20 maggio 2009

ANDREA

Lo conobbi circa venticinque anni fa al centro sportivo di Orsenigo dove le giovanili del calcio Como si allenavano, ricordo ancora era un giorno di fine novembre. Era accompagnato dal padre e dalla madre. Fin da quell'istante capii che quel ragazzo di tredici anni avrebbe fatto una carriera importante nel mondo del cacio. Andrea aveva qualcosa di speciale, era vispo con uno sguardo da furbetto che lo caratterizzava . Nel parlare o meglio nello stare ad ascoltare il padre che discuteva con il responsabile del settore giovanile mi ero reso conto di non essere al cospetto del solito genitore smanioso di una carriera sfavillante del proprio figlio nel mondo del calcio, tutt'altro, il papà che lo aveva portato sin lassù da Salerno non aveva dubbi: il figlio sarebbe rimasto a Como solo se il suo profitto scolastico fosse stato ottimo. Il responsabile, che sapeva delle difficoltà scolastiche che un ragazzo che veniva da fuori incontrava era cauto e diceva che sarebbe bastato un profitto sufficiente. Il padre era irremovibile o ottimo o Andrea se ne tornava a Salerno! Andrea era un predestinato, era nato per giocare a calcio. Ad Andrea non sembrava vero di passare tutto il suo tempo a giocare a calcio e sfogarsi correndo dietro un pallone. Non era facile placare l'energia di quel ragazzino tutto pepe, ma il papà era stato chiaro, lapidario . Il papà sapeva cosa volesse dire studiare, lui si era laureato in medicina a pieni voti e per suo figlio aveva progetti ben più ambiziosi che vederlo sgambettare su un campo di calcio. Ma Andrea era determinato e rassicurava il padre: “NON TI PREOCCUPARE PAPA' qui ci rimarrò per tanto tempo e tu sarai contento di me!” Il papà lo guardava con una tenerezza infinita e la mamma piangeva continuando a baciare il suo Andrea.
Così il ragazzo inizia la sua avventura a Como. Gioca e studia, studia e gioca, a scuola funziona bene e sul campo Andrea è uno che fa la differenza. Sulla fascia sinistra va come un treno le sue giocate sono argute come le sue soluzioni nei compiti di matematica. Il terrore che una bocciatura possa dissolvere quell'atmosfera magica gli fa dare il massimo, infatti Andrea a scuola va benissimo e alla fine dell'anno sarà promosso con la media dell'otto. Vive per giocare a calcio si vede che è la sua passione che lo fa vibrare dentro. Quando lo vedo giocare vedo me alla sua età, giocavo in quella posizione senza avere il suo talento so cosa vuol dire scendere sulla fascia e passare da un ruolo difensivo ad una sorpresa offensiva nel campo avversario.
Il pallone, che lo indusse ad abbandonare Salerno, lo affascina e lo trasporta in una grande avventura del calcio vero, comincia a tirare calci con un'ottica professionale a Como, nel profondo Nord, come diceva lui, senza che peraltro quel suo viaggio sia riconducibile agli stereotipi dell'emigrante con la valigia di cartone vista la famiglia benestante dalla quale proveniva. Allenamenti e scuola, senza perdere un colpo, fino al diploma di ragioniere "perche' nel calcio non si sa mai".A Como Andrea fa tutte le categorie del settore giovanile e debutta in serie B il 29 ottobre 1989 (Como Cosenza 1-0). Colleziona 16 presenze in quella stagione turbolenta, caratterizzata da continui cambi in panchina e culminata con la retrocessione in serie C. E' Eugenio Bersellini, chiamato a gestire la resurrezione comasca, ad esporre in vetrina quel diciannovenne pieno di grinta (27 presenze in C1) che difatti trova subito un compratore. Per quattro miliardi Aldo Spinelli se lo porta a Genova, riflettori di serie A ma la prospettiva di una lunga coda dietro il brasiliano Branco, titolare della cattedra di terzino sinistro. Quello tra Andrea e il Genoa non è però amore a prima vista. Un litigio, si dice, con Maddè, il braccio destro di Bagnoli, costa al ragazzo di Salerno l'esilio novembrino a Pisa.Testardo, ambizioso ma pure generoso , Andrea sa risalire la corrente al suo rientro dal "confino". Bagnoli e Madde' del resto sono stati risucchiati dall'Inter, Giorgi diviene subito suo sponsor, a mettersi in coda per la cattedra di terzino sinistro stavolta tocca a Branco. Campionato eccellente, questo del debutto in serie A, con 33 presenze e 3 gol, l'ultimo segnato al grande Milan. Lui e il collega di reparto Panucci stuzzicano gli appetiti della Juve che avrebbe voluto acquistarli in blocco. Si dice che Spinelli avesse deciso di privarsi del solo Panucci (che nel frattempo, fatti i suoi calcoli, aveva scelto di puntare sul Milan) ma, così almeno narrano le leggende metropolitane, Andrea riuscì comunque ad ottenere disco verde per la fuga approfittando dello "stato di bisogno" del suo presidente. Così arriva la Juve sulle tracce del nuovo Cabrini. E dopo la Juve (27 presenze e un gol) giunge pure la nazionale, con il debutto a Tallinn, il 22 settembre '93, in occasione del 3-0 all'Estonia, unica sua apparizione azzurra.
È una corsa verso la gloria apparentemente inarrestabile ma poi, improvviso, il crollo. L'inizio della fine ha una data precisa: venerdi' 20 maggio 1994. Andrea e' stanco, irriconoscibile in campo, lui che e' sempre stato un concentrato esplosivo di energia; fatica a recuperare, e' tormentato da una febbriciattola allarmante. Il dott. Riccardo Agricola, responsabile del servizio sanitario bianconero, prescrive una serie di analisi. La diagnosi mette subito paura: leucemia acuta linfoide, fattore Filadelfia positivo. Quanto di peggio ci si poteva immaginare. Andrea ricoverato nella Divisione Universitaria di ematologia dell'ospedale Molinette. "Puo' farcela - dicono i medici -, Andrea e' giovane, la sua tempra robusta lo aiutera'". Ma l'ottimismo di facciata e' una pietosa bugia. Gli specialisti sanno bene che solo un trapianto con un donatore compatibile potra' restituire la vita a quel ragazzo coraggioso, assistito dalla fidanzata, Lara, e dai genitori, mamma Lucia e papa' Giuseppe, che e' cardiologo all'ospedale di Salerno e che ha l'immediata percezione del dramma. Tre settimane di terapia intensiva. Un netto miglioramento, valori verso la normalita'. L'organismo combatte, i globuli bianchi in eccesso spariscono, tecnicamente si parla di remissione completa della malattia...
Andrea Fortunato a soli 23 anni si ammalò di leucemia linfoplastica acuta. Dopo due trapianti di midollo osseo, il decorso post operatorio lasciò pensare ad un totale recupero; ma Andrea morì, dopo una polmonite, il 25 aprile 1995.
C'era una volta una bacchetta magica che maghi e fate si passavano di mano in mano. Un tocco e la vita di Andrea avrebbe continuato a volare...

18 maggio 2009

LUCA

La Lombardia è una terra che varia di paesaggio, di tradizioni, di costume e a seconda dei posti anche di storia. Questa terra così variegata nell'aspetto geografico e storico si estende dalle cime innevate delle Alpi all'immensa pianura padana che degrada sino alle regioni confinanti. Qui nascono giocatori di calcio di diversa tipologia e per caratteristiche attitudinali. Io che ci lavoro e che ci sono nato in questo posto ho visto questa regione cambiare ed integrare etnie sempre più diverse e crescere diventando un polo europeo sia culturale sia economico importante. Soprattutto ho visto crescere tanti giocatori, ma proprio tanti! Solo pochi sono arrivati a giocare in serie A. Un bambino sul quale avrei puntato, ci avrei giocato addirittura la casa, che potesse diventare un giocatore di alto livello era Luca!
Ho conosciuto Luca che aveva dodici anni e giocava nel settore giovanile del Milan già da un anno. Luca è nato a Milano da genitori di origine: Lombardo-Veneto-Calabro-Siciliano. Lui giocava a calcio per vocazione e per questo motivo si esprimeva in modo divino. Sembrava un piccolo principino quando si muoveva in campo: sempre elegante, creativo, fantasioso ed imprevedibile.
Luca faceva parte della categoria di giocatori, definiti da Hans Jorgen Nielsen nel suo bellissimo libro “L'angelo del calcio”: I POETI DEL CALCIO. Si era un Poeta del calcio, uno di quei giocatori che ti prendono di sorpresa, quelli che creano spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio, uno di quelli che fanno giocate che non avresti mai neppure immaginato. La sua famiglia aveva influenzato sin dall'infanzia la sua scelta di giocare a calcio. Suo padre era stato un discreto giocatore di serie C e sua madre si occupava di mandare avanti una società calcistica dilettante del milanese. Entrambi i genitori innamorati di questo sport non potevano che far giocare a calcio il loro unico figlio. Luca ti faceva vincere le partite da solo, rendeva facile ogni giocata e le sue scelte tattiche erano sempre vincenti. Non a caso sul retro della maglia portava il numero dieci, quando il numero sulle maglie aveva ancora un significato il dieci lo davi solo al più bravo a quello che volevi distinguere dagli altri. A lui oltre al dieci dovevi dare anche la fascia di capitano perchè era una esempio: aveva voglia di fare, era educato, un vero modello positivo per tutti anche per noi adulti: “Propri un brau fieou” si dice a Milano. Tutta questa magia svanì un giorno sul campetto di Melegnano cittadina popolosa situata a sud di Milano. Luca sta per battere il calcio d'inizio di una partita che si annuncia bella e divertente come al solito quando lui è presente. Mentre azzero il cronometro guardo verso il centrocampo e vedo il mio capitano che mette una mano al petto e successivamente si piega su se stesso. Il bimbo non sta bene! Chiamo subito il fisioterapista e gli dico di accertarsi come sta Luca. Luca si accascia, a questo punto corro verso di lui e lo chiamo ad alta voce. Sono vicino, lo vedo è bianco in volto ed è sofferente e tiene sempre la sua mano destra al petto. Gli chiedo che c'è o meglio che c'è che non va? La sua risposta mi preoccupa ancor di più: “mister mi fa male qui” e mi indica il petto “è un dolore forte, forte”. Lo prendo in braccio e lo porto fuori e mi ripeto: “non è nulla, non è nulla Luca”. Mi sorride e mi dice: “mi lasci giù mister adesso mi passa e io voglio giocare”. Lo porto in panchina e dico al dirigente di chiamare un'autoambulanza e di fare in fretta. Luca continua a ripetere: “io voglio giocare, dai mi faccia giocare mister”. Lo guardo negli occhi gli sorrido e gli parlo: “Luca giocherai, hai così tanto tempo per giocare...”
Luca il lunedì successivo fu sottoposto ad elettrocardiogramma che evidenziò una cardiopatia che gli avrebbe impedito di continuare a giocare a calcio. Il calcio ha un poeta in meno ma il mondo ha sicuramente una bella persona che lo abbellirà. Ciao Luca.

07 maggio 2009

ALESSANDRO

Alessandro penso a lui e sorrido! Un bambino pieno di vita, di entusiasmo, sempre allegro e gaio. Sempre scherzoso con i compagni e con la battuta pronta con noi allenatori . Non per nulla il bimbo è nato a Roma e nella città eterna aveva passato dieci dei suoi dodici anni che aveva quando l'ho conosciuto. Li dove viveva libero, nella sua borgata, tutti i giorni andava a giocare a calcio al campetto. Su quel pezzo di terreno sterrato e sconnesso c'erano sempre pronte due squadre per affrontarsi in quelle partite interminabili da ventitrè a ventidue. A volte saltava anche la scuola, al pomeriggio, per finire una partita. Era ricercatissimo per due motivi diceva lui: primo perchè giocava in porta; secondo perchè era bravissimo in questo ruolo. Con me si vantava dicendomi che la sua squadra giocava sempre in due in meno perchè lui era troppo forte. Era una sagoma e sdrammatizzava sempre qualsiasi situazione. Ricordo quella volta che prima di una finale nello spogliatoio stavo preparando la partita e nel farlo mi ero fatto prendere un po' dall'enfasi del momento e per la verità più che caricare la squadra l'avevo un po' spaventata, allora lui se ne uscì con una delle sue battute: “Aoh misterr che giochiamo contro el Real Madrid oggi?” allora tutti ridendo, me compreso, andavamo in campo e...vincevamo! Era uno specialista con quelle sue battute sagaci, le tirava fuori così di getto e dove passava lui lasciava tutti sorridenti e divertiti. È un “84”, anno magico per i calciatori, ed è un portiere per vocazione. Suo padre diceva in romanesco: “questo mè nato coi guanti de portiere addosso!”. A proposito di suo padre: Alessandro aveva e spero che abbia ancora, un padre tifoso. Lo seguiva da tutte le parti: in Italia, all'estero, al chiuso, all'aperto, con la pioggia, con il sole, in auto e anche in bicicletta!! quel padre seguiva tutte le partite da dietro alla porta di suo figlio, sia al primo che al secondo tempo sempre dietro alla porta! Mi dava un fastidio incredibile e lo dava anche ad Allessandro, perchè da lì non si accontentava di vedere la partita ma faceva il suggeritore e allora: “Ale vai a destra, Ale vai a sinistra, Ale mettete de qua, Ale mettete de la!” Un tormento, una vera spina nel fianco. Un giorno Alessandro mi prese in disparte e mi disse: “a mister lei me deve aiutà, mio padre me sta a stressà è sempre dietro alla mia porta e non sta mai zitto, nun me fa concentrà! Ie deve dì qualcosa!” lo guardaI negli occhi e gli risposi che ci avrei pensato io a dirgli di starsene a casa e non venire per un pezzo a vederlo giocare. Lui allora riprese la parola dicendo: “no mister non le deve dì de stare a casa, se no a quello ie piglia un infarto, ie deve solo dì de non metterse dietro la porta perchè da lì me sta a rompè tre quarti de coioni!!”. Mi venne da ridere istintivamente ma mi ripresi subito e subito ripresi Alessandro per que suo linguaggio volgare e poco rispettoso. Gli avevo detto che suo padre faceva tutto questo per un eccesso d'affetto nei suoi confronti ecc ecc... Gli avevo detto quelle cose per proteggerlo e per non distruggere il rapporto tra lui e suo padre che mi sembrava veramente speciale ma nella realtà pensavo che Alessandro aveva ragione e che il padre dovesse darsi una calmata. Allora dissi ad Alessandro che avrei parlato con il padre e che se doveva per forza venire a vederlo che almeno si accomodasse in tribuna. La risposta di Alessandro fù ancora più divertente: “mister mio padre è una brava persona ma quando se tratta de me che gioco a calcio diventa paraculoico!” ridendo dissi ad Alessandro : “volevi dire che diventa paranoico?” lui non perse l'occasione per fare la battutona: “no mister volevo dì proprio quello che ho detto perchè mi padre quando parla de me che gioco a calcio deventa paranoico tendente al paraculo!!” che dire? Alessandro quanto mi manchi!!
Alessandro Boccolini (Roma, 14 luglio 1984)
Cresciuto calcisticamente nel Milan e nella Lazio, è stato prestato dalla società capitolina alla Viterbese nel 2003-2004 ed all'Alessandria, con cui ha vinto il campionato di Eccellenza, l'anno successivo. Nel 2005-2006 è stato acquistato a titolo definitivo dall'Ascoli, con la cui maglia ha esordito in Serie A il 14 maggio 2006 in Empoli-Ascoli 1-2.

24 aprile 2009

GIANLUIGI

GIANLUIGI
È un giorno di ottobre, il tempo è ancora bello, il cielo è sereno e appena offuscato da nubi molto alte e la temperatura è sui 15 gradi. È il microclima del lago è il clima ideale per fare l'allenamento e giocare partite di calcio. Oggi al centro sportivo le foglie degli alberi, che nei mesi precedenti frusciavano alla calda brezza, ora, ingiallite si staccano dai rami e il vento le fa volteggiare ed esse cadono, posandosi sui campi adiacenti al viale. Qui nella bella provincia di Como la campagna ha preso i caldi colori dell'autunno. È proprio un bel pomeriggio ed io sto aspettando in uno dei viali del centro sportivo di Orsenigo l'osservatore Gigi, che ha il compito di portare qui un bambino, un talento a suo dire, per il ritiro del materiale sportivo(borsa, tuta di rappresentanza ecc) che gli servirà per il torneo che andremo a fare sabato a Verona. Mentre sto osservando il panorama e sentendo il vibrare delle foglie che fa da colonna sonora a questa incantevole scenografia naturale, vedo da lontano il Gigi che spinge letteralmente un ragazzino dalla “zazzera” nera come il carbone. Mentre il Gigi spinge, il ragazzino tira l'impermeabile di una donna che viene letteralmente trascinata in questa piccola mischia. Io osservo meravigliato il tutto e non distogliendo nemmeno per un attimo lo sguardo verso la scenetta che diventa sempre più divertente, incuriosito mi avvicino sempre di più. Il Gigi spinge, il ragazzo tira e la mamma urla qualcosa che assomiglia:”finiscila finiscila!”. Mentre assisto a questo “spingi e tira” il terzetto che si trova in stallo proprio nei pressi dell'entrata, sta dando spettacolo. Ormai vicino sento il Gigi che ansimando, per la fatica, dice: “ciao Giulio questo è Gianluigi e questa è sua madre”. Li guardo entrambi mentre sembrano non curarsi della mia presenza perchè troppo impegnati a lottare per la conquista dell'impermeabile della mamma. Esordisco con un semplice: “buon giorno signora mi chiamo Giuliano e sono l'allenatore della squadra nella quale Gianluigi dovrebbe giocare”. Le mie parole sembrano avere un effetto calmante sui movimenti di Gianluigi il quale si ferma e mi guarda dritto in viso, dopo di che continua il suo lavoro al fianco della mamma. La mamma, non mollando la presa dell'impermeabile, mi risponde gentilmente e in modo perentorio: “mister buon giorno, guardi non ne posso più, Gianluigi è tutto il giorno che fa i capricci. È indisciplinato, è difficile da sopportare e la cosa peggiore è che ha deciso di non venire al torneo. Cerchi di parlarci lei, il Gigi mi ha detto che lei è uno che ci sa fare con i bambini, e lo convinca a mantenere l'impegno che anche lui si era assunto. Guardi, lo vede anche lei, con noi non c'è proprio verso di prenderlo”. Io in verità non so cosa fare e soprattutto non so cosa dire e allora faccio quello che di solito faccio quando mi trovo nelle situazioni dove non so cosa fare (anche adesso per la verità ho qualche difficoltà a scrivere): divento aggressivo! “Senti piccolo (dimenticavo di dire che Gianluigi ha dieci anni) a questo torneo tu devi venirci perchè per portare te abbiamo dovuto lasciare a casa un altro bambino. Quindi finiscila di fare i capricci e cerca di collaborare, cioè non fare tante storie, tu sabato ti presenti alle 14 allo stadio perchè si parte con il pulman per Verona e se non ci sei ti veniamo a prendere ok?” mentre parlavo mi guardava fisso negli occhi e non diceva nulla ma all'improvviso, come se in lui fosse scattato qualcosa, dice a voce alta: “va bene io vengo ma voglio giocare con la maglia numero dieci!” La mamma e il Gigi in silenzio guardano me e aspettano una risposta. Io ci penso un momento e poi rispondo: “va bene anche per me, ok per la maglia numero 10, basta che la chiudiamo qui e tu ti presenti sabato alla convocazione senza fare più altre scene come questa!” Ci lasciamo con queste parole. La mamma tutta soddisfatta mi saluta e mi ringrazia più volte prima di uscire dal centro, l'osservatore invece, tutto sudato e tutto soddisfatto mi dice: “vedrai Giulio questo è un talento e ti farà vincere il torneo!”
Le parole di Gigi furono profetiche vincemmo il torneo! In finale battemmo la Cremonese due a zero e i due gol li fece Gianluigi un vero talento calcistico!
GIANLUIGI P.
Gialuigi non ha fatto carriera nel calcio. Gianluigi era un animo tormentato, fragile, troppo umano. Io molte volte mi sono chiesto dove fosse, dove si trovasse cosa facesse quel genio che sapeva giocare a calcio come pochi. Di Gianluigi rivive nella mia mente il suo talento la sua sregolatezza in tutto quello che faceva. Il calore con cui le persone lo circondavano non gli sono bastati per fuggire dalla più perfida delle illusioni: la droga. Ho saputo della sua morte l'ottobre scorso mentre ero su un campo da calcio. Il cielo era sereno, la brezza muoveva le foglie degli alberi li vicini e in lontananza mi sembrava di vedere la sua zazzera nera correre inseguito da un nugolo di avversari. Ciao Gianluigi.

20 aprile 2009

ROBERTO

PICCOLO MA BRAVO
Mia moglie al telefono! non è una novità! La novità è che stia parlando di me con la sua amica Daniela di Brescia: “si, SI Giuliano è a casa, se vuoi te lo passo? Ok ciao e a presto, eccoti Giuliano”. Mia moglie mi passa il cordless senza dirmi il perchè Daniela voglia parlare con me ed io mi ritrovo tra le mani il telefono senza sapere cosa dire ed inizio la comunicazione con un semplice: “pronto!” aldilà del telefono c'è la bella voce della carina Daniela. Una persona veramente per bene, gentile nei modi e affabile nel rapportarsi con gli altri, una bella persona in tutti i sensi: “ciao Giuliano, vado subito al dunque. Innanzi tutto mi dispiace disturbarti ma c'è una mia amica che ha un figlio che, dice lei, gioca benissimo a calcio e sapendo, da me naturalmente, che tu alleni le giovanili del Milan mi ha chiesto se si può far fare un provino a suo figlio?” Breve, concisa e precisa! Rispondo: “si può fare tutto Daniela devo sapere però: prima quanti anni ha e poi dove gioca?” Daniela non la cogli mai impreparata e anche a queste domande mi risponde in modo preciso:”allora Giuliano aspetta un secondo mi sono scritta tutto sulla mia agenda, dunque: il Bimbo ha 12 anni e gioca negli esordienti del Lumezzane” precisissima, non per niente fa l'insegnante di lettere! Dico a Daniela che il giorno dopo le avrei fatto sapere il dove, il come e il quando il piccolo giocatore avrebbe potuto fare il provino. Il giorno dopo fissammo l'appuntamento. Roberto doveva trovarsi a Linate al centro sportivo dell'aeronautica alle 14.30 accompagnato con un responsabile della società e relativo nulla osta della stessa. Daniela mi salutò con parole gentili ed appropriate e mi ringraziò a nome della sua amica.
Ed eccoci a lunedì a Linate, al centro sportivo dove tutti i giorni da più di quattro anni alleno le giovanile dell'A.C.Milan . Sono le 14.00 ed io sono già nello spogliatoio e qualcuno dal di fuori mi sta cercando è il factotum del centro sig. Trapanelli che con un deciso: “Rusca c'è gente che la cerca!” esco dallo spogliatoio e mi trovo difronte il Trapanelli e due uomini dall'aspetto gentile e sorridenti, sicuramente il Trapanelli li avrà divertiti con qualcuna delle sue battute sugli allenatori è tremendo quando ci si mette. Lui ci definisce i “mezzi-allenatori” perchè siamo allenatori del settore giovanile e quindi non siamo veri allenatori insomma ha la sua logica che è meglio non indagare e analizzare. Guardando bene dietro ai due adulti c'è lui: Roberto. È un bambino dai lineamenti aggraziati e con quei capelli lunghi sembra proprio una bambina. Ci presentiamo e scopro che mentre il signore che tiene per mano il bimbo è il padre, l'altro signore è Depaoli l'ex giocatore della Juventus degli anni 60, ed è il suo allenatore. Dopo le presentazioni di rito porto Roberto negli spogliatoi dove lo presento ai compagni e dove gli consegno il materiale che dovrà indossare per svolgere l'allenamento. Mentre gli do maglietta, calzoncini e calzettoni faccio una prima considerazione: il bimbo è un po' piccolo per la sua età! La seconda è che questo gruppo, cioè quello dei 79, non lo spaventi più di tanto, qui dentro ci sono delle testoline un pò...esco dallo spogliatoio con qualche perplessità ma la curiosità di vederlo all'opera è più forte e non vedo l'ora di iniziare l'allenamento. Torno dopo 10 minuti e noto che Roberto ha già socializzato con tutti, lo chiamano per nome e lui chiama per nome tutti gli altri! Bene il piccolo dimostra personalità! Andiamo sul campo e a tutti viene dato un pallone con il quale palleggiare ed effettuare dei giochi con la palla. Lo osservo attentamente e noto che ha un ottimo rapporto con la palla: la palleggia e l'accarezza con quel piedino sinistro in modo favoloso! Questo è veramente bravo! Lo guardo quasi affascinato con la palla sa fare tutto, è creativo fa dei giochetti che nessuno sa fare con una naturalezza che solo la vera maestria ti permette di realizzare. Ma dove veramente mi meraviglia la sua abilità è nelle situazioni di uno contro uno. Supera l'avversario con una facilità tipica di quelli bravi. “Oh questo sarà piccolo ma è bravo veramente!” mi dico! Alla fine dell'allenamento, dopo una serie di esercitazioni, facciamo la partita. Durante questo sette contro sette è un continuo sentire: “dai Robi (lo chiamano già Robi) dalla a me, dai Robi calcia tu, dai Robi mettila sulla fascia, Robi di su e Robi di giù è un continuo chiamare il suo nome che sembra che faccia parte del gruppo da tempo. “Il piccolo è un vero talento calcistico ed ha personalità da piccolo leader” questo scriverò nella mia relazione tecnica al responsabile del settore giovanile il quale l'anno successivo lo inserirà nell'organico dei giovanissimi della società. Alla sera la telefonata di Daniela è puntuale: “come è andata Giuliano? Dimmi la verità?” la mia risposta è spontanea e diretta come la domanda: “Daniela il piccolo è bravo, e penso che l'anno prossimo giocherà con la maglia...del Milan!”
ROBERTO DE ZERBI
Carriera
Cresciuto nella giovanili del Milan, nel 2002-2003 si rivela uno dei talenti emergenti del calcio italiano nel Foggia, con cui ottiene la promozione in Serie C1.
Nella stagione 2004-2005 va all'Arezzo, dove viene schierato tra i titolari dal tecnico Pasquale Marino. Nella stagione 2005-2006 Marino passa al Catania e porta con sé De Zerbi. Gioca un campionato di alto livello ed è uno dei protagonisti della promozione della squadra in Serie A. Con il Catania segna 7 reti e totalizza 6 assist per i compagni.
Il 27 giugno 2006 viene acquistato dal Napoli con cui sottoscrive un contratto quinquennale. Nella stagione 2006-2007 in serie B con la maglia azzurra segna tre gol: il primo al Rimini, il secondo contro il Lecce ed il terzo con la Triestina. Pur non demeritando, il giocatore fatica ad esprimersi con continuità sui livelli dell'anno precedente.
Nell'estate 2007 sembra ad un passo dal Cagliari, ma poi l'affare salta. Resta a Napoli dove però trova pochissimo spazio, segnando un solo gol contro il Cesena in Coppa Italia.
Nel mercato invernale passa in prestito al Brescia, squadra della sua città natale e dove sognava di giocare da piccolo, rimane fino alla fine del campionato senza centrare l'obiettivo della promozione in serie A anche se a Bergamo contro l'Albinoleffe è il migliore in campo, per poi rientrare al Napoli per fine prestito.
Il 1° settembre 2008 viene preso in prestito dall'Avellino.

14 aprile 2009

VINCENZO

VINCENZO
Un'altra Pasqua fuori casa! Un'altra Pasqua sottratta alla famiglia e dedicata al lavoro. Ma si chiamiamolo lavoro questo mio divertimento, cioè fare l'allenatore di giovani calciatori non è proprio un lavoro, ma non è neppure un divertimento! Ma allora che cos'è? Iniziamo il racconto, è meglio!
Sono a Verbania, una ridente località sul lago maggiore nel mese d'Aprile, nell'anno del Signore 1991! Mi trovo in codesta cittadina per partecipare con la mia squadra di pulcini (dell'A.C. Milan) al torneo internazionale, per l'appunto, di Verbania. La leva “pulcini” è quella dei nati nel 1980, annata buona per il Barolo e per i giocatori di calcio. La squadra che ho “tra le mani” è fortissima! Tra di loro spicca un giovane giocatore che proviene da Salerno: VINCENZO. Un “bimbo” dalle doti tecniche sopraffine e con un carattere eccezionale. Un osservatore della società lo ha portato su, cioè sin qui, per l'occasione, e con lui c'è il padre che di lavoro, ufficialmente fa il pescatore ma ufficiosamente fa il “biscazziere” in una bisca clandestina vicino al porto (me lo ha detto lui in un colloquio a quattrocchi al bar dell'albergo), il bimbo è anche accompagnato dalla fama di essere un fenomeno calcistico, vedremo! Le prime partite le vinciamo facilmente e il ragazzino si fa notare per la forte personalità, già conosce tutti e chiama il sottoscritto con l'appellativo:”Mistèr”. Le qualificazioni le giochiamo su dei campi un po' spelacchiati nel senso che sono in terra battuta e qui Vincenzo dimostra di trovarsi nel suo abitat naturale. I campi dove gioca lui a Salerno, me lo ha detto sempre il padre, sono tutti in terra e sassi! Lì nessuno osa andare a terra e fare takle scivolati, viste le abrasioni che il terreno provoca nel momento in cui qualcuno striscia qualsiasi parte del corpo per terra. Vincenzo oltre ad essere un bravo giocatore di calcio dimostra più maturità dei suoi coetanei, egli sa destreggiarsi tra i sentimenti conflittuali che emergono di solito tra i compagni di squadra, sa star bene con gli altri e mantenere buoni rapporti con tutti. Quest'arte lui l'ha appresa sulla strada dove vive per la maggior parte del suo tempo, questa competenza esperenziale gli ha permesso di conoscere atteggiamenti giusti e utili per comprendere la natura dei vari rapporti. Ma torniamo al torneo.
Le partite di qualificazione le vinciamo tutte e approdiamo alle semifinali! In semifinale troviamo un avversario di tutto rispetto: la Juventus! Prima della partita dico ai ragazzi che non sarà facile avere la meglio ma che ce la possiamo fare perchè siamo forti e dico a loro che dobbiamo rispettare tutti ma non avere paura di nessuno! Il capitano lo farà lui: VINCENZO. Mentre il massaggiatore sta per mettergli la fascia sul braccio sinistro, lui mi guarda dritto in volto e mi fa una domanda: “mistèr (accentuando l'accento sulla e) posso battere le punizioni in questa partita?” rispondo che le può battere e gli do un suggerimento tecnico: “ok battile tu, ma mira il secondo palo!Hai capito Vincenzo mira il secondo palo” e lui tutto sorridente mi risponde: “oh mistèr, ho capito, ho capito! Ma io sul piede non ho mica il mirino!” mi guarda e si mette a ridere e con lui ride tutta la squadra! Vinciamo 3 a 1 e lui fa due gol... su punizione! Siamo in finale! Ce la giocheremo con il Torino che ha eliminato l'Inter ai rigori. La partita verrà giocata allo stadio di Verbania, dove il campo è in erba! Arriviamo allo stadio in autobus, all'entrata ci aspettano tutti i genitori che sostengono la squadra con applausi e urla di incitamento, insomma tutto è pronto per una grande finale. Portiamo le borse nello spogliatoio e ci avviamo verso il campo per vedere, sentire ed annusare il terreno di gioco. C'è silenzio, è un silenzio rispettoso per il luogo dove andremo a giocarci la FINALE! Tutti zitti meno lui il Vincenzo:
“Mister questa erba è così morbida che sembra la moquette di zia Pina” così commenta Vincenzo appena mettiamo piede sul campo. Il silenzio si trasforma prima in brusio e poi in una sonora risata che contagia anche me!Tutti ridiamo e ci guardiamo convinti che oggi faremo una grande partita!
Vinciamo la finale 2 a 0 e Vincenzo non segna ma fa due assist! È un trionfo della squadra e di Vincenzo che vince il premio (una targa , spero l'abbia conservata!) come miglior giocatore del torneo! Il suo nome, il suo destino: Vincenzo deriva dal nome personale latino Vincentius, participio presente del verbo latino vincere, significa letteralmente “vincente”, “vittorioso”.



Vincenzo Maresca:
Ha iniziato a giocare nelle giovanili del Milan, quindi nel Cagliari, senza contare alcuna presenza in campionato, e nel West Bromwich Albion, con 47 presenze e 5 gol totali nella Division One inglese, l'equivalente dell'italiana serie B.
Nel gennaio 2000, a 19 anni, si è trasferito alla Juventus, con cui ha collezionato soltanto una presenza in campionato. È poi passato in prestito al Bologna, con cui ha disputato 23 partite. Nella stagione 2001/2002 è tornato alla Juventus con la quale ha giocato 16 partite e segnato un gol nel derby contro il Torino. Nel 2002/2003 è andato in comproprietà al Piacenza (31 presenze, 9 reti) e nel 2004/2005 alla Fiorentina. In viola ha disputato 25 partite realizzando 5 gol.
Dall'estate 2005 è in forza al Siviglia, con cui ha vinto due Coppe UEFA (nell'edizione 2005-2006 segnò una doppietta nella finale vinta per 4-0 contro il Middlesbrough, mentre nella finale dell'edizione 2006-2007, vinta nuovamente dal Siviglia, partì come titolare), una Supercoppa Europea, una Coppa di Spagna ed una Supercoppa di Spagna.

27 marzo 2009

FRANCESCO

Francesco.
“Mino ho trovato un fenomeno è bravissimo! Ha undici anni, è bello fisicamente, gioca attaccante, calcia di destro e di sinistro, è velocissimo ed è furbo come una volpe!” Le parole sono del famosissimo osservatore (talent scout): il Giorgio e l'uditore e l'altrettanto famosissimo responsabile del settore giovanile di una squadra professionistica: il Mino. Io che sono l'allenatore della squadra esordienti di quella società mi trovo casualmente nei paraggi mentre si sta svolgendo la discussione e ascolto: “Mino pensi questo pischello ha fatto un gol sabato, nella sua squadretta dell'oratorio, che se lo faceva a San Siro veniva giù lo stadio. Ha preso la palla a metà campo, ha scartato quattro avversari, è arrivato in area e sull'uscita del portiere gli fatto un pallonetto! Un fenomeno, un fenomeno!” Per dir la verità gli osservatori sono un po' come i venditori di stoffe, vantano sempre in modo esagerato la propria mercanzia e quando ne senti uno parlare devi sempre dividere quello che dice per due e moltiplicarlo per 0,5 per capire quella che è la verità. Ma devo dire che il Giorgio è un osservatore atipico, cioè se dice che uno è bravo stai pur sicuro che quello è veramente bravo, insomma ha occhio ed è soprattutto onesto. “Hai sentito Giulio, giovedì dovrai allenare la nuova scoperta del Giorgio. Prendi accordi con lui per fartelo portare all'allenamento e poi sappimi dire, sono proprio curioso di vederlo questo fenomeno!” il Direttore mi coinvolge subito passandomi la palla ed io ben contento mi presto a riceverla e mi metto a parlare con il Giorgio per organizzare il provino che si effettuerà giovedì pomeriggio. Eccoci a giovedì! Sono curioso di vederlo questo piccolo fenomeno, dalla descrizione mi aspetto un genio del dribbling e che sappia saltare gli avversari come birilli dando vita ad azioni spettacolari. Lo sto aspettando sul piazzale del centro sportivo quando li vedo arrivare. Sono in tre: il Giorgio, un signore e un bambino con una zazzera folta e bionda. Il Giorgio si avvicina e mi presenta: “questo è l'allenatore”, “piacere Giuliano” stringo la mano al signore che mi risponde: “piacere Angelo sono il padre di Francesco”. Dopo aver salutato i due adulti rivolgo la mia attenzione verso il bimbo e allungandogli la mano cerco di salutarlo. Lui senza titubanze me la afferra e mi dice: “ciao io sono Francesco!”. Bel tipino dico tra me! lo saluto e lo accolgo con un: “ciao, benvenuto vieni ti porto negli spogliatoi”. Lo accompagno e lui con il suo grande borsone mentre mi segue, mi domanda: “Giuliano io gioco centro attacco lo sai vero?” non rispondo! Altra domanda: “Giuliano io calcio con tutte e due i piedi lo sai?” Non rispondo! Si ferma mi lascia andare avanti e poi mi fa un'altra domanda: “Giuliano sei arrabbiato?” A questa rispondo: “No Francesco non sono arrabbiato, sto solo pensando all'allenamento” gli do una risposta così banale che lo faccio sorridere e guardandomi con sufficienza mi dice: “ok, andiamo, dai portami negli spogliatoi” Confermo: che tipino!
Adesso mi rimane da spiegare Francesco da un punto strettamente tecnico e non è difficile: un giocoliere col pallone tra i piedi, passaggio di rara precisione e un tiro con entrambi i piedi, per la sua età, potentissimo sia da fermo che in corsa. Un autentico talento con il viso da bambino ma con una malizia da grande. Un fenomeno! Stiamo uscendo dal campo, l'allenamento è finito e lui si avvicina e mi fa, tanto per cambiare, una serie di domande una via l'altra: “Giuliano come sono andato? Sono stato bravo? Mi prendete?” “Calma , calma Francesco non sta a me rispondere a queste domande, sarà il direttore sportivo che parlerà con tuo padre”. Mi guarda mi sorride con quel bel viso tutto sudato e mi chiede di nuovo: “Giuliano ma a te son piaciuto?” la mia risposta questa volta è immediata e concisa: “Sei bravo Francesco, molto bravo!” Mi sorride “mette il cuore dentro alle scarpe” e va negli spogliatoi con i propri compagni. Lo guardo e penso “il ragazzo si farà!”
FRANCESCO COCO,
Esordisce da professionista con il Milan in Padova-Milan 1-2 del 27 agosto 1995 (serie A '95/'96), in cui rimane due stagioni disputando complessivamente solo 19 partite ma vincendo uno scudetto.

Umberto Galimberti presenta "L'ospite inquietante"

18 marzo 2009

MARCO

MARCO
ho la sua CARTELLA CLINICA tra le mani la apro e la leggo:
“Marco ha cinque anni. Nella sua giovane vita ha instaurato rapporti affettivi solo con una persona, che lo accudisce, una suora. Il bambino non ha genitori, lo hanno abbandonato appena nato al befotrofio. Questa reiezione parentale ha causato in lui disturbi psichici irreparabili. Il mio consiglio è di internarlo in un ospedale psichiatrico perchè considerato pericoloso per sé e per gli altri”. Questa breve relazione venne stilata da un povero medico subito dopo che Marco lo aggredì mordendogli una mano che cercava, solo, di accarezzarlo. Marco in quell'ospedale, continuando la lettura della sua cartella clinica, era spesso colto da crisi in cui manifestava azioni autolesionistiche, in parole povere si colpiva in viso con pugni, si graffiava su tutto il corpo e si mordeva le braccia e le mani. Un quadro psichico devastante! All'età di dieci anni Marco viene mandato, finalmente commento io, in questo centro di assistenza della prima infanzia dove vive tutt'ora (adesso ha quindici anni) e dove io l'ho conosciuto. La commissione di medici specialistici che si occupa di questi casi particolari ha deciso di far fare a Marco un'esperienza con il gruppo dell'istituto che ogni settimana gioca a calcio e dove io presto la mia opera come volontario ed esperto della disciplina. È un giovedì mattina quando Il medico, responsabile dell'equipe che lo segue, mi presenta per la prima volta Marco. Siamo già tutti sul campo quando ci raggiunge tenendo per mano questo bambino che a prima vista si presenta goffo e impacciato, cammina in precario equilibrio tenendo le braccia lungo i fianchi quasi cercasse di occupare meno spazio possibile. Vengono verso di me il dottore mi saluta e dice su di lui queste parole: “Marco è un soggetto affetto da gravissima patologia relazionale, il suo livello intellettivo è basso, si esprime con un linguaggio notevolmente ridotto ed è accompagnato da un evidente impaccio motorio. Possiede un carattere molto fragile ed è soggetto a crisi che lo portano ad essere aggressivo e violento nei confronti di sé e degli altri, insomma prof. sarà dura fargli fare qualcosa, le abbiamo tentate tutte proviamo anche con il calcio, chissà che questo gioco non gli...smuova qualcosa dentro. Un Particolare importante: segue dalla finestra della sua camera le vostre partite tutti i giovedì”. Speriamo sia utile per lui e non crei molti problemi a noi penso egoisticamente e chiamo tutti attorno a me per iniziare l'allenamento. Iniziamo! Primo problema non vuole partecipare! Dopo mezzora però, passata nell'immobilità assoluta guardando gli altri a fare esercizi e giochi, vedo che si muove e va verso la sacca dei palloni. Lo raggiungo e lui quasi spaventato si ferma. Prendo un pallone e glielo porgo, lo prende e si allontana con la palla tra le mani. Nel mentre gli educatori hanno già iniziato ad organizzare la partitella finale, quella che rende tutti più partecipi e crea entusiasmo nel gruppo. Mi avvicino ancora a Marco e gli chiedo se vuol partecipare. Mi guarda e lasciando cadere la palla si dirige verso il cerchio di centro campo. Tutti lo guardiamo e tutti ci chiediamo: “che vorrà fare?”. Lui rapidamente si avvicina alla palla, se ne impossessa con i piedi e con un dominio inaspettato della stessa si dirige verso una porta. Abbiamo capito vuole fare gol, vuole farla entrare in rete! Ma tutti noi, e lui, non abbiamo fatto i conti con il Guglie il difensore più duro ed arcigno della nostra squadra che vedendo un giocatore in possesso della palla che si sta involando verso la sua porta lo ferma con un takle all'inglese, portandogli via la palla e ripartendo in contropiede. Il Guglie (Guglielmo) e un ragazzone di diciassette anni ha un grave ritardo mentale che lo rende un bambinone in tutte le sue esternazioni sia in positivo che in negativo. Ma mentre il Guglie vola verso la gloria del gol, Il Marco rimane impietrito li dove è stato realizzato il “misfatto”cioè dove gli hanno rubato la palla, ma dopo alcuni secondi inizia a gridare e a rincorrere il Guglie e a questo punto partiamo tutti alla rincorsa del Marco che rincorre il Guglie! La scena è grottesca tutti rincorrono qualcuno. La velocità di traslocazione del Marco è impressionante in un attimo è sul Guglie il quale visto e sentito tutto il frastuono si è fermato e aspetta il Marco con la palla in mano. A questo punto Marco si ferma, io mi fermo, gli educatori e tutti gli altri ragazzi si fermano. Tutto si ferma e nessuno parla. Ho l'impressione di essere sull'orlo di un baratro dove cadremo tutti. Ma è lui stesso, il Marco, che sblocca la situazione sussurrando al Guglie: “PALLA MIA!” il Guglie che è abbastanza intimorito da tutto l'accaduto gli porge la palla senza opporre resistenza, il Marco la mette a terra e guidandola corre verso la porta dove si stava dirigendo il Guglie e con un tiro di punta del piede fa gol! Ci guardiamo in faccia io e gli educatori più commossi che sorpresi e continuando ad osservare lo spettacolo restiamo li in mezzo al campo quasi inebetiti. Marco sta correndo con le braccia aperte e alzate per tutto il campo urlando: “GOL GOL GOL”. A questo punto ci facciamo tirrare dentro dall'entusiasmo ci scateniamo tutti: ridiamo, saltiamo, battiamo le mani e anche noi gridiamo gol, gol, gol! Sono lì in mezzo al campo guardo questo ragazzo che corre, mi commuovo e vorrei urlargli:
“Corri, corri Marco che hai fatto gol!Corri e fuggi dal befotrofio, corri efuggi dagli ospedali psichiatrici, corri e fuggi dalla tua violenza, corri e fuggi dalla paura della solitudine.
Con un gol Marco Corri verso la tua normalità”.

15 marzo 2009

IL CALCIO E' POESIA?

Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del «goal». Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno. In questo momento lo è Savoldi. Il calcio che esprime più goals è il calcio più poetico.
Anche il «dribbling» è di per sé poetico (anche se non «sempre» come l’azione del goal). Infatti il sogno di ogni giocatore (condiviso da ogni spettatore) è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare. Se, entro i limiti consentiti, si può immaginare nel calcio una cosa sublime, è proprio questa. Ma non succede mai. E un sogno (che ho visto realizzato solo nei Maghi del pallone da Franco Franchi, che, sia pure a livello brado, è riuscito a essere perfettamente onirico).
Chi sono i migliori «dribblatori» del mondo e i migliori facitori di goals? I brasiliani. Dunque il loro calcio è un calcio di poesia: ed esso è infatti tutto impostato sul dribbling e sul goal.
Il catenaccio e la triangolazione (che Brera chiama geometria) è un calcio di prosa: esso è infatti basato sulla sintassi, ossia sul gioco collettivo e organizzato: cioè sull’esecuzione ragionata del codice. Il suo solo momento poetico è il contropiede, con l’annesso «goal» (che, come abbiamo visto, non può che essere poetico). Insomma, il momento poetico del calcio sembra essere (come sempre) il momento individualistico (dribbling e goal; o passaggio ispirato)..
. Il calcio in prosa è quello del cosiddetto sistema (il calcio europeo)
Il «goal», in questo schema, è affidato alla «conclusione», possibilmente di un «poeta realistico» come Riva, ma deve derivare da una organizzazione di gioco collettivo, fondato da una serie di passaggi «geometrici» eseguiti secondo le regole del codice (Rivera in questo è perfetto: a Brera non piace perché si tratta di una perfezione un po’ estetizzante, e non realistica, come nei centrocampisti inglesi o tedeschi).
Il calcio in poesia è quello del calcio latino-americano. Schema che per essere realizzato deve richiedere una capacità mostruosa di dribblare (cosa che in Europa è snobbata in nome della «prosa collettiva»): e il goal può essere inventato da chiunque e da qualunque posizione. Se dribbling e goal sono i momenti individualistici-poetici del calcio, ecco quindi che il calcio brasiliano è un calcio di poesia. Senza far distinzione di valore, ma in senso puramente tecnico, in Messico [Olimpiadi 1968] è stata la prosa estetizzante italiana a essere battuta dalla poesia brasiliana.
PIER PAOLO PASOLINI

27 febbraio 2009

IL GIOCO DEL CALCIO E' UN GIOCO SITUAZIONALE

IL CALCIO E’ UNO SPORT DI SITUAZIONE !Quindi uno sport dove l’avversario ti contrasta in qualsiasi zona di campo anche col contatto fisico condizionando( secondo dopo secondo) le varianti spazio tempo e tutto ciò prima durante e dopo l’esecuzione del gesto tecnico!PRIMA: Gli allenatori spesso affermano” nel calcio attuale non hai più tempo di ricevere–osservare –decidere ed -eseguire ma dovrai osservare-decidere ed eseguire” FALSO anche nelle generazioni di giocatori precedenti la raccolta dati, funzionali al raggiungimento dell’obiettivo prescelto condizionavano il gesto e la riuscita dell’azione , di certo, è cambiata la velocità, con la quale la situazione muta.e di conseguenza i tempi di comprensione ed esecuzionePer cui un’attenta ed ISTRUITA valutazione delle informazioni più utili (non tutte le informazioni sono utili, anzi) determinano fortemente la funzionalità del gesto e di conseguenza del risultato (il fine ultimo è sempre il risultato non il gesto, il gesto è da considerare un mezzo)DURANTE : Quando gestisco il contatto con la palla visto il carattere situativo ed invasivo di questo sport dovrò allo stesso tempo dominare palla sotto pressione ed osservare l’ambiente DOPO :La dominanza collaborativa negli sport di squadra richiede una spiccata predisposizione a riconoscere la posizione migliore da assumere per facilitare le opzioni del nuovo possessore della palla, molto semplicemente gioco palla ed aiuto i compagni(smarcamento) collocandomi nella posizione migliore per farlo sia in fase d’attacco che in fase difensivaOra riflettiamo sul fatto che, il prima ed il dopo sono senza palla(come-dove quando mi muovo) ma necessiteranno di una comprensione educata del contesto situazionale che andrà allenata ed il durante con la palla non scapperà al principio di situazionalità da allenare,Lo smarcamento è il principio dominante nel bagaglio di tattica individuale in fase di possesso che ogni giocatore dovrebbe possedere.La rilevazione dei dati sul possesso palla individuale ci dice che massimo sarà (nei giocatori più dotati)di circa 3 minuti a partita, mentre nei rimanenti 57 minuti (considerando 60 minuti effettivi) il giocatore si muoverà per difendere ed attaccare senza possesso palla; e quindi avrà a disposizione circa 28 minuti per smarcarsi quando la sua squadra avrà il possesso palla.Allora mi chiedo se gli allenatori dedicano abbastanza tempo a questi 28 minuti(che sappiamo essere fondamentali) facendo conoscere ai giocatori i segreti del movimento senza palla ! E soprattutto quanto tempo e cosa è stato proposto per far conoscere questo importante principio di tattica individuale nella loro formazione di “scuola calcio”,e risottolineo scuola calcio

20 febbraio 2009

TECNICA DI BASE E TECNICA APPLICATA

INTRODUZIONE: TECNICA DI BASE E TECNICA APPLICATA La tecnica calcistica è il complesso delle abilità inerenti i movimenti che il giocatore è chiamato a compiere durante la gara, quando si trova in contatto o comunque in relazione con la palla.Sotto il profilo didattico, che è quello che maggiormente intendo sviluppare, si parla di tecnica di base, che consiste nel contatto uomo - palla, a prescindere da ogni fase dello sviluppo del gioco, e di tecnica applicata, che è invece relativa a tutti quegli accorgimenti per mezzo dei quali i fondamentali vengono espressi in relazione allo sviluppo del gioco, tenendo conto dei compagni e degli avversari, il tutto nella forma più redditizia per lo sviluppo dell’azione.La tecnica di base è dunque un contenuto didattico preliminare, ma insostituibile, anche se non sufficiente per la formazione del calciatore che dovrà, per essere completo, perfezionare la sua tecnica globale in situazione di gioco.Per questo motivo ritengo che l’allenamento moderno debba considerare entrambi gli aspetti della tecnica. Per capire però quale peso dare nell’allenamento a tecnica di base e tecnica applicata, o meglio, quale relazione esista tra loro, ho voluto definire molto brevemente come si sia evoluto il concetto di “gioco del calcio” in questi ultimi 20 anni: tutto ciò al fine di determinare come sia cambiato con il modo di giocare anche il modo di allenare. So che esistono molti modi di intendere il calcio moderno e altrettante applicazioni, ognuna legata a qualche grande nome di allenatore: a prescindere da essi, il mio obiettivo nel corso di questa trattazione è di definire quali per me siano le priorità e le metodiche più appropriate e suggerire in questo senso una serie di esercizi di allenamento.

2 ball drill

31 gennaio 2009

AGGIORNAMENTO AGLI ALLENATORI DI ABU DABI (EMIRATI ARABI)


UNA SETTIMANA AD ABU DABI

La capitale per la maggior parte sofisticata e moderna degli Emirati Arabi Uniti presenta un misto affascinante di tradizione e progresso. Con una storia ricca di tradizione risalente a circa il 3000 AC, Abu Dhabi mantiene un carattere più prettamente arabo rispetto alla luccicante Dubai.

Nel periodo dal 23/1/09 al 30/1/09 ho soggiornato ad Abu Dabi e ho sviluppato un corso di aggiornamento per gli allenatori associati all'Abu Dabi Concuil. L'esperienza oltre a risultare molto interessante sotto l'aspetto tecnico mi ha permesso di visitare un luogo SUGGESTIVO E RICCO DI UNA CULTURA DIVERSA DALLA MIA. Ho visitato le strutture sportive che oserei definire AVVENIRISTICHE sia per il livello di progettazione sia per la bellezza estetica. ho conosciuto persone veramente interessate alle problematiche dell'attività calcistica giovanile. Esperienza veramente POSITIVA