre li in un angolo e mi guarderai, mi vedrai cadere e rialzare, mi vedrai sorridere, mi vedrai piangere e mi vedrai raggiungere traguardi e Tu, ne sono sicuro, farai il tifo per me…Hai reso la mia vita speciale con il suo amore, mi hai donato affetto e calore materno senza misura senza interesse e senza egoismo. Tu mi ami perchè sei mia Madre. Hai donato a me, al tuo figlio, tutto l'amore possibile, hai donato tutta te stessa e i tuoi sogni; a me hai sacrificato con gioia tutto quello che era necessario. Sei la stella della sera che brilla luminosa in cielo e mi rassicura sempre. La rugiada del mattino che accarezzerà il mio viso e mi donerà il sorriso mi ricorderà che esisti e che mi aspetti. Grazie Madre, quello che posso dirti è solo un umile grazie. Queste parole tienile per te e tienile sul cuore e quando avrai voglia di sentire l'amore che tuo figlio prova per te leggile e non ti sentirai sola.
Con tanto affetto Tuo figlio Pix”

02 settembre 2009

PIX 14

Pix sapeva che doveva da quell'istante attivare due procedure obbligatorie ed importanti per la sua sicurezza e per quella del Pianeta Terrax. La prima era quella di programmare il ritorno della navicella al Pianeta di provenienza; la seconda, la più complessa e la più dolorosa a livello affettivo, era quella della sua definitiva trasformazione in UMANO! Era già notte ed era molto stanco ma doveva mettersi al lavoro. La sua presenza era stata rilevata e lui sapeva benissimo quali erano i pericoli. Entrò nella CABINA DI PILOTAGGIO, inserì la chiave elettronica per azionare i comandi nell'apposita fessura, digitò il codice segreto sul computer di bordo e al segnale:-inserire coordinate di volo- digitò a sua volta la rotta che avrebbe dovuto eseguire la navicella per arrivare sul pianeta TERRAX. Pix guardò fuori dall'oblò e vide che attorno alla navicella si estendeva la boscaglia verde ed addormentata nell'estate terrestre. Il fruscio delle foglie echeggiava all'interno della navicella e il suono dei tasti accompagnava questo suono dolce e delicato. Gli alberi erano betulle che frusciavano al vento e mostrando i loro riflessi biancastri sembravano campanili di chiese romaniche. Pix impallidì e per un attimo si fermò a pensare: “Cosa sto facendo? Che ne sarà di me? È assurdo non doveva capitare!” gli sembrava di sognare, ma quella era la realtà che lui voleva e che aveva scelto e così continuò la procedura per la partenza della navicella. L'inserimento dei codici e delle coordinate portarono via circa due ore di lavoro, dopo di che Pix si diresse verso la cella di trasformazione. Era stremato, le gambe lo sorreggevano a stento e aprì con difficoltà la porta della cella. C'era un chiaro di luna che illuminava tutto l'interno dell'astronave, Pix aveva dovuto spegnere tutte le luci della navicella perchè così prevedeva la procedura. Entrò nella cella quadrata e silenziosa che era così ben insonorizzata che non lasciava udire altro suono che il suo respiro. Si sedette sulla poltrona e tutta la tensione fu messa da parte. Difronte a lui c'era la console di comando, iniziò ad emozionarsi quando sul monitor vide la dicitura- trasformazione definitiva in UMANO. Si la parola UMANO era scritta in maiuscolo ed era evidenziata in grassetto. Nella sua testa riprese a farsi delle domande: “Come? Come poteva avvenire tutto ciò? E perchè? A quale scopo?” lasciò che che ogni sorta di domanda cadesse nel vuoto come aveva fatto con le sue braccia un attimo prima di sollevarsi e schiacciare il tasto del VIA all'operazione trasformazione definitiva. Pigiò il comando, Chiuse gli occhi e la trasformazione in umano iniziò. Attese a capo chino, il suo cervello prese a sfornare immagini in un vortice sempre più profondo e largo e ad un tratto avvenne il tutto: ci fu una vampata di calore che percorse tutta la schiena e arrivò sino ai piedi, sembrava che avesse un gran fuoco tutto dentro al suo corpo. Le orecchie gli ronzavano e Pix sentì un dolore lancinante al capo e lanciò un grido. Senza rendersene conto e con un respiro affannoso si alzò, aprì gli occhi e guardò il monitor e lesse la seguente frase:
PROCEDURA ULTIMATA! ORA SEI UN UMANO!!
Uscì dalla cella e cercò subito l'uscita. Aveva solo pochi minuti per allontanarsi da quel posto, tra poco la navicella sarebbe partita con destinazione Terrax e lui doveva essere lontano da li per evitare le fiamme dei motori. Uscendo si diresse verso il bosco cercando di allontanarsi il più possibile, ma la stanchezza limitava i suoi movimenti rendendolo impacciato e lento. Il rombo dei motori della navicella iniziavano ad essere assordanti. Uscì dal bosco e si buttò a terra e poi ci fu un lampo che illuminò tutta la zona circostante. Si sentì un rombo fortissimo e alzò gli occhi al cielo appena in tempo per vedere la navicella che si stagliava verso il cielo notturno lasciandosi dietro una lunga scia di polvere bianca. Sorrise, la navicella era alta nel cielo e sicuramente sarebbe andata verso la rotta predestinata. Fece appena in tempo a vederla sparire nel iper-spazio e poi adagiò il suo capo per terra cadendo in un sonno profondo.

30 agosto 2009

PIX FINE

TRENT'ANNI DOPO...
“...gentili signori e pregiatissime signore di tutto l'universo conosciuto è il vostro Nicolò Martellimpizzul che vi sta parlando dal pianeta Terrax per raccontarvi l'ultimo atto, cioè la finale, del primo campionato intergalattico di calcio. Oggi si affronteranno le squadre del pianeta Terrax, guidata dal famosissimo allenatore PIX Ponix e la squadra del pianeta Terra guidata dall'altrettanto famoso allenatore Dadi Dodi. Lo striografo Henry Millebaal ha definito questo l'evento più importante di tutti i tempi-” Così iniziava la telecronaca in universo-visione di quella partita dove Pix e Dadi, dopo una gloriosa carriera nelle squadre professionistiche più blasonate del pianeta Terra, si affrontavano come allenatori delle rappresentative dei loro pianeti. In tutti questi anni si erano dedicati a promuovere il calcio per tutto l'universo conosciuto e dopo trent'anni erano riusciti ad organizzare il campionato universale sul pianeta Terrax. Sembrava un puro atto di velleità, una speranza superiore alle loro forze invece i due “fratelli”, sono riusciti a realizzare il loro sogno dopo tanti sforzi. Questa competizione, unica nel suo genere, si svolse nello stadio più grande di tutto l'universo. La struttura poteva contenere cinquecentomila posti a sedere. Questo miracolo dell'architettura era ed è di per sé la più comunicativa opera di pace che si potesse costruire.
Dopo tanti anni di lavoro i vari popoli dell'universo avevano riconosciuto l'utilità del calcio come mezzo di pace, il calcio era diventato per tutti un evento che imponeva precise regole a chi lo organizzava, dirigeva e praticava. Il calcio per tutti quei pianeti che facevano parte della confederazione universale del gioco calcio era diventato soprattutto un fatto culturale perchè intimamente connesso al tessuto sociale dell'agire ed alla crescita dei giovani di tutto l'universo. Il calcio oramai non aveva più confini, ne colore e neppure età; non era condizionato da ideologie politiche o religiose; trascendeva i confini del sesso ed entrava nel vissuto di ognuno dei cittadini dell'universo. Di calcio ci si vestiva; per il calcio si gioiva, si rideva e si piangeva. Ci stava dentro tutto nel calcio: gioco, fantasia, tecnica e tattica, agonismo ed esasperazione insieme. Il calcio era spettacolo, sogno per i bambini e per gli adulti di chi giocava e di chi assisteva all'evento. Vi regnavano fede e bandiere, miti e leggende, records e primati, in una convivenza che ospitava disparati strati sociali. Per la nuda cronaca la partita quel giorno ebbe questo andamento: la squadra di Terrax andò in vantaggio al vetitreesimo del primo tempo con un colpo di testa di Olivix, un difensore roccioso e arcigno, proiettato in attacco per la realizzazione di un calcio piazzato. Il gol, come al solito nel gioco del calcio, arrivava nel momento migliore del gioco di Terra che dopo aver preso bene le misure alla squadra di Pix rischiava di andare in vantaggio più volte. Tutto il primo tempo la squadra di Dadi cercò di pareggiare senza riuscirci. Nella ripresa il pareggio della squadra della Terra arriva da un angolo calciato con il contagiri da Pessot: il colpo di testa di Bordonal, sul cross di quest'ultimo, è da rapace d'area di rigore e si va sull'uno a uno. Le azioni si susseguirono senza sosta e senza esito e con il risultato di uno a uno si conclusero i tempi regolamentari. Ai tempi supplementari poco cambiava, il gioco stazionava soprattutto a centrocampo senza che una delle due squadre avesse la meglio sull'altra e dopo un'occasione da gol per parte ci si avviava verso la lotteria dei calci di rigori. Il pubblico che sino ad allora aveva gioito e sofferto con urla e incitazioni per i propri beniamini si era fatto taciturno quasi volesse recuperare le energie sprecate nello sforzo di spettatore. I rigoristi delle due squadre erano stati segnalati alla terna arbitrale e da li a poco avrebbe avuto inizio l'emozionante recita dei rigori, ma a quel punto i due allenatori con un richiamo dagli altoparlanti dello stadio e dissero insieme: “il calcio ha una potenzialità educativa grandiosa: il senso di fratellanza, l'onestà, il rispetto del corpo proprio ed altrui contribuiscono all'edificazione di una società civile dove all'antagonismo si sostituisca l'agonismo, dove allo scontro si sostituisca l'incontro ed alla contrapposizione astiosa il confronto leale. È per questi motivi che vi diciamo che la PARTITA FINISCE QUI sul punteggio di PARITA' lanciando un messaggio di speranza a tutto l'universo che impari da questi atleti come si può essere avversari e rispettarsi per quello che si è! GRAZIE PER TUTTE LE PARTITE CHE GIOCHERETE IN SANA COMPETIZIONE, CON ONESTA' DI INTENTI ED AUTENTICA PASSIONE SPORTIVA!” Dopo un breve attimo di silenzio gli spettatori iniziarono ad applaudire e a festeggiare questa decisione come si festeggia una nuova vita che viene al mondo e sul video dello stadio comparve un enorme e colorato da mille colori: GRAZIE! Ed esplose la festa.

13 agosto 2009

PIX 13

Olga era disorientata, ma aveva visto con i suoi occhi quella specie di palafitta appoggiata sul terreno su quegli enormi tentacoli di metallo lucente, aveva visto con i suoi occhi gli occhi di Pix illuminarsi e irradiare un raggio fluorescente dal colore azzurro, ed infine aveva visto con i suoi occhi salire Pix sulla scala mobile che lo portava all'interno di quella specie di casa. Mentre la ragazzina riordinava le idee, non riusciva a staccare la sua attenzione visiva da quell'abitacolo così ben sagomato da sembrare proprio un disco volante. Si l'aveva detto quello non sembrava, era un disco volante! Era proprio come lo disegnavano nei fumetti: era ovale e di colore grigio, l’oggetto era stretto da un lato e più ampio da un altro. Aveva delle piccole protuberanze, come piccole ali. Si era avvicinata all’oggetto in modo da poterne valutare la consistenza e il materiale. Esso era stato costruito con un qualche tipo di metallo, di circa 10 metri di lunghezza. Non avrebbe mai neppure immaginato una cosa simile, man mano che avanzava verso uno dei tentacoli d'appoggio, gli sembrava di sentire un rumore sordo, come una debole vibrazione proveniente dall'interno dell'abitacolo. Era l'imbrunire ma quel posto sembrava essere tutto illuminato e infatti si accorse che la scala che aveva portato Pix all'interno stava scendendo verso il terreno rischiarando tutto. Senza rendersene conto urtò con il braccio contro il piedistallo di metallo provocando un rumore che echeggiò e si diffuse nello spazio circostante. Subito dopo sentì la voce di Pix: “dove sei? Olga dove sei? Vieni fatti vedere, non avere paura sono Pix!” era la voce di Pix che la cercava e la invitava a farsi vedere. Fece un passo in avanti e si fece vedere e vide a sua volta Pix. Si rese conto subito che l'amico la invitava a salire con lui nella sua abitazione, lei esitò un attimo ma poi salì sulla scala mobile e assieme vennero trasportati all'interno. Mentre si chiudeva il portellone d'entrata aumentava la sua ansia e mentre varcava la soglia della stanza davanti a se sentì la mano di Pix che afferrava la sua e la sua voce che diceva: “Non avere timore Olga qui non ti può succedere nulla!” . La stanza che stava osservando era molto grande e c'erano tre sedili posti davanti ad una vetrata che si affacciava sulla boscaglia. C'erano dei monitor e uno schermo largo quanto un grande tavolo, questo era acceso ed era pieno di stelle luminose nel buio della notte sembrava una mappa interstellare. Pix la fece accomodare su uno dei sedili, si sedette a sua volta e si voltò verso di lei e le disse: “Ti chiederai dove ti trovi e chi sono io?”continuò: “vedi Olga, tu per me significhi qualcosa ed io voglio dirti tutta la verità” inizò il suo racconto e disse tutto senza tralasciare nulla. Olga man mano che il racconto di Pix si addentrava nei particolari sgranava gli occhi sorpresa e meravigliata da quella realtà sconosciuta. Al termine Pix chiese ad Olga che ne pensava e Olga aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a proferire parola. Avrebbe voluto dire tante cose ma non riusciva a parlare era così sorpresa che l'unica frase che emise dalla sua bocca, dopo aver deglutito, fu: “è tardi Pix e devo andare a casa” e se ne andò. Pix dopo averla accompagnata per un tratto tornò nella sua astronave.
Pix era sollevato e felice, era riuscito a dire tutto ad Olga, gli aveva parlato del viaggio, del suo pianeta dei suoi genitori e del suo progetto su...di loro. Le aveva detto tutto e adesso cosa sarebbe successo? Ecco la domanda che lo tormentava dopo aver accompagnato giù dall'astronave Olga. Mentre stava riflettendo notò che il led del ricetrasmettitore di comunicazione con Terrax lampeggiava, era una richiesta di apertura del canale! Era sicuramente suo padre che voleva comunicare con lui. Prima di premere il tasto cominciò a tremare dall'emozione. Chiuse gli occhi, cercando di frenare i mille pensieri che gli esplodevano in testa, respirò profondamente, sollevò un braccio e poi pigiò il pulsante! “Pix, Pix” era suo padre! Gli avrebbe detto tutto? Lo decise in quell'istante: SI gli avrebbe detto tutto!
E Così fece! Gli disse del suo dialogo con Olga, avvenuto proprio lì sull'astronave e della reazione di Olga, che non sapeva come definire, e fu al quel punto che il padre gli disse:
“Pix posso parlarti sinceramente?”
“Devi farlo padre, ho bisogno che tu mi faccia capire, che tu mi spieghi quello che è meglio fare” ribadì Pix.
Il padre si sistemò sulla poltrona, sospirò e fissando la video camera che lo stava riprendendo come se fossero gli occhi di Pix si mise a parlare: “E così hai svelato la tua presenza ad un umano, sinceramente avrei preferito che tu prima mi avessi consultato. Comunque la cosa è stata fatta e adesso dobbiamo pensare come organizzare il tuo viaggio di ritorno al più presto! È troppo pericoloso per te rimanere li sulla Terra!” dopo queste poche parole, per alcuni istanti calò il silenzio nella loro discussione. Pix riprese: “e perchè dovrei tornare?” “Pix!” il padre intervenne con una espressione e con un tono di voce che sembrava non lasciare margini alla discussione e fu al quel punto che Pix ebbe una reazione inconsulta: “Dimmi perchè? Perchè padre dovrei tornare? Forse perchè tu devi avere il controllo su tutto e di tutto e non puoi permettere a nessuno di fare nulla a patto che non sia tu a stabilirlo? È per questo?” il padre di Pix rimase esterefatto dalla reazione di suo figlio e capì che il momento era particolare e che avrebbe dovuto controllarsi e chiarire il malinteso con una spiegazione ancor più razionale e convincente: “Caro Pix sappiamo fin troppo bene che non occorre andare lontano, nel tempo e nello spazio, per incontrare i segni della distruttività umana. L'uomo ha dimostrato nella sua storia la necessità di distruggere tutto ciò che ricorda una diversità. Ha compiuto più genocidi l'uomo di qualsiasi genere vivente presente nell'intero universo conosciuto. L'uomo ha costruito nella sua esistenza la cultura del danno, dell'utilizzo senza scrupoli, della sopraffazione. In una sola parola, del male. Tu come fai pretendere che gli uomini possano accettare una civiltà così diversa come la nostra, come la tua? Come puoi pensare che l'umanità così presa dai suoi eccessi possa accogliere un tuo messaggio di convivenza felice tra due civiltà?” Il discorso del padre era stato di una incisività quasi dolorosa. Ma Pix sapeva e aveva toccato con mano la realtà umana e la giudicava con più indulgenza. Dalla sua breve esperienza poteva ricavare una testimonianza positiva e così rispose al padre: “Caro padre in questi giorni ho potuto sperimentare come il vivere tra gli umani sia un'esperienza formativa e creativa. Tra di loro ho avuto la sensazione che alberghino tre concetti: intelligenza, memoria e volontà. L'intelligenza e la memoria l'umano le utilizza per risolvere le situazioni che quotidianamente gli si presentano, mentre la volontà è la loro capacità di fare e di mettere in atto le azioni che, a seconda del loro concetto di bene, li fa fuggire dal male. Padre io sono fiducioso in questa umanità, in questi giorni ho ripetuto a me stesso che l'anima dell'umano è proiettata verso il bene con atti d'amore. Io credo nell'umanità e voglio rimanere”. Il padre scorse nelle parole di Pix intelligenza e trasporto per quello che aveva appena detto. Così rispose a suo figlio: “Pix io credo in te e voglio la tua felicità decidi tu! Tutto ciò che riterrai giusto fare sarà condiviso da me e da tua madre! A risentirci a presto nostro più prezioso pensiero”. “Saluti a voi miei cari Pensieri!” Si salutarono così come si salutano i Terraxani dopo di che la comunicazione venne interrotta.

AL MIO AMICO VIRGINIO NEGRI

A VIRGINIO
HO ACCOMPAGNATO VIRGINIO
L'HO ACCOMPAGNATO AL CAMPO
NON A GIOCARE MA A RIPOSARE
ERA UNA GIORNATA DI SOLE
AVEVO GLI OCCHIALI SCURI, IL VESTITO SCURO E IL MIO VISO OSCURATO DA L DOLORE CHE OPPRIMEVA IL MIO CUORE
I MIEI OCCHI CHIUSI CERCAVANO IMMAGINI DI VISSUTO INSIEME
TRA CORSE, GOL, ABBRACCI E QUALCHE BICCHIERE DI VINO UNA LACRIMA CADEVA SUL SORRISO CHE LE LABBRA PRONUNCIAVANO NEL RICORDO DI QUEI MOMENTI BELLI
IL CALDO SOFFOCAVA LA PIANURA SENZA CONFINI
LA TRISTEZZA ALEGGIAVA SUL NOSTRO PERCORSO
IL CAMPO ERA LI' VICINO
IL RESPIRO DIVENTAVA AFFANNOSO
LE LACRIME VELAVANO LA LUCE
IL SORRISO DIVENTAVA SMORFIA
LA TERRA APERTA TI ASPETTAVA PER IL RIPOSO
TI HO ACCOMPAGNATO VIRGINIO ORA LASCIAMI ANDARE
PORTO CON ME LA TERRA DEL CAMPO
CERCHERO' DI RESPIRARE IN ESSA QUELL'ATTIMO IN PIU' CHE LA VITA SA DARE

06 agosto 2009

PIX 12

Quella mattina il sole spuntò rendendo luminoso come non mai l'abitacolo dell'astronave. Questa luminosità era quasi fastidiosa. Era l'inizio di una giornata come tante altre, eppure tutto sembrava diverso. Sua madre aveva ragione doveva dire tutto ad Olga e tornare su Terrax. Rimase a fissare per alcune decine di minuti il suo riflesso nello specchio e più si guardava e più si rendeva conto che quello non era lui. Cominciò a muoversi per tutta la nave spaziale cercando di chiarirsi le idee. Come avrebbe dovuto comportarsi, cosa avrebbe dovuto dire ai suoi compagni Dadi e Olga? Si rigenerò nella doccia sub-atomica e poi andò al solito all'appuntamento pomeridiano.
Era un caldo pomeriggio d'estate e Pix seduto sull'enorme pietra, posta sul ciglio della strada, aspettava i suoi due amici all'incrocio delle quattro strade, per trascorrere un'altra giornata assieme. Il silenzio che regnava tutto in torno era interrotto solo per alcuni istanti dal frinire di un grillo che aveva la sua tana li nei paraggi. Di li a poco avrebbe visto Olga e Dadi e gli avrebbe comunicato che lui sarebbe dovuto partire e che probabilmente non si sarebbero più rivisti. Si, era deciso, lo avrebbe detto in questo modo, così diretto senza giri di parole, senza esitazioni e senza aspettare altro tempo. Alzò lo sguardo verso il cielo e proprio in quell'istante fra le piante all'orizzonte sfrecciavano degli uccelli impegnati in una esibizione acrobatica. Le figure che esibivano gli ricordavano le azioni che lui, Dadi e la squadra di calcio avevano realizzato sul campo nella sfida del giorno prima. Guardava lo spettacolo allungando il collo e vedeva questi uccelli impegnati nel rincorresi, nel cambiare in modo repentino direzione e dirigersi ognuno di loro in punti diversi per poi riunirsi e comporre un'altra figura geometrica. Uno spettacolo unico. Chiuse gli occhi e come per magia quello spettacolo si visualizzava e nello stesso tempo si memorizzava nel suo cervello, così da poterne usufruire beatamente in tutta tranquillità tranquillità quando lo avrebbe richiamato successivamente. “Pix, Pix” gridò una voce, e la voce era quella di Olga, che sbucava dalla strada di destra. Pix si girò e la vide, il sole le batteva negli occhi e i suoi occhi brillavano come le pietre luminose che suo padre gli aveva donato prima di partire da Terrax. Osservò le sue labbra e pensò a quando ci aveva premuto sopra le sue e alla reazione che aveva avuto: un misto di rigidità e sorpresa. La scrutava nel suo muoversi così aggraziato cercando di capire il perchè provava così tanta attrazione per lei. Eppure più la guardava e più l'attrazione che lei gli suscitava aumentava. Lei gli andò incontro sorridendogli e con le braccia aperte e distese. Era vestita e pettinata con cura e al collo portava un nastro rosso che la ingentiliva e la rendeva ancora più graziosa. Quando si avvicinò abbastanza l'abbracciò e le disse: “Ciao Olga, come sei carina!” sembrava contenta che l'avesse notato, ma Pix rovinò tutto con la frase successiva: “Ma Dadi dov'è? Perchè non è con te?” sul volto di Olga si dipinse la delusione, forse sperava di sentire altre parole da parte di Pix, comunque cortesemente rispose: “Dadi ci aspetta al campo vuole presentarti l'allenatore della sua squadra” Si guardarono e ci fu un momento di stallo nella comunicazione allora Olga prese l'iniziativa: “A proposito del bacio...volevo dirti che mi dispiace se t'ha dato fastidio. È che...che...che mi piaci. Mi piaci molto! Parecchio e non ho resistito!” Olga era diventata tutta rossa e abbassando la testa lasciò la parola a Pix che non sapendo cosa dire rispose: “Anche tu mi piaci molto, non so perchè ma mi piaci”. La delusione torno sul volto di Olga. Si guardarono entrambi negli occhi e Olga non si perse d'animo e prese la mano di Pix e disse: “andiamo se no facciamo tardi, ci aspettano” si incamminarono mano nella mano e rimasero così per tutto il tragitto, pensierosi a guardare la strada che scorreva sotto i loro piedi, fino a consumare tutti i pensieri possibili. Stavano zitti forse perchè la paura di dire la cosa sbagliata in quel momento magico per entrambi, era così forte che tutti e due scelsero il silenzio. Ad un certo punto però Olga si fermò, si tolse il nastro dal collo e afferrando con entrambe le mani il suo polso destro di Pix glielo legò attorno come un bracciale dicendogli sorridendo: “questo è un mio regalo promettimi di portarlo con te sempre” Pix fu sorpreso da questo gesto ma era contento di quel dono e rispose: “è bellissimo e lo porterò sempre con me!” Poi abbassarono di nuovo entrambi lo sguardo e proseguirono il cammino. Pix sentiva il dovere di dire ad Olga la verità ma pensò che quello non era il momento e soprappensiero si toccò il polso nel punto in cui Olga gli aveva legato il nastro e sorrise e si stupì come quella stoffa setosa così liscia e morbida assomigliasse così tanto alla pelle della mano di Olga.
Dopo una ventina di minuti Olga e Pix raggiunsero il campo di allenamento dove si trovava al gran completo la squadra di Dadi con l'allenatore. Dadi appena li vide gli corse incontro e prendendo per un braccio Pix gli disse: “Pix vieni ti devo presentare il nostro allenatore vuole conoscerti, ha saputo della partita di ieri e vuole vederti all'opera.” Fece una pausa e poi riprese: “ Abbiamo organizzato un allenamento proprio per questo motivo. Per far vedere al nostro allenatore quanto sei bravo. Dai vieni” Pix non aveva molta voglia di giocare ne tanto meno di conoscere altre persone, voleva solo parlare con Olga e Dadi e spiegare chi lui fosse, da dove veniva e perchè doveva andarsene. L'esuberanza di Dadi ebbe il sopravvento, così lo condusse al cospetto dell'allenatore: “piacere mi chiamo Beppe e sono l'allenatore, mi hanno detto che ieri hai fatto faville” il signore che gli stava davanti era un tipo dai capelli brizzolati, occhi lucidi e scuri e il viso tempestato da efelidi era di un ovale quasi perfetto. Di fisico era alto e slanciato, sovrastava tutti di un palmo di mano e per guardarlo in faccia bisognava alzare la testa e inarcarla. “Buon giorno mi chiamo Pix, e ieri non ho fatto nulla di particolare ho solo giocato come gli altri” disse con un tono di voce modesto e a volume molto basso, per far capire che lo stato d'animo in cui si trovava non era proprio dei migliori. Dadi si accorse di questo e chiese all'amico se non si sentiva bene o se c'era qualcosa che non andava. Pix rispose che andava tutto bene. “E allora cosa aspettiamo dai organizziamoci e iniziamo a giocare così il mister (così i giocatori chiamavano l'allenatore Beppe) potrà osservare la bravura di Pix!” Beppe fischiò e poi gridò ai ragazzi di radunarsi attorno a lui e assegnò i ruoli,
Pix doveva giocare a centrocampo, e poi tutti entrarono in campo. Circa una ventina di altre compagne, compresa Olga, circondavano il campo pronte a tifare e applaudire i ragazzi per le loro giocate. Beppe, dopo essersi assicurato che tutti fossero ai loro posti, fischio l'inizio della partita. Qualche momento dopo il fischio d'inizio Dadi scattò sulla fascia destra, si liberò con un dribbling di un avversario andò sul fondo e fece un cross alto,teso e preciso verso il centro dell'area di rigore dove si era appena smarcato Pix che con una elevazione imponente colpì di testa e mandò il pallone ad insaccarsi all'incrocio dei pali sulla destra del portiere. Beppe rimase impassibile si limitò a passarsi una mano nei capelli sotto lo sguardo attento di Dadi che ne voleva valutare la reazione. La squadra dove giocava Pix entrò subito in possesso di palla, controllavano il gioco con una facilità di passaggio insolita e restando sempre vicini alla porta avversaria. Ad un certo punto Pix si impossessò della palla al limite dell'area di rigore, si liberò dell'avversario diretto ed entrò in area , fintò di tirare sulla destra e lasciò il portiere impiantato nel terreno prima di tirare a sinistra facendo gol. A questo punto Beppe sembrava entusiasta del nuovo -acquisto- indubbiamente questo Pix aveva buona tecnica, intuito e sapeva giocare con la squadra. Si, aveva talento e sicuramente avrebbe contribuito a migliorare le prestazioni della squadra dell'istituto nel torneo delle scuole che si sarebbe svolto tra due settimane. Beppe con il suo fischietto emise un altro sibilo e radunò di nuovo tutti i ragazzi attorno a se e quando furono tutti in semicerchio disse: “non è andata così male, diciamo che siamo ad un buon punto della preparazione e che tra due settimane potremo affrontare le altre scuole con l'ambizione di far bene, quindi ragazzi ci vediamo dopo domani alle tre qui al campo per l'allenamento.” Tutti rimasero li in piedi, tutti si aspettavano ancora qualcosa che Beppe non tardò a dire: “ah Pix da oggi sei uno di noi!” tutti a saltare ed urlare per questa ultima e attesa notizia era ufficiale Pix faceva parte della squadra di istituto. Mentre tutti si stavano congratulando con Pix Beppe all'improvviso disse: “Pix tu sei trasferito da poco nella nostra città e ti sei già iscritto alla nostra scuola vero?” Tutti si girarono a guardare Pix il quale non sapeva cosa rispondere, intervenne subito Dadi: “Si Mister Pix è nella nostra cittadina da pochi giorni e non si è ancora iscritto alla nostra scuola, ma oggi stesso andiamo insieme in segreteria e facciamo l'iscrizione. Nessuna paura Mister ci penso io, Pix è già uno di noi!” tutti tirarono un sospiro di sollievo e se ne andarono tranquilli ognuno per la loro strada. Quando si ricompose il trio Olga fece subito una domanda al taciturno Pix: “che ne pensi? Non hai detto nulla da quando è finita la partita, non ti vedo particolarmente contento, che c'è?” Olga aveva colto il malessere interno che stava vivendo Pix e voleva capire questo cambio d'umore da un giorno all'altro. Il giorno prima sembrava entusiasta sia del calcio sia della sua presenza ed oggi era così triste. Ma perchè? Pix rispose con filo di voce: “dovrei parlarvi” Olga e Dadi si fermarono immediatamente e rivolsero il loro sguardo a Pix preoccupati per quello che il tono con il quale il loro compagno si era rivolto a loro. Così lui iniziò a parlare: “Olga, Dadi io dovrei dirvi una cosa importante che mi riguarda. Vedete io non sono di queste parti e vengo da lontano ma molto lontano. Inaspettatamente i suoi grandi occhi blu divennero inspiegabilmente magnetici e penetranti nel vero senso della parola e attirarono e catturarono gli occhi dei suoi giovani amici. Questa era un'altra capacità di Pix quella di entrare in comunicazione extrasensoriale con i riceventi del proprio messaggio. In quel preciso istante Olga e Dadi provarono la forte e chiara sensazione fisica di essere attirati con il loro intero corpo dentro ai suoi occhi cioè come attirati da un'energia magnetica e sentirono perdere il controllo del loro equilibrio e provarono la forte percezione di cadere letteralmente in uno stato di trance. Erano completamente in balia del suo potere ma allo stesso tempo erano perfettamente coscienti di ciò che gli stava accadendo e, mentre tutte queste manifestazioni psichiche avvenivano, sentivano un ronzio attraverso gli occhi, come se la comunicazione avvenisse solo tramite quel canale percettivo. Mentre Pix comunicava a loro la sua provenienza e il suo essere diverso in loro divenne particolarmente forte la sensazione fisica che se avessero continuato a guardarlo sarebbero caduti in una completa dipendenza dai suoi enigmatici occhi e per un momento si spaventarono. Un richiamo, era la madre, lontano interruppe questo momento, finalmente riuscirono a staccare i loro occhi dai suoi e ripresero lo stato di normalità. “Scusa Pix ma mia madre ci sta chiamando” disse Olga, come se nulla fosse successo e riprese: “a proposito Pix quello che ci stavi dicendo ce lo dirai domani ok? Ora dobbiamo proprio andare a casa altrimenti i miei si arrabbiano se arriviamo tardi a cena!” si salutarono e ognuno prese la propria via di casa. Senza accorgersene Pix aveva esercitato su di loro la sua capacità di sospensione temporale. Era un livello di stato emozionale che su Terrax era di normale prassi quando degli esseri empaticamente conciliabili comunicavano tra loro. A quel livello riuscivano a raggiungere la vera comunicazione multisensoriale. Era difficile da spiegare come tutto questo fosse successo con degli umani, lo avrebbe chiesto a suo padre il perchè di questo evento così strano. Continuava a camminare per la strada ma alle sue spalle sentì dei passi, si girò di colpo e non vide nessuno. Era sicuro qualcuno lo stava seguendo di nascosto. Mentre salì sulla scala dell'astronave si voltò indietro per due volte e cerco di intravedere se nei paraggi ci fosse qualcuno, ma nulla; si voltò per la terza ed ultima volta e dall'alto della scalinata con i suoi impressionanti e grandi occhi blu che parvero diventare liquidi, lanciarono un inaspettato raggio luminoso, magnetico e penetrante. Poi si voltò e sparì nella sua astronave.
Olga per un momento stentò a crederci ma poi capì che nessun essere umano poteva fare niente del genere e nella sua mente si affacciò la risposta e non potè fare a meno di dirsi che era avvenuta una cosa fuori dal comune, unica e meravigliosa e realizzò senza ombra di dubbio - come se mi avesse aiutato lui a trovare la risposta e poteva benissimo averlo fatto - era avvenuta una cosa straordinaria: un incontro con un Extraterreste. Quel giovane Extraterretre era Pix