22 marzo 2010

CORSO D'AGGIORNAMENTO: "PERCORSI TECNICI COORDINATIVI"

La giornata "Percorsi Tecnico-Coordinativi"
Lunedì, 22 Marzo 2010 17:54:32
MILANO - Si è svolto oggi al C.S. Facchetti il secondo dei tre incontri "Percorsi Tecnico-Coordinativi" organizzato dal mensile Nuovo Calcio e dal Settore Giovanile di F.C. Internazionale. L'incontro, che ha visto partecipare 561 allenatori da tutta Italia, ha lo scopo di trasmettere le conoscenze dei tecnici nerazzurri al fine di poter crescere meglio i giocatori, nel particolare, della categoria Esordienti, fase fondamentale del percorso di apprendimento dei giovani calciatori.Dopo una breve introduzione ai lavori da parte di Roberto Samaden, responsabile del settore giovanile, e al saluto di Michele Di Cesare, direttore della rivista Nuovo Calcio, ha preso la parola Giuliano Rusca, responsabile tecnico delle attività di base dell'Inter."La fase in esame è uno dei momenti cruciali per la vita dell'atleta. È il momento in cui si passa da un calcio con una accezione puramente ludica, ad una fase pre-agonistica. Insegnare le cose giuste nel modo giusto è fondamentale" commenta Rusca.Gli allenatori "ospiti" hanno assistito, muniti di taccuini e telecamere, a una seduta di allenamento dei giovani nerazzurri e hanno potuto interagire con tutti i tecnici, tra i quali quest'oggi anche Luciano Castellini. "Oltre agli esercizi vogliamo mostrarvi lo spirito e la mentalità con i quali si deve allenare, cose che non troverete mai sui libri" è il suo breve commento.Sono state organizzate 4 stazioni di lavoro: Portieri, Tecnica Coordinativa, Tattica Individuale, Collaborazione di Squadra. I tecnici divisi in 4 gruppi hanno potuto assistere ad ogni momento dell'allenamento e vedere i giocatori delle giovanili dell'Inter svolgere gli esercizi.Molta soddisfazione, apprezzata soprattutto la praticità e la concretezza con la quale è stata organizzata la giornata. Poche parole, tanti fatti, tanti esercizi e tecniche nuove. "Il nostro scopo non è quello di stupirvi o di impressionarvi" - afferma Rusca prima di passare sui campi - "vogliamo restituirvi conoscenze pratiche, esercizi, situazioni ed attività reali, così che possiate introdurle nelle vostre metodologie di allenamento". Commenti positivi e complimenti da parte degli ospiti, per una giornata costruttiva e formativa; ai tecnici per la loro competenza e disponibilità, alla società nerazzurra, ma anche ai giovani atleti dell'Inter.

05 marzo 2010

PAOLO

PAOLO
“I bambini sono il bello del calcio. Le loro emozioni, di fronte ad un pallone, sono difficili da immaginare e da rappresentare. Il sorriso di un bambino che gioca a calcio è il più bello spot per questo sport”. G.Facchetti
Non sempre si nasce fenomeni. Il mondo del calcio ha anche altri volti. Volti di giocatori normali, che sin da bambini inseguono il sogno di calcare un prato verde e correrci sopra, inseguendo un pallone. Per molti di loro il sogno svanisce. Per altri continua, anche se tra mille sacrifici. Ecco il prototipo di questo tipo di giocatore: quello che difficilmente finisce in copertina, quello che non va mai alle conferenze stampa, quello che non rilascia interviste a riviste del settore; uno normale, un tipo come Paolo. Lui Gioca in mediana e corre per tre. Ha un cuore grande e generoso e a soli dodici anni si vede il suo talento: è quello di sapersi sacrificare per gli altri senza riserve senza nessun interesse personale, tutto per la squadra, la squadra avanti a tutto. Sono due gli aspetti di Paolo che mi interessa farvi conoscere: il calciatore e la grande persona che sta dietro ad esso. Lui è Un ragazzo sensibile e riflessivo, che si emoziona parlando della propria famiglia e ogni qual volta che parla in pubblico arrossisce e abbassa la testa dimostrando una timidezza fuori del comune. Lui era Uno di quei bambini che andava allo stadio a vedere i propri idoli e che era pieno di gioia ogni qual volta poteva avvicinarne qualcuno, anche solo per salutarlo. Paolo ha fatto la gavetta. Ha faticato per guadagnarsi un posto in serie A. Ha trascorso tanti anni lontano da casa e distante da famiglia e amici. Ha cominciato ad andare in giro da giovanissimo. È rimasto nelle giovanili del Milan per sei anni, facendo tutta la trafila dai pulcini alla primavera, poi inizia a girare in tante squadre: Viterbese, Chievo, Sampdoria ed ora Udinese. All’epoca, quando lo allenavo io, però, aveva solo 12 anni e poca possibilità di affermarsi. Il sogno era forte, ma il desiderio era troppo anche per il genio della lampada. Il suo talento calcistico era buono, ma mai avrei scommesso che quel caparbio comasco avrebbe oggi calcato i tappeti degli stadi di serie A. E così Paolo dalla società rossonera deve uscire per affermarsi e inizia ad andare a Viterbo. Fino a quando non gli si presenta di fronte l’opportunità di approdare al Chievo.Il calcio,oramai a quanto sembra lo sappiamo in pochi, non è solo celebrità e glamour. Il calcio è spesso sacrificio. Chi non ha l’arma del talento fin dalla nascita, deve affermarsi in altri modi e la via maestra è sacrificarsi. Paolo questo lo sa benissimo, lui è stato tanto tempo lontano da casa, dai suoi amici, dai suoi genitori che ama tantissimo, lui ha limitato le feste, le cene al ristorante, i bagordi notturni, per un unico scopo: arrivare! Non ha potuto fare ciò che facevano i suoi coetanei. La sua determinazione era concentrata nel voler sfondare, diventare un calciatore di serie A.. Nemmeno fare una gita in famiglia nei weekend. Il calcio viene prima di tutto”. Eppure i calciatori sono dei privilegiati rispetto all’uomo comune e Paolo è il primo ad ammetterlo: “Fare il calciatore, nonostante i sacrifici, è comunque un privilegio. Ci sono gli infortuni, ma anche quell’enorme visibilità che altre professioni non sognano lontanamente”(sue parole in una rara intervista). Paolo ce l’ha fatta è diventato quello che sognava grazie alla sua voglia, alla sua determinazione, alla sua capacità di rendere realtà un sogno. Capita spesso che la gente pensi che la vita dei calciatori sia qualcosa di beatamente lussuoso e privilegiato. Spesso però non è così. Il Calcio è un gioco non facile. Anche se si è dotati, bisogna investire molti anni per affinare la tecnica e per forgiare il carattere. E poi la stessa carriera è sempre, per certi versi, un' avventura sul filo del rasoio. Bisogna fare molti sacrifici. Paolo c’è riuscito!
Bravo Paolo!
Sammarco Paolo
Nato a Como il 17-08-1983, Centrocampista. Tira i primi calci nel U.S. Sagnino per poi passare nelle giovanili dell’A.C.Milan. Dopo la trafila nelle squadre del settore giovanile Sammarco inizia la carriera calcistica in serie C1 nel 2002-2003 con la Viterbese, con cui gioca 24 partite. L'anno successivo il Chievo ne acquista il cartellino e lo cede in prestito al Prato, in Serie C1, con cui totalizza 30 presenze corredate di un gol.La stagione 2004-2005 lo vede finalmente impegnato in Serie A coi clivensi. Nel 2006-2007 fa il suo esordio in 2 competizioni europee: nei preliminari di Champions League, il 24 agosto 2006, in Chievo-Levski Sofia 2-2 e in Coppa Uefa, il 14 settembre 2006, in Sporting Braga-Chievo 2-0. A fine stagione però i veronesi non riescono ad evitare la retrocessione in Serie B, giunta all’ultima giornata.Nell’estate 2007 il centrocampista arriva a Genova, sponda blucerchiata, e il suo rendimento si mantiene a livelli molto elevati per tutto il campionato: segna 5 gol e la Sampdoria conclude in sesta posizione, qualificandosi per la Coppa Uefa. Nella sua seconda stagione in Liguria, Sammarco realizza 2 gol, di cui uno a Marassi in Coppa Uefa il 27 novembre 2008 nell'incontro della fase a gironi contro lo Stoccarda.Il centrocampista comasco ha giocato in tutte le categorie minori della Nazionale italiana e nel 2005-2006 ha indossato per 9 volte la maglia dell’Under 21.Nell’estate 2009 la Sampdoria lo cede all'Udinese in prestito e, ironia della sorte, debutta in maglia bianconera proprio a Marassi contro i blucerchiati.

26 febbraio 2010

IL BAMBINO NON E' UN ADULTO IN MINIATURA

Il bambino non è un adulto in miniatura
Per noi adulti il gioco ha un significato ben conosciuto, è distrazione, svago,
ricreazione, ma per i piccoli risulta essere qualcosa di più importante. Nei
primi anni di vita di un bambino, si gettano le basi per la formazione del
carattere dell’adulto che sarà domani ed il tutto deve essere fatto secondo
criteri pedagogici idonei e ben calcolati.
Alcuni decenni fa, quando si parlava di educazione rivolta ai bambini, si
consideravano modelli che oggi sono superati e forse in contrasto con le
teorie attuali. Il bambino serio, silenzioso ed obbediente se un tempo era
sinonimo di perfezione, oggi è considerato un caso da prendere in seria
considerazione, perché molto vicino al “patologico”.
La psicomotricità ed il metodo Montessori hanno diversi punti in comune.
Nati nello stesso periodo, fine ‘800 ma forse mai incontrati tra loro, hanno
sviluppato concetti molto dissonanti con la cultura dell’epoca. La
psicomotricità nasce in Francia per fini terapeutici e per pura coincidenza la
dott.sa Montessori approfondisce le sue conoscenze per la letteratura
scientifica francese su casi di bimbi selvaggi allevati da animali con i relativi
esperimenti.
Entrambi i metodi cominciavano a considerare l’importanza di un adeguato
percorso pedagogico rivolto a casi patologici basato su principi fondamentali,
non sovrapponibili in età adulta, ma di grande impatto per la crescita e lo
sviluppo dell’individuo che da bimbo si prepara a diventare uomo. Le stese
teorie sono state riproposte dagli stessi autori per l’applicazione in casi non
patologici con sorprendenti risultati.
Oggi la psicomotricità viene considerata non solo per esigenze terapeutiche,
ma per educare nel modo più appropriato i fanciulli del nostro mondo. In
questo caso è più corretto parlare di gioco nel senso più stretto del termine
che ritrova in questo contesto la giusta collocazione.
La psicomotricità rispetto al metodo Montessori, è più attuale per il semplice
fatto che quest’ultimo ha alcuni aspetti contraddittori. Giusto per citarne
alcuni, la Montessori educava i bambini a diventare dei piccoli ometti,
precisi, ordinati, corretti con una forte propensione al dovere. Il gioco del
silenzio sebbene è un mezzo per far apprezzare un momento di riflessione,
pausa, relax, in un contesto ludico se proposto diverse volte, andrebbe a
rompere e snaturare l’innato senso di allegria, tipico di ogni bambino. Il
bambino vivace e che disturba, viene allontanato.

19 febbraio 2010

EMANUELE

EMANUELE
Per il giovane Emanuele il gioco del calcio non era solo uno sport. Il calcio era per lui un modo di uscire dalla sua vita fatta di violenza e prevaricazione. Fin da giovanissimo la vita di Emanuele era stata permeata di violenza, soprattutto di quella violenza fine a se stessa, realizzata su persone deboli come bambini, donne e anziani. Lui viveva in un quartiere di Milano rinomato per gli atti delinquenziali che le band facevano quasi quotidianamente. Qui o appartenevi ad una fazione oppure non sopravvivevi. Anche Emanuele apparteneva ad una banda, ora le chiamerebbero: le baby band, e fu in quel quartiere che all’età di otto anni i membri di una banda rivale lo presero e lo picchiarono a sangue e se per caso un adulto non fosse passato di li sarebbe morto sotto i colpi di quei teppisti. Quelle botte gli lasciarono i segni profondi, oltre che sulla pelle incisero nella sua profonda psiche e lui, quei segni, li riportava in ogni sua esperienza. Anche nel calcio Emanuele trascinava il suo vissuto, il suo malessere e la sua violenza repressa e subita. Lui era, diciamo, un po’ troppo deciso e grintoso nel suo gioco, soprattutto quando doveva entrare in contrasto con qualche avversario.
In qualsiasi situazione si trovasse ad affrontare la sua soluzione era la stessa: aggredire in modo violento ed immediato senza pensarci molto. Il suo mondo era conosciuto da tutti e tutti gli stavano lontano. Lui aveva comunque sviluppato un concetto di gruppo molto forte ed all’interno della squadra era ben voluto dai suoi compagni che lui a sua volta proteggeva da tutto e da tutti. Era un gruppo coeso e molto unito quella selezione dell’A.C. Milan dei nati nel 1984, (esordienti regionali quell’anno) e tutti insieme facevano “paura” sul campo. Ricordo una partita a Varese:
dopo venti minuti era già 2 a 0 per noi, due tiri di Emanuele da fuori area, due gol bellissimi. Gli avversari erano in “trance” non ci capivano nulla di quello che stava succedendo in campo e noi stavamo dominando alla grande. Ad un certo punto l’arbitro, che per la cronaca era un dirigente loro, inizia a dare i numeri e a fare il “cinema” come si dice in gergo; morale: ci fischia contro due rigori nel giro di cinque minuti e ci manda fuori un giocatore per doppia ammonizione. A questo punto, sul due a due, personalmente oltre a far fatica a stare zitto e fermo,(me lo sarei mangiato quel galantuomo) faccio fatica anche a gestire il gruppo e soprattutto Emanuele che sta puntando l’arbitro correndogli vicino, troppo vicino e con un fare minaccioso. Il ragazzo ha dodici anni ma fisicamente sembra più grande ed accortosi di essere alto quanto l’arbitro lo va a cercare e, e, e accidenti mi accorgo che sta cercando il contatto fisico con il direttore di gara. Lo vedo gli è vicino, urlo come un dannato il suo nome, ma lui non mi sente o meglio fa finta di non sentire, urlo e corro in campo gli sono vicino lui si ferma e mi guarda negli occhi e facendo finta di nulla mi chiede: “che c’è mister?” a questo punto anche l’arbitro si è fermato e mi vede in mezzo al campo mentre sto correndo dietro a lui e ad Emanuele. L’arbitro fermandosi di colpo inciampa, barcolla,perde l’equilibrio ma dopo alcuni passi fuori asse riprende la sua corsa e cercando di capire cosa sta succedendo si gira verso di me e anche lui mi chiede: “si mister che c’è?”. Sono li in mezzo al campo e non so cosa rispondere con tutti gli occhi di tutti i partecipanti all’evento addosso e dalla tribuna si distingue una voce: “ma vai a sederti in panchina buffone!” Emanuele fa finta di nulla e se ne va correndo, l’arbitro mi guarda mi sorride con un ghigno e quasi sfottendomi mi dice: “si vada a sedere altrimenti la sbatto fuori!” Non so se prendermela con l’arbitro o urlare contro Emanuele, nell’incertezza me ne sto zitto e mesto me ne ritorno in panchina dove mi siedo e sto zitto fino alla fine della partita.
La partita la vincemmo quattro a due!
Sono passati quattordici anni è domenica pomeriggio e sono al campo sportivo di via Cilea, ora alleno le giovanili dell’F.C.Internazionale e tra un’ora giocheremo contro il Legnano. Sono un poco soprappensiero. Sto pensando che non mi piace giocare con il brutto tempo, sta piovendo infatti e la temperatura è bassa ci sono tre o quattro gradi. Mi pesa il pensiero dell’inverno e del lungo anno sportivo. L’estate, al contrario, è la mia stagione ideale. Sole, caldo e libertà. Quella appena trascorsa è stata magnifica. Per la prima volta ero andato al mare con la mia famiglia, ma come tutte le cose belle è passata in fretta, ma la sensazione che mi è rimasta dentro è bellissima. È strano come questi pensieri ti vengano nei momenti più impensati e tutto nella nostra testa venga collegato e ricordato a prescindere dalla nostra volontà.Come provenisse da molto lontano sento il mio cognome ripetuto più volte. Mi scuoto e prontamente mi giro verso la fonte sonora. Davanti a me un uomo si sbraccia facendomi segno di avvicinarmi. Ma chi è? Mi chiedo. Mi guardo attorno. Sono li all’entrata con tanta gente in piedi che verosimilmente aspetta di entrare nel proprio spogliatoio, ed è distratta da quel signore che continua a rivolgersi a me gesticolando. Mi avvicino stupito.“Ancora attaccato ai vecchi ricordi”, dice, “capita quando si è avuto una vita piena e intensa. Mister ma non si ricorda di me sono EMANUELE!”. Io sono un po’ frastornato, e non so cosa dire. Vorrei dirgli: certo che mi ricordo di lui e che non era per niente facile sbarazzarsi di quello che sento dentro in questo momento, certe cose rimangono appiccicate addosso e sinceramente non mi sento ancora pronto ad abbandonare tutto quanto. Emanuele continuava a guardarmi fisso negli occhi e capisco subito che con lui si deve passare ai fatti: “Emanuele quanto tempo!” ci abbracciamo e ci stringiamo forte per alcuni secondi. Io poso a terra la mia borsa, lui posa a terra la sua e con dentro entrambi tutto il nostro passato ci avviamo verso gli spogliatoi felici di esserci ancora per un attimo incontrati.

EMANUELE
Emanuele ha smesso di giocare a vent’anni, giocava in C2 e faceva il professionista, dopo un fatto di cronaca successogli nei pressi di Milano. Riporto qui sotto il suo racconto, con la sua verità che mi fece quel giorno dopo che io gli chiesi che stava facendo nella vita e se stava ancora giocando a calcio:
“ Mister era una sera dopo l’allenamento stavo tornando a casa in macchina guidava un mio compagno di squadra, quando una moto con su due balordi si è avvicinata e uno di loro ci ha sparato. Al mio amico l’han colpito sulla spalla e a me sulla coscia. Mister un dolore incredibile e sangue da tutte le parti. Pensi siamo andati all’ospedale da soli senza nessun aiuto e Li ho finito la mia carriera mister.Meno male che il proiettile è uscito dalla coscia senza danneggiare tutto il muscolo. Sono stato ricoverato in ospedale per un mese e non so ancora adesso chi devo “ringraziare” per quel che è successo! Comunque adesso mi diverto con dei miei amici e gioco in terza categoria”.
Questo il suo racconto, questa la sua verità. Non ho voluto indagare sui fatti sono solo contento che Emanuele sia ancora, ogni tanto su un campo da calcio e per alcuni pomeriggi lontano dal suo mondo violento.

DUE CONTRO DUE

Passaggi orientati e 2v2 (oppure 3vs1)


Prepariamo un campo lungo 40mt.Disponiamo quattro giocatori agli angoli di 4 quadrati e tutti insieme facciamo svolgere uno scivolamento del pallone in senso orario per esercitare tempo e precisione del passaggio. Diamo un numero ad ogni quadrato ed ogni volta che viene chiamato il gruppo interessato parte un 2vs2 con coloro che sono di spalle che tempreggiano fino al centrocampo (sono i difensori, possono intervenire solo nella propria metà campo) e coloro che sono rivolti verso la porta che vanno ad attaccare. Ogni turno si girano le posizioni. E’ possibile chiamare anche il 3vs1
Passaggi orientati e 2v2 (oppure 3vs1)

3×1 MINUTO

06 febbraio 2010

LUNEDI 08/02/2010 PRESENTAZIONE DEL TORNEO "AMICI DEI BAMBINI" CATEGORIA ESORDIENTI ORGANIZZATO DALL'A.S. ALDINI BARIVIERA

Si terra' lunedi' prossimo allEnterprise Hotel di Milano la presentazione del 6° Trofeo 'Amici dei Bambini'. E' un torneo ... (continua)
Si terrà lunedì prossimo allEnterprise Hotel di Milano la presentazione del 6° Trofeo 'Amici dei Bambini'. E' un torneo riservato alla categoria Esordienti (classe '97), organizzato dalla società Aldini Bariviera con il supporto di Regione, Provincia, Comune e Zona 8. Il popolare torneo si disputerà dal 7 aprile al 27 maggio al centro sportivo di via Orsini.
Nel corso della serata, presentata da Ivan Zazzaroni e Andrea Perroni con la collaborazione di Max Cavallaro, saranno premiati tecnici, giocatori e addetti ai lavori:
-premio comitato anno 2009 : a Giuseppe Marotta (Sampdoria), Pierluigi Casiraghi (Figc), Maurizio Beretta (Lega Calcio)
-premio dirigente sportivo dell'anno:
a Pantaleo Corvino (Fiorentina)
-premio allenatore dell'anno:
Josè Mourinho - ritira Beppe Baresi ( Inter)
-premio giocatore dell'anno:
a Sergio Pellissier (Chievo), Diego Milito (Inter), Andrea Pirlo e Marco Borriello (Milan)
premio responsabile sett. giov. Professionisti dell'anno: Filippo Galli (Milan), Massimo Carrera (Juve)
-premio allenatore sett. giov. prof. dell'anno:
Giovanni Stroppa - ritira Filippo Galli (Milan), Giuliano Rusca (Inter)
-premio responsabile sett. giov. dilettanti dell'anno:
a Davide Gatti (Lombardia Uno)
-premio allenatore dilettanti dell'anno:
Benoit Cauet (Accademia Inter)
-premio giornalista dell'anno:
a Fabio Guadagnini (Sky Sport)
L'incasso del torneo sarà devoluto all'Associazione Amici dei Bambini (Ai.Bi.) per il progetto 'Bambini al Centro', che dal 2007 si occupa in Congo del sostegno all'infanzia abbandonata.

02 gennaio 2010

IL BOMBER LUCA

IL BOMBER
“Ad ogni costo cerca tal volta di isolarti,
saluta te stesso; cerca che cosa cela l’anima tua;
abbi il coraggio di guardare nel tuo petto poiché t’appartiene
Ed agita quello che ci trovi dentro.” G.Herbert
Mi piace questa poesia perché all’attenzione che devi porre a te stesso all’osservazione dei tuoi sentimenti e delle tue sensazioni devi contrapporre la necessità di agitare i tuoi pensieri, quindi non una contemplazione passiva ma la preparazione per la ribellione a tutto quello che ti sta intorno e non puoi accettare.
Era sempre così prima di una partita importante cercavo nelle pagine dei libri più disparati, frasi o aforismi o addirittura Poesie per rilassarmi, per riflettere e nello stesso tempo per fare discorsi di preparazione psicologica alla squadra prima della partita. Quel giorno avevo trovato la poesia di Herbert, l’avrei ripetuta prima della partita e avrei insistito sul fatto che bisognava essere attivi mentalmente e sempre alla ricerca del proprio destino. Potevamo vincere e dovevamo mettercela tutta per farlo. Si questa poesia andava proprio bene l’avrei letta nello spogliatoio e avrei cercato di orientare il pensiero dei miei allievi verso il sé e li avrei stimolati a dare il meglio.
Erano le sette del mattino, era l’ora dell’appuntamento in piazzale Lotto a Milano, quando si andava in trasferta ci si trovava li. Una voce mi destò da tanta profondità e mi riportò alla realtà: “Mister la squadra è al completo, manca solo Luca” era Angelo il mio accompagnatore. Luca abitava proprio nei pressi del luogo della partenza e, teoricamente, avrebbe dovuto aggregarsi alla comitiva in anticipo, ma, praticamente come era sua solita abitudine, arrivava sempre per ultimo. Attendemmo un buon quarto d’ora, poi constatando che l’attesa si faceva troppo lunga, andammo direttamente a casa sua; e meraviglia delle meraviglie lo trovammo ancora a letto. La madre rispose al citofono( Luca abitava in un palazzone di venti piani), e mi disse che il figlio non era in condizioni di giocare perché, durante la notte, probabilmente mentre sognava di partecipare ad una partita di calcio, aveva sferrato un calcio allo spigolo del comodino per cui ora, aveva il piede gonfio e non riusciva a camminare. Conoscevo bene Luca aveva una passione per il calcio infinita ed in campo era uno che non mollava mai e mi sembrava strano che una botta al piede lo avesse fermato. Non potevo crederci e insistetti con la madre e le dissi se era possibile parlare con Luca. La risposta fu scortese e piena di rabbia: mi disse di andare al diavolo e che dovevo finirla di rompere con questo CALCIO e che lei ne aveva piene le scatole di lavare e stirare tute magliette e calzoncini. Basta non ne voleva più sapere e Luca avrebbe smesso di giocare e che lei non l’avrebbe più mandato. Mentre la mamma parlava sentimmo aprirsi il portone del palazzo era lui Luca che guardandoci negli occhi sia a me sia al mio accompagnatore ci disse: “andiamo io sono pronto, mia madre può dire quello che vuole questo torneo lo dobbiamo vincere e io devo giocare e, e poi si vedrà…”. Il mio accompagnatore di allora, Angelo T., sentite le parole di Luca e conoscendomi bene, si mise immediatamente in movimento, con un pennarello nero segnò una P, che voleva dire presente, di fianco al nome di Luca, sulla lista dei partenti, e finalmente con tutti sul pulman partimmo alla volta di Cremona. La partita era di quelle definite importanti: si trattava di una finale di un torneo, alla quale la nostra compagine di Esordienti si era qualificata dopo sofferte eliminatorie. Volevamo preparare bene la partita e per questo motivo eravamo partiti molto presto, avremmo giocato nel pomeriggio e precisamente alle 14.30. Avremmo pranzato al sacco con panini e acqua minerale, il tutto preparato la sera prima dal massaggiatore Walter. Walter era un omone di centoventi chili di bontà. Voleva bene ai ragazzi della squadra come se fossero stati tutti suoi figli. Li trattava bene e parlava molto con loro ma non con parole direttive, lui dialogava con loro con parole affettuose perché lui diceva sempre: “i bambini non crescono come le piante che basta dare a loro acqua e sole. I bambini hanno bisogno di domande che scaldino il cuore!” Lui parlava delle loro ideazioni, delle loro congetture sul mondo e delle loro scoperte che facevano di sè e del mondo stesso. Era un vero confidente e i ragazzi lo adoravano. Il pulman che ci avrebbe portato a Cremona era dell’impresa di trasporti “Firobeton”, era un vecchio autobus. Tutte le volte che lo vedevo i miei pensieri diventavano ricordi… il suono del suo claxson che accompagnava i miei primi giorni di scuola, quando con mamma andavo a raggiungere lo scuola bus lungo la statale del Sempione…a bordo c’era solo l’autista, e il vecchio autobus camminava lento e stanco, costringendo le automobili alle sue spalle a mettersi in coda…. ad andare piano, senza fretta. Sembrava che un po’ si divertisse ad indispettire le sue giovani colleghe…in quel momento immaginavo quante strade avesse percorso questo vecchio mezzo da museo, quanto catrame avesse calpestato, a quanti appuntamenti avesse accompagnato… quante ansie, speranze, segreti, paure, pensieri, ricordi, passioni, sogni, dubbi, sguardi, parole, saluti veloci, insulti gratuiti, gesti prepotenti… avesse trasportato!In quel vecchio autobus… quanti frammenti di vita! Questo residuo di guerra, messoci cortesemente a disposizione dalla giunta comunale, ci avrebbe comunque, sicuramente, lentamente ed inesorabilmente portati alla meta.
Alla guida del mezzo c’era il mitico autista Luigi detto il: “PRINCIPE”! Il soprannome evidenziava in modo netto ed inequivocabile il modo di fare del nostro autista. Luigi si presentava sempre con la divisa. Una livrea blu di altri tempi, con tanto di cappello e con il logo dell’azienda ricamato sul taschino della giacca. Come se non bastasse Luigi aveva una parlata ricercata e forbita a tal punto da renderlo una macchietta alla “mercè” di quei banditi che componevano la squadra. Allora non c’erano Navigatori Satellitari o Tom-Tom e le destinazioni dovevi trovartele da solo sulle cartine stradali, oppure dovevi avere una esperienza ventennale come quella del “principe”. Anche quella mattina tra un: “accidempoli” e un: “caspiterina” le uniche imprecazioni che si concedeva il Principe, dopo due ore e mezza di viaggio Luigi ci portò a destinazione. Erano le nove ed eravamo già li al centro sportivo della Cremonese. Era una bella giornata di Maggio con un bel sole caldo e con una brezza che rinfrescava le membra, una giornata ideale per giocare a calcio. Il morale era alto e la “truppa” era unita come non mai. Quello era un gruppo vincente un gruppo così ben coeso che non c’era componente della squadra che non parlasse bene del proprio compagno dentro e fuori dal campo. Ogni tanto ti capita nella carriera di allenatore di campionati giovanili, di avere –tra le mani- una squadra che vinca tutte le partite, sommergendo di gol ogni avversario. Questo era quello che stava facendo la formazione degli Esordienti Provinciali che seguivo quell’anno sportivo, i risultati avevano dell'incredibile: i miei ragazzi, tutti classe 1975, avevano vinto 17 partite su 17 in campionato, realizzando la bellezza di 110 gol ma soprattutto non subendone neanche uno, contro squadre di pari età del milanese.Si parlava si scherzava e si prendeva in giro, con delle imitazioni, il Principe. Facemmo una bella camminata e trovammo non tanto lontano da lì un posto per consumare il nostro lauto pranzo. Mangiammo e poi via con un’altra passeggiata. Così ridendo e scherzando si fecero le 13.00 ed era ora di preparare la partita. Riunii i ragazzi sotto un bel platano e iniziai a parlare dell’incontro che da li a poco ci avrebbe visti protagonisti. Il mio modo di preparare la partita di solito era questo: prima di essa dicevo sempre che volevo la vittoria, se la squadra avversaria invece era proprio più forte dicevo che potevamo vincere, mentre nell'intervallo vedevo un pò come era andata, e a seconda del risultato partivo o con una bella ramanzina oppure esortavo a continuare verso la strada intrapresa, infatti spesso era capitato di chiudere il 1° tempo sotto di un gol con delle prestazioni individuali scandalose e dopo il mio predicozzo vincere la partita. Ma quel giorno volevo far parlare loro e precisamente volevo far parlare Luca. E Luca non si fece pregare, parlò e disse questo: “ragazzi probabilmente questa sarà la mia ultima partita, mia madre me lo ha promesso non mi manderà più, ed io voglio chiudere in bellezza!(tutti ascoltavano con attenzione) Da solo però so di non potercela fare quindi o voi tutti mi date una mano per portare a casa questo trofeo oppure vi farò passare mezza giornata chiusi sull’autobus con mia madre che urla e il principe che impreca in quel modo che conoscete! Non so se mi spiego!” Tutti risero ma subito dopo iniziarono ad urlare che avrebbero vinto per lui che avrebbero portato a casa il trofeo e glielo avrebbero regalato. Ad un certo punto Luca si lanciò su di loro con un tuffo e i suoi compagni lo afferrarono al volo abbracciandolo tutti insieme. Il gruppo c’era e come se c’era!
Tornammo al centro sportivo ed entrammo negli spogliatoi. Alle 14.30 precise iniziò la partita!
La partita fu equilibrata fin dalle prime battute. Ci tenemmo testa soprattutto sul fronte difensivo: molte respinte e tackle, poche corse sulle fasce e poche occasioni guadagnate; il 1° tempo infatti si concluse sullo 0 a 0. Il risultato si sbloccò, a nostro favore, dopo 1 minuto e 30 secondi dall’inizio del 2° tempo, quando Luca, dopo un uno due sulla linea del limite dell’area avversaria, fece finta di fare un passaggio corto e approfittò di un varco della difesa s’ infilò tra due avversari e calciando in porta fece gol e portò in vantaggio la nostra squadra. A questo punto gli avversari decisero di provare a giocare su azioni manovrate ma i loro passaggi erano lenti ed imprecisi e su un passaggio errato Franco fece partire un contropiede che permise a Luca di raddoppiare eravamo sul 2 a 0. Così a pochi minuti dalla fine vincevamo ed eravamo padroni del campo. Fu proprio in quel momento, a un minuto dalla fine che l’arbitro decretò per gli avversari un rigore inesistente. Tiro del nove avversario gol: 2 a 1. Mancavano una manciata di secondi e tutto era stato messo in discussione. Ma della serie: “i più forti siamo noi” la squadra reagì e si impose con un’azione da manuale e realizzò sullo scadere del tempo, con il solito Luca, il 3 a 1. Partita finita e vinta!Successivamente fu un tripudio, tutti a saltare a urlare a rincorrersi per il campo ed il sottoscritto fu sottoposto ad un mega gavettone che mi rovinò l’abito nuovo comprato per l’occasione.Vincemmo e presi dall’euforia della vittoria, prima di partire festeggiammo in un bar il nostro “alloro” con vino bianco e fette di salame grosse quanto una mattonella.Partimmo, i canti e le urla accompagnavano il nostro cammino. Io ero seduto davanti e mi gustavo tutto lo spettacolo dallo specchietto retrovisore. Ad un certo punto, dopo Pandino, notammo che le strisce laterali, che segnalavano la carreggiata della strada, scorrevano quasi al centro del nostro automezzo, addirittura sulla sinistra; urlammo i nostri timori tanto che il Principe fece un cenno con la mano per rassicurare tutti: “la situazione è sotto il mio personale controllo” disse urlando. Io comunque per precauzione feci fermare il pulman! Scese anche il Principe il quale alle nostre vibrate rimostranze, disse testualmente: “Quando la curva è lunga bisogna prenderla larga e abbordata, saluti fascisti ed a noi”. Era ubriaco ciuco tradito e se non fosse stato per la sua età lo avremmo preso a calci nel sedere per quel saluto a braccio disteso e soprattutto per la paura che ci aveva fatto prendere. Invece l’Angelo tirò fuori il termos del caffè e gli fece bere due bicchieri di un quarto l’uno del suo caffè nerissimo.A malincuore, dopo una mezz’ora, riprendemmo la corsa. Ad un certo punto il pulman sbandò tutto sulla sinistra andando a finire su una cunetta e a malapena il mezzo non si ribaltò. Fortuna volle che non uscisse nessuno sulla destra ove c’era una stradina di campagna altrimenti sarebbe successo un disastro. Ci furono attimi di panico seguiti da un silenzio assoluto, poi si udì un grido: “Mi Che puzza Alberto, cagato ti sei?!”. Era Michele Asara che chiedeva “notizie” del fratello. A stento trattenemmo le risa e riprendemmo i festeggiamenti scendendo velocemente dall’autobus.Nel frattempo Antonio, il segretario della società, preoccupato per il ritardo, ci mandò incontro due autovetture.Tutto finì per il meglio. Per un attimo, solo per un attimo vennero sospesi i festeggiamenti previsti per la vittoria, ma poi ripresero più chiassosi di prima e il grido che andava per la maggiore era: “GLI INVINCIBILI SIAMO NOI MA CHI…SIETE VOI!” noblesse oblige!
Arrivati a Milano presi Luca in disparte e gli parlai. Gli dissi che avrei cercato di convincere sua madre a continuare a mandarlo a calcio ma nello stesso tempo lui avrebbe dovuto ascoltarla e accettare le sue decisioni. Lui abbassando la testa mi disse che lui senza calcio non riusciva a rimanerci e iniziò a piangere e con le lacrime che scendevano copiosamente dal suo viso e con la voce rotta dal pianto mi disse che anche suo padre, se fosse stato ancora vivo, avrebbe voluto che lui continuasse a giocare a calcio. Il papà di Luca era deceduto tre anni prima dopo una lunga e penosa malattia ed era stato lui ad iniziare al gioco del calcio Luca. Lo guardavo commosso e mi venne spontaneo: lo strinsi a me cercando di rincuorare quel piccolo cuore spezzato. Riportai Luca a casa e la mamma nel vederlo con il trofeo tra le mani si sciolse in un pianto liberatorio, Luca corse ad abbracciarla ed insieme salutandomi con la mano si diressero verso il portone di casa. Li guardavo e qualcosa si era agitato dentro di me forse era ciò che celava la mia anima?
Luca sta giocando da professionista in una squadra da più di dieci anni e per me è stato e sarà sempre il “BOMBER” .

01 gennaio 2010

BUON ANNO 2010

ANDIAMO AVANTI!
Con orgoglio.
Sempre a testa alta.
Con umiltà e altruismo.
Mai ripiegati su noi stessi.
Sempre convinti di poter dare e fare di più.
Figli e padri di una passione che nessuno potrà mai fermare, che tutti può coinvolgere, che a tutto può portare.

23 dicembre 2009

TORNEO A RUVO DI PUGLIA


I PULCINI DELL'INTER 99 VINCONO A RUVO DI PUGLIA

L'INTER SI AGGIUDICA IL "TURENUM WINTER" 2009!22 Dicembre 2009
Grande successo per il Torneo Turenum Winter 2009 riservato alla categoria pulcini 1999 che si è tenuto presso lo stadio Comunale di Ruvo di Puglia sede tecnia dell'Accademia Bari Point. "Il sogno che avanza...", il nuovo motto del presidente Flora Mannarini, che con la sua vitalità ha reso possibile un evento che ha catapultato l'attenzione di sette realtà professionistiche nello stadio di Ruvo.
L'Accademia Bari Point con le dirette streaming dell'intera manifestazione ha unito e collegato l'intera nazione, "sintonizzata" sul portale http://www.accademiabaripoint.it/ per seguire in streaming l'evento.
Dopo 24 partite molto interessanti dal punto di vista calcistico l'Inter è risultata la vincitrice del trofeo "Turenum winter" 2009! Vittoria meritata per la squadra nerazzurra di Mister Giuliano Rusca, che di gara in gara ha sempre confermato la propria ottima preparazione. Le ultime reti di tutto il torneo sono di Zerbin e Soresina che decidono il punteggio finale del match con il Padova, e quindi, la classifica definitiva: Inter dinnanzi ad Atalanta, Roma, Padova, Sampdoria, Cesena, Accademia Bari Point e Bari.
Nel corso della cerimonia conclusiva, oltre ai ringraziamenti e alle premiazioni di rito, premio speciale per Roberto Muzzi, che con la sua umiltà ha saputo rimettersi in gioco partendo dalla categoria pulcini in qualità di Educatore-Allenatore!
Grande esperienza di gioco e di vita, che, aldilà dei risultati, lascerà un ricordo bello come pochi in tutti coloro i quali hanno avuto l'opportunità di viverla, dai dirigenti delle società, ai giovani atleti.
Un grosso in bocca al lupo per il futuro a tutte le squadre partecipanti a questa importante manifestazione e un plauso speciale alla vincitrice del torneo! manifestazione e un plauso speciale alla vincitrice del torneo!
Uff. Stampa Accademia Bari Point

10 dicembre 2009

LA NOSTRA PIU' GRANDE PAURA

Settembre 13, 2007 in Mandela, libertà, paure
La nostra paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda,
è di essere potenti oltre ogni limite.
E’ la nostra luce, non la nostra ombra,
a spaventarci di più.
Ci domandiamo: ” Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? “
In realtà chi sei tu per NON esserlo?
Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo,
non serve al mondo.
Non c’è nulla di illuminato
nello sminuire se stessi cosicchè gli altri
non si sentano insicuri intorno a noi.
Siamo tutti nati per risplendere,
come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria di Dio che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.
Nelson Mandela

08 dicembre 2009

LA SQUADRA DELL'ORATORIO

LA SQUADRA DELL’ORATORIO
BARBAJANNA è sempre stata una fucina di buoni calciatori. Purtroppo, non essendo comune, (Barbajanna è una frazione nel comune di Leinà), per molte gare non godeva di certe “agevolazioni” soprattutto durante le competizioni eliminatorie che preludevano alle finali in campo provinciale. Noi si doveva fare le qualificazioni delle qualificazione per poter poi partecipare al torneo di qualificazione al torneo vero(non era giusto si diceva nello spogliatoio). In quegli anni, siamo nei favolosi anni sessanta, eravamo infatti costretti ad imporci sui numerosi e forti atleti di Leinà prima di passare a qualsiasi torneo locale. La nostra era una sparuta squadra, quattordici elementi di dieci e undici anni, tutti con un’unica passione il gioco del calcio. Eravamo la mitica squadra dell’oratorio, un gruppo di scalmanati giovinastri che colpiva tutto ciò che si muoveva e rotolava all’interno del campo di gioco. Per molto tempo dell’anno, avendo l’Angelo Danelli il contadino padrone del campo da calcio, seminato a granturco il campo stesso, eravamo costretti a svolgere i nostri allenamenti nel cortile adiacente alla chiesa, dove ogni scivolata sul terreno di gioco ci procurava ustioni di secondo e terzo grado. Ci allenavamo con la presenza di un commissario (nel vero senso della parola) , l’Argia (il nostro allenatore) era un commissario delle ferrovie dello stato, che ci spronava con parole gentili del tipo: “siete delle rape e cavar sangue da voi è impossibile!Bestie da soma, non valete niente!” per cui le nostre prestazioni sollecitate da così tanto acume psicologico a volte ne risentivano. Ma bastava sentire l’odore delle maglie sudate e il rumore dei tacchetti con i chiodi sul terreno da gioco per scatenarci e iniziar a menar calci a destra e a sinistra! Ci temevano tutti. Vincevamo quasi tutte le partite il nostro motto era: “Si vince con le buone o con le cattive altrimenti non si vive”. Solo L’Argia, a volte, faceva sì che, utilizzando trucchi da vero MAGO riusciva a farci perdere,e in quei frangenti negli spogliatoi volavano parole di fuoco sull’Argia e su quella santa donna che se l’era sposato.Non avevamo attrezzature e molto spesso dovevamo… arrangiarci, rubando (mi vergogno a dirlo ma lo facevamo) letteralmente palloni, magliette e pantaloncini nei campi ove svolgevamo le partite.Ricordo il… “furto” capolavoro di un pallone di cuoio, perpetrato nel Campo Comunale di Leinà.Il nostro compagno portiere, detto “il portinaio” per le numerose uscite a vuoto e per l’eleganza con cui subiva certe reti, sembrava facesse passare il pallone quasi con un ossequioso inchino si chiamava Rocco. Durante il riscaldamento, tra una sigaretta e l’altra, si fumava lui diceva che lo rilassava e lo riscaldava, calciò volutamente l’attrezzo al di là del muro di cinta del campo. Li attendeva Angelino, detto Arsenio per la sua capacità di rapinare in area di rigore tempo e spazio agli avversari, qualità che riusciva a trasportare anche nella sua vita di tutti i giorni. Questo rapido centrocampista di quantità, raccattava furtivamente il pallone e fuggiva come un fulmine verso la macchina dell’ignaro Argia, che impegnato nello studio di tattiche perdenti si ritrovava complice di un furto. Di solito “Arsenio” nascondeva nel portabagagli il pallone rubato e precisamente nella reticella portaoggetti e poi tornava a riscaldarsi con noi. Non essendo degli stupidi i dirigenti del Leinà si accorsero della nostra bravata e comprendendo il nostro vero intento, invece di farci punire dal nostro allenatore “commissario”, ci fornirono di attrezzature, il che ci consentì di svolgere la nostra attività per parecchio tempo senza pensare AD ALTRI piani di rifornimento furtivo.
Eravamo dei veri balordi e a questo proposito non posso esimermi dal raccontare un episodio che allora fece epoca, e fece parlare la popolazione dell’intero comune per mesi e mesi sull’argomento: “gioventù bruciata-non ci sono più i giovani di una volta” (frase sempre in bocca a tutti i ben pensanti).Recatici a Rodo per le finali del Torneo degli Oratori, faceva parte della comitiva anche un ragazzo dal nome: Paolone, che vista la sua stazza, la sua mole e la sua proverbiale cattiveria faceva la punta di sfondamento. Si trattava di una “massacratore” di centromediani avversari. Lui non li dribblava i difensori lui li abbatteva passandoci sopra. Con loro non aveva semplici contrasti aveva degli scontri dirompenti. La sua testa era il terminale di un’arma impropria. Una volta diede una testata ad un palo e noi corremmo tutti a sincerarci che IL PALO non fosse stato danneggiato seriamente e si potesse continuare a giocare, Lui non la prese bene questa nostra spiritosaggine e nello spogliatoio ce lo dimostrò prendendoci a frustate con l’asciugamano bagnato, fu terribile. Quel giorno, negli spogliatoi, così, tanto per divertirci, vista l’importanza della partita, incitavamo il nostro compagno a fare di più e meglio ad ogni sua “cortesia”sull’avversario. E quel giorno caricato per bene, Paolone in campo ce la mise tutta rifilando botte da orbi a tutto ciò che gli passava nelle vicinanze. Così verso la metà del secondo tempo, dopo l’ennesimo tentativo di tranciare la tibia del diretto malcapitato avversario, l’arbitro decise di mandarlo fuori, esibendogli sotto il naso il cartellino rosso. Il Paolone non ci vide più e fece vedere a tutti di che era capace. Alla vista del cartellino rosso si trasformò in una bestia e iniziò un irresistibile “sprint”, lasciando di stucco tutti gli altri giocatori, condusse una volata feroce, urlando come una belva ferita, verso la porta avversaria e giungendo li a velocità straordinaria si aggrappò alla rete e iniziò a strapparla con un impeto selvaggio. Dopo aver divelto la rete dai ganci della porta corse di nuovo, questa volta verso il centro del campo, con la rete tra le mani. Si stava dirigendo verso il povero arbitro, che atterrito era immobilizzato anzi direi pietrificato e guardava con rassegnata preoccupazione tutta la scena. Quando il Paolone raggiunse l’arbitro lo avvolse nella rete e buttandolo per terra lo trascinò per una decina di metri. Mancavano i leoni e poi si poteva dire di essere in una arena romana in presenza di gladiatori e vittime da sacrificare. Un vero disastro! Ad un certo punto, a fatica, il Paolone venne da noi immobilizzato e portato fuori dal campo a forza. Lo sforzo fu sovrumano: dovemmo trattenerlo e legarlo con la stessa rete con la quale aveva avvolto l’arbitro e con degli schiaffi in pieno viso cercammo di farlo rinvenire da quella transagonistica bestiale. Nello stesso tempo alcuni di noi dovettero anche tenere sotto controllo l’Argia perché cercava il Paolone e se lo avesse preso lo avrebbe massacrato di botte! Un vero delirio! Ad un tratto la scena mutò: sul campo arrivarono i vari genitori delle squadre presenti al torneo, i quali affermarono che non si poteva accettare tale gesto di maleducazione e di violenza inaudita (bè non avevano tutti i torti): “serviva una punizione esemplare, i giovani vanno educati!” (altra frase conosciuta) così disse uno di loro e così fu!Ci fu la squalifica e la radiazione della nostra squadra da tutti i tornei oratoriani del circondario. Fu squalificato anche l’Argia, considerato a torto, secondo me, responsabile di aver messo su una squadra di delinquenti e di non saperli controllare. A noi parve subito chiaro che il mondo ci stava facendo una (delle tante)grandissima ingiustizia… così, per rivalsa, il giorno dopo la sentenza, comunicata al nostro Don Luigi da un certo Don Lamberto, responsabile dello sport della curia, andammo subito a rubare le bandierine del campo sportivo di Rodo.La nostra squadra, per qualche tempo, dovette subire gli strali, le ingiurie e anche le maledizioni delle altre compagini che ci additarono come picchiatori e scarponi(noi sinceramente ne andavamo fieri). Ma tutto questo non ci demoralizzò noi continuammo per lungo tempo, anche senza svolgere partite ufficiali, ad allenarci e tirare calci in quel cortile sterrato vicino alla chiesa e a procurarci ferite ed abrasioni che con il tempo avremmo restituito ai giocatori delle squadre avversarie.