
Riflessioni sugli aspetti più importanti del settore giovanile calcistico.
18 giugno 2009
17 giugno 2009
PIX 1
PIX
In un angolo remoto della via Lattea viveva, su un pianeta dal nome esotico: Terrax, illuminato dalla stella Solex, un popolo molto evoluto. Questo popolo era composto da più di un miliardo di esseri fluorescenti che, grazie alla loro formidabile intelligenza, erano riusciti a creare e a conservare un ambiente meraviglioso e ideale per la loro esistenza. Erano arrivati addirittura a pensare che la conservazione del loro pianeta dovesse passare dal fatto che nessuno doveva viverci sul pianeta. Così tutti gli abitanti di Terrax vivevano su navicelle spaziali orbitanti attorno al pianeta stesso. Tanto era bello il loro pianeta tanto erano tristi i Terraxani!
La famiglia Alfax, formata da papà, mamma e il giovane Pix, abitava in una comoda residenza volante che orbitava a duecento chilometri da Terrax. La vista che si godeva dal grande oblò della cucina era meravigliosa: si vedeva addirittura tutto il sistema solare. Sin da piccolo, quando la sera il papà gli raccontava di mondi lontani, Pix gli chiedeva sempre la stessa cosa: “papà parlami del sole e del suo pianeta piu bello: la terra!” Il padre gli spiegava che il Sole, con il suo fortissimo calore permetteva sul pianeta Terra, solo su di essa, l'esistenza di esseri viventi chiamati uomini che dominavano il pianeta. Questi lavoravano sul pianeta, si muovevano sul pianeta insomma facevano tutto sul loro pianeta! Pix, sognando ad occhi aperti, diceva: “un giorno costruirò una navicella spaziale e andrò a trovare gli uomini!” dopo di che si addormentava e sognava la Terra e gli Umani. Il tempo passava e il piccolo Pix cresceva e le sue giornate erano dedicate a progettare un veivolo in grado di affrontare il viaggio interplanetario. La mamma e il papà erano un po' preoccupati per questa strana volontà del loro amato figliolo e si chiedevano cosa mai avesse voluto più di quanto aveva. Perchè in lui c'era questa voglia di conoscere questo pianeta piccolo e sconosciuto?
Ma arrivò il giorno della partenza: Pix salutò i genitori e i parenti e sicuro del successo del suo viaggio partì. In pochi giorni attraversò lo spazio infinito che per anni aveva osservato dal grande oblò della cucina di casa, stava per entrare nel sistema solare. La rotta che aveva programmato con il padre lo portò vicino alla Luna, e a quel punto Pix puntò verso la direzione voluta: la Terra!
Più si avvicinava ad esso più gli sembrava bello e invitante. Quando era ormai vicino, notò che la superficie presentava grandi macchie di colore blu e altre di colore verde e altre ancora di colore marrone. Ne scelse una vi si avvicinò e atterrò comodamente. Il paesaggio era meraviglioso. Alti Alberi si alternavano ad ampie radure. L'azzurro del cielo faceva da cornice a quelle splendide immagini. Pix scrutò a fondo l'ambiente per trovare tracce di Umani. Finalmente li trovò! Erano tutti in un grande “catino” che saltavano, urlavano e si muovevano a un ritmo frenetico. Nel mezzo del catino c'erano degli altri Umani che rincorrevano un oggetto rimbalzante e sbuffando e correndo cercavano di conquistarlo e colpirlo. Rapito da ciò che vedeva, Pix si era dimenticato di essere a bordo del disco volante, in collegamento con suo padre. Quando se ne rese conto, gli manifestò il suo entusiasmo: “il pianeta è meraviglioso, vorrei che tu fossi qui, tra poco partirò e mi dirigerò verso oriente” comunicò riaccendendo i reattori. Quando pensò di essersi spostato a sufficienza, Pix decise di atterrare. Scelse un posto appartato. Il luogo era molto diverso dal precedente. Vi erano infatti grandi costruzioni dal tetto dorato e dalle facciate colorate ma anche lì trovo: “il grande catino” pieno di umani urlanti e agitati che si entusiasmavano nel vedere altri Umani rincorrere sempre lo stesso attrezzo che Pix lesse sul monitor del computer di bordo chiamarsi Palla. Decise di spostarsi ancora più ad oriente e presto arrivò in un altro paese dove notò che gli umani di quella parte della terra aveva il colore della pelle più chiaro rispetto a quella degli uomini che aveva visto in precedenza. I loro volti incorniciati da capelli lisci e nerissimi, erano illuminati da occhi scuri e sottili. Anche lì Pix trovò lo stesso “catino” che finalmente sapeva come lo chiamavano gli umani: STADIO, e quello che facevano i gli umani dentro allo stadio era quello di assistere ad una partita di CALCIO! Si convinse definitivamente che quella dovesse essere l'attività preferita degli Umani quando dirigendosi a sud trovò anche lì uno Stadio con gente che incitava a squarciagola i praticanti del Calcio. Prima di tornare dai suoi cari, Pix voleva visitare un posto che gli Umani chiamavano Europa. Sorvolò verdissime vallate, dove ogni tanto sorgeva un vecchio castello e anche li trovò uno stadio era notte e il buio regnava tutto attorno a questo posto illuminato. Uomini e donne con abiti variopinti erano all'interno di esso e sembravano contenti di essere li. Lo spettacolo che si vedeva dall'alto era così bello che Pix sorvolò sullo stadio per tante e tante volte. “Che bello, che bei colori e come mi sento bene, mi piace questo modo che hanno gli umani di stare assieme!” a quel punto volle sapere tutto sul calcio ed in pochi minuti seppe tutto quel che c'era da sapere sul calcio dal suo computer e poi si mise in contatto con suo padre e gli comunicò: “ Papà ti devo dire una cosa che forse ti darà qualche preoccupazione, ma che per me è importante. Avevo intenzione di ripartire subito, ma non ci riesco. Il desiderio di scendere dalla navicella è più forte di ogni altra cosa. Ho deciso di fare conoscenza diretta con gli uomini. La loro vita è meno monotona della nostra, e vorrei soprattutto conoscere quello che tutti gli Uomini amano fare: giocare a calcio! Sono sicuro che se riuscirò a conoscere meglio gli uomini migliorerò la nostra esistenza.” Papà e mamma Afax ne discussero ma alla fine decisero che Pix dovesse rimanere. Il padre alla fine fece questa osservazione: “se Pix desidera tanto rimanere vuol dire che ne vale la pena. E poi sai cosa ti dico?(disse a sua moglie) Questo calcio comincia a incuriosire anche me, non vedo l'ora di vedere alcuni filmati che il nostro figliolo ci porterà!” La mamma replicò dicendo: “spero che Pix torni presto e speriamo che questo calcio possa essere qualcosa che ci rallegri e ci renda la vita meno monotona!”
In un angolo remoto della via Lattea viveva, su un pianeta dal nome esotico: Terrax, illuminato dalla stella Solex, un popolo molto evoluto. Questo popolo era composto da più di un miliardo di esseri fluorescenti che, grazie alla loro formidabile intelligenza, erano riusciti a creare e a conservare un ambiente meraviglioso e ideale per la loro esistenza. Erano arrivati addirittura a pensare che la conservazione del loro pianeta dovesse passare dal fatto che nessuno doveva viverci sul pianeta. Così tutti gli abitanti di Terrax vivevano su navicelle spaziali orbitanti attorno al pianeta stesso. Tanto era bello il loro pianeta tanto erano tristi i Terraxani!
La famiglia Alfax, formata da papà, mamma e il giovane Pix, abitava in una comoda residenza volante che orbitava a duecento chilometri da Terrax. La vista che si godeva dal grande oblò della cucina era meravigliosa: si vedeva addirittura tutto il sistema solare. Sin da piccolo, quando la sera il papà gli raccontava di mondi lontani, Pix gli chiedeva sempre la stessa cosa: “papà parlami del sole e del suo pianeta piu bello: la terra!” Il padre gli spiegava che il Sole, con il suo fortissimo calore permetteva sul pianeta Terra, solo su di essa, l'esistenza di esseri viventi chiamati uomini che dominavano il pianeta. Questi lavoravano sul pianeta, si muovevano sul pianeta insomma facevano tutto sul loro pianeta! Pix, sognando ad occhi aperti, diceva: “un giorno costruirò una navicella spaziale e andrò a trovare gli uomini!” dopo di che si addormentava e sognava la Terra e gli Umani. Il tempo passava e il piccolo Pix cresceva e le sue giornate erano dedicate a progettare un veivolo in grado di affrontare il viaggio interplanetario. La mamma e il papà erano un po' preoccupati per questa strana volontà del loro amato figliolo e si chiedevano cosa mai avesse voluto più di quanto aveva. Perchè in lui c'era questa voglia di conoscere questo pianeta piccolo e sconosciuto?
Ma arrivò il giorno della partenza: Pix salutò i genitori e i parenti e sicuro del successo del suo viaggio partì. In pochi giorni attraversò lo spazio infinito che per anni aveva osservato dal grande oblò della cucina di casa, stava per entrare nel sistema solare. La rotta che aveva programmato con il padre lo portò vicino alla Luna, e a quel punto Pix puntò verso la direzione voluta: la Terra!
Più si avvicinava ad esso più gli sembrava bello e invitante. Quando era ormai vicino, notò che la superficie presentava grandi macchie di colore blu e altre di colore verde e altre ancora di colore marrone. Ne scelse una vi si avvicinò e atterrò comodamente. Il paesaggio era meraviglioso. Alti Alberi si alternavano ad ampie radure. L'azzurro del cielo faceva da cornice a quelle splendide immagini. Pix scrutò a fondo l'ambiente per trovare tracce di Umani. Finalmente li trovò! Erano tutti in un grande “catino” che saltavano, urlavano e si muovevano a un ritmo frenetico. Nel mezzo del catino c'erano degli altri Umani che rincorrevano un oggetto rimbalzante e sbuffando e correndo cercavano di conquistarlo e colpirlo. Rapito da ciò che vedeva, Pix si era dimenticato di essere a bordo del disco volante, in collegamento con suo padre. Quando se ne rese conto, gli manifestò il suo entusiasmo: “il pianeta è meraviglioso, vorrei che tu fossi qui, tra poco partirò e mi dirigerò verso oriente” comunicò riaccendendo i reattori. Quando pensò di essersi spostato a sufficienza, Pix decise di atterrare. Scelse un posto appartato. Il luogo era molto diverso dal precedente. Vi erano infatti grandi costruzioni dal tetto dorato e dalle facciate colorate ma anche lì trovo: “il grande catino” pieno di umani urlanti e agitati che si entusiasmavano nel vedere altri Umani rincorrere sempre lo stesso attrezzo che Pix lesse sul monitor del computer di bordo chiamarsi Palla. Decise di spostarsi ancora più ad oriente e presto arrivò in un altro paese dove notò che gli umani di quella parte della terra aveva il colore della pelle più chiaro rispetto a quella degli uomini che aveva visto in precedenza. I loro volti incorniciati da capelli lisci e nerissimi, erano illuminati da occhi scuri e sottili. Anche lì Pix trovò lo stesso “catino” che finalmente sapeva come lo chiamavano gli umani: STADIO, e quello che facevano i gli umani dentro allo stadio era quello di assistere ad una partita di CALCIO! Si convinse definitivamente che quella dovesse essere l'attività preferita degli Umani quando dirigendosi a sud trovò anche lì uno Stadio con gente che incitava a squarciagola i praticanti del Calcio. Prima di tornare dai suoi cari, Pix voleva visitare un posto che gli Umani chiamavano Europa. Sorvolò verdissime vallate, dove ogni tanto sorgeva un vecchio castello e anche li trovò uno stadio era notte e il buio regnava tutto attorno a questo posto illuminato. Uomini e donne con abiti variopinti erano all'interno di esso e sembravano contenti di essere li. Lo spettacolo che si vedeva dall'alto era così bello che Pix sorvolò sullo stadio per tante e tante volte. “Che bello, che bei colori e come mi sento bene, mi piace questo modo che hanno gli umani di stare assieme!” a quel punto volle sapere tutto sul calcio ed in pochi minuti seppe tutto quel che c'era da sapere sul calcio dal suo computer e poi si mise in contatto con suo padre e gli comunicò: “ Papà ti devo dire una cosa che forse ti darà qualche preoccupazione, ma che per me è importante. Avevo intenzione di ripartire subito, ma non ci riesco. Il desiderio di scendere dalla navicella è più forte di ogni altra cosa. Ho deciso di fare conoscenza diretta con gli uomini. La loro vita è meno monotona della nostra, e vorrei soprattutto conoscere quello che tutti gli Uomini amano fare: giocare a calcio! Sono sicuro che se riuscirò a conoscere meglio gli uomini migliorerò la nostra esistenza.” Papà e mamma Afax ne discussero ma alla fine decisero che Pix dovesse rimanere. Il padre alla fine fece questa osservazione: “se Pix desidera tanto rimanere vuol dire che ne vale la pena. E poi sai cosa ti dico?(disse a sua moglie) Questo calcio comincia a incuriosire anche me, non vedo l'ora di vedere alcuni filmati che il nostro figliolo ci porterà!” La mamma replicò dicendo: “spero che Pix torni presto e speriamo che questo calcio possa essere qualcosa che ci rallegri e ci renda la vita meno monotona!”
11 giugno 2009
CORRADO
CORRADO
Alto per la sua età con le gambe lunghissime che lo rendevano tutto dinocolato nei movimenti. Il volto scarno e affilato con degli occhioni che occupavano i tre quarti del viso. Magrissimo tanto da pensare di mettergli dei sassi in tasca nelle giornate di ventoe già a quel tempo portava i pantaloni a vita bassa nel senso che grazie alla sua magrezza gli scendevano sempre a livello di metà bacino. Fisicamente questo era Corrado, il centrale difensivo della squadra pulcini dell'A.C. Milanese nell'annata sportiva 1987/88. Questo difensore spilungone dai piedi buoni non poteva certo definirsi un baluardo insuperabile, ma si intravedevano in lui delle attitudini particolari per il gioco del calcio, soprattutto nella scelta di tempo nel colpo di testa. Il bambino aveva un carattere tranquillo per certi versi troppo accomodante, era buono come il pane tanto per capirci! Parlava pochissimo e le poche parole che diceva erano Si o No. La semplicità fatta persona. Un giorno eravamo a Brugherio e giocavamo contro la squadra locale e la partita era tiratissima, erano gli ultimi minuti e il risultato era sullo zero a zero. Stavamo per calciare un calcio d'angolo. È a questo punto che Corrado mi chiese di andare in area avversaria per cercare una conclusione vincente. Io risposi affermativamente e mi misi in aspettativa dell'esito. La palla calciata forte e con parabola tesa era indirizzata verso il primo palo e il difensore posto nei pressi la stava mentalmente già rinviando, quando nello spazio irruppe con passo felpato e senza che nessuno se ne accorgesse, Corrado che con un tocco di testa insaccò la palla in rete: GOL! Tutti ad esultare, tutti a rincorrersi dalla gioia meno lui: Corrado! Lui era ancora li in ginocchio di fianco ad un avversario che disperato batteva i pugni sul terreno e non si capacitava e soprattutto non accettava l'esito dell'azione. Corrado cercava di parlargli, cercava di confortarlo, cercava quasi di scusarsi per quello che aveva fatto. Lo chiamavo e lui non rispondeva, ad un certo punto l'arbitro , accortosi della scena, si avvicinò ai due e accarezzando sulla testa Corrado e parlando all'altro li accompagnò verso il centro campo e li giunto, li fece abbracciare e con un fischio sentenziò la rete e l'apoteosi del Fair-Play!
Fu un'emozione che ancora dopo anni, ricordarla, mi mette i brividi. Corrado aveva segnato ed era dispiaciuto di aver reso infelice un avversario, incredibile! Al termine della partita, vinta per la cronaca: uno a zero, chiesi a Corrado: “dimmi Corrado se tu potessi ripetere l'azione del gol, segneresti ancora?” vidi Corrado abbassare la testa diventare pensieroso e all'improvviso rispondere: “SI” Grazie Corrado per la tua spontaneità e per la tua onestà!
Corrado
oggi fa l'avvocato ed è un libero professionista che svolge attività giudiziale e stragiudiziale. Per diventare avvocato si è laureato in Giurisprudenza ha studiato molto e ha fatto felice il suo papà, impiegato del catasto. Lui però non è un avvocato normale lui è un : Avvocato di Strada! e difende le esigenze di tutela legale delle persone senza fissa dimora in Italia! La sua è stata una scelta controcorrente!
È proprio lui il mio CORRADO!!
Alto per la sua età con le gambe lunghissime che lo rendevano tutto dinocolato nei movimenti. Il volto scarno e affilato con degli occhioni che occupavano i tre quarti del viso. Magrissimo tanto da pensare di mettergli dei sassi in tasca nelle giornate di ventoe già a quel tempo portava i pantaloni a vita bassa nel senso che grazie alla sua magrezza gli scendevano sempre a livello di metà bacino. Fisicamente questo era Corrado, il centrale difensivo della squadra pulcini dell'A.C. Milanese nell'annata sportiva 1987/88. Questo difensore spilungone dai piedi buoni non poteva certo definirsi un baluardo insuperabile, ma si intravedevano in lui delle attitudini particolari per il gioco del calcio, soprattutto nella scelta di tempo nel colpo di testa. Il bambino aveva un carattere tranquillo per certi versi troppo accomodante, era buono come il pane tanto per capirci! Parlava pochissimo e le poche parole che diceva erano Si o No. La semplicità fatta persona. Un giorno eravamo a Brugherio e giocavamo contro la squadra locale e la partita era tiratissima, erano gli ultimi minuti e il risultato era sullo zero a zero. Stavamo per calciare un calcio d'angolo. È a questo punto che Corrado mi chiese di andare in area avversaria per cercare una conclusione vincente. Io risposi affermativamente e mi misi in aspettativa dell'esito. La palla calciata forte e con parabola tesa era indirizzata verso il primo palo e il difensore posto nei pressi la stava mentalmente già rinviando, quando nello spazio irruppe con passo felpato e senza che nessuno se ne accorgesse, Corrado che con un tocco di testa insaccò la palla in rete: GOL! Tutti ad esultare, tutti a rincorrersi dalla gioia meno lui: Corrado! Lui era ancora li in ginocchio di fianco ad un avversario che disperato batteva i pugni sul terreno e non si capacitava e soprattutto non accettava l'esito dell'azione. Corrado cercava di parlargli, cercava di confortarlo, cercava quasi di scusarsi per quello che aveva fatto. Lo chiamavo e lui non rispondeva, ad un certo punto l'arbitro , accortosi della scena, si avvicinò ai due e accarezzando sulla testa Corrado e parlando all'altro li accompagnò verso il centro campo e li giunto, li fece abbracciare e con un fischio sentenziò la rete e l'apoteosi del Fair-Play!
Fu un'emozione che ancora dopo anni, ricordarla, mi mette i brividi. Corrado aveva segnato ed era dispiaciuto di aver reso infelice un avversario, incredibile! Al termine della partita, vinta per la cronaca: uno a zero, chiesi a Corrado: “dimmi Corrado se tu potessi ripetere l'azione del gol, segneresti ancora?” vidi Corrado abbassare la testa diventare pensieroso e all'improvviso rispondere: “SI” Grazie Corrado per la tua spontaneità e per la tua onestà!
Corrado
oggi fa l'avvocato ed è un libero professionista che svolge attività giudiziale e stragiudiziale. Per diventare avvocato si è laureato in Giurisprudenza ha studiato molto e ha fatto felice il suo papà, impiegato del catasto. Lui però non è un avvocato normale lui è un : Avvocato di Strada! e difende le esigenze di tutela legale delle persone senza fissa dimora in Italia! La sua è stata una scelta controcorrente!
È proprio lui il mio CORRADO!!
08 giugno 2009
IL MOURINHO PENSIERO
MOURINHO
1) Impegno e concentrazione - I giocatori devono concentrarsi e impegnarsi al massimo in partita e in allenamento. L'allenatore, proprio per tenere viva l'attenzione dei calciatori, ha nel suo "book" oltre 200 esercizi di base diversi, tattici e tecnici. 2) Catalizzare le critiche - Mourinho fa scaricare su se stesso tutte le attenzioni del pubblico e dei media. Non è solo egocentrismo - anche se si fa pagare benissimo per questo - ma l'esigenza di tenere le bufere più lontano possibile dalla squadra. Certo, poi ci sono le eccezioni e le frustate psicologiche: come il messaggio spedito a Balotelli. 3) Rapporto diretto con i media - E' lui che deve spiegare tutto ciò che avviene dentro la squadra; è lui il solo autorizzato ad aprire più o meno il sipario che nasconde lo spogliatoio. Mou non ama, anzi detesta, il confronto con gli altri allenatori e con la critica ha un rapporto crudo e diretto: anzi, attaccare i critici è la sua specialità. Vedi le frequenti alzate di tono prima e dopo i match. Ma solo lui può permettersi atteggiamenti del genere. Non i giocatori. 4) Disciplina ferrea - La disciplina nel gruppo è ferrea, non sono ammessi personalismi eccessivi. L'allenamento è fondamentale e va rispettato. Ne sa qualcosa Adriano, colpevole di aver fatto la notte in bianco, come suo solito, in un locale notturno. Messo immediatamente fuori squadra e rientrato, a sorpresa, per il match con la Juve. 5) Ritardi vietati - Ovviamente non sono ammessi ritardi. L'allenamento comincia con i giocatori che ci sono, fossero anche 14-15. I ritardatari vengono rimandati a casa e quindi multati. 6) Parlare chiaro ai giocatori - Mourinho ha un rapporto diretto con ogni giocatore, parla chiaro e spiega esattamente cosa vuole dal punto di vista tecnico, tattico e di comportamento. Gli ordini, anche quelli semplicemente tecnici, devono essere rispettati, pena l'esclusione. Vedi il famoso caso Cruz, messo fuori per insubordinazione tattica. O il caso Quaresma, che prima ha goduto di ampio credito da parte del tecnico, poi, dopo congruo avvertimento, è stato escluso. 7) Preparazione scientifica della partita - Il tecnico fa fare schede molto meticolose degli avversari, vengono fatte richieste tattiche precise a ogni giocatore e vengono preparati persino dei video che tutti devono esaminare e studiare. Anche questo è lavoro. 8) In panchina anche tecnologia - Ultimamente Mourinho si è visto in panchina accanto al suo vice Baresi con un notes blu dove prende appunti. In Inghilterra usava spesso schemi plastificati e pennarelli. In qualche occasione persino dei tablet-computer dove poteva rivedere le azioni, consultare statistiche ecc. 9) Il metodo di gioco - Lo schema preferito da Mourinho è il 4-3-3, ma per quanto si creda il contrario, la tattica e in particolare il modulo non è il chiodo fisso di Mourinho. A parte il fatto che adesso lo ha anche modificato nell'ormai diffusissimo 4-3-1-2 (vedi anche Palermo, Roma, Fiorentina, Lazio ecc.), per Mou sono fondamentali atteggiamento, aggressività, ripartenza, il saper rovesciare l'azione in pochi secondi, riconquistare immediatamente palla e scaraventarsi all'attacco. 10) Tutto in archivio - Tutte queste nozioni, tutti gli appunti di oltre 18 anni di attività (Mourinho a gennaio compirà 46 anni), compresa la sua laurea in professore di educazione fisica sono contenute in un immenso archivio, computerizzato ma per buona parte ancora cartaceo. Quando deve risolvere un problema, studiare un avversario o una situazione tattica, scartabellare tra gli appunti delle centinaia e centinaia di partite da lui affrontate, il professore di Setubal si chiude nel suo studio a risolvere l'arcano.
1) Impegno e concentrazione - I giocatori devono concentrarsi e impegnarsi al massimo in partita e in allenamento. L'allenatore, proprio per tenere viva l'attenzione dei calciatori, ha nel suo "book" oltre 200 esercizi di base diversi, tattici e tecnici. 2) Catalizzare le critiche - Mourinho fa scaricare su se stesso tutte le attenzioni del pubblico e dei media. Non è solo egocentrismo - anche se si fa pagare benissimo per questo - ma l'esigenza di tenere le bufere più lontano possibile dalla squadra. Certo, poi ci sono le eccezioni e le frustate psicologiche: come il messaggio spedito a Balotelli. 3) Rapporto diretto con i media - E' lui che deve spiegare tutto ciò che avviene dentro la squadra; è lui il solo autorizzato ad aprire più o meno il sipario che nasconde lo spogliatoio. Mou non ama, anzi detesta, il confronto con gli altri allenatori e con la critica ha un rapporto crudo e diretto: anzi, attaccare i critici è la sua specialità. Vedi le frequenti alzate di tono prima e dopo i match. Ma solo lui può permettersi atteggiamenti del genere. Non i giocatori. 4) Disciplina ferrea - La disciplina nel gruppo è ferrea, non sono ammessi personalismi eccessivi. L'allenamento è fondamentale e va rispettato. Ne sa qualcosa Adriano, colpevole di aver fatto la notte in bianco, come suo solito, in un locale notturno. Messo immediatamente fuori squadra e rientrato, a sorpresa, per il match con la Juve. 5) Ritardi vietati - Ovviamente non sono ammessi ritardi. L'allenamento comincia con i giocatori che ci sono, fossero anche 14-15. I ritardatari vengono rimandati a casa e quindi multati. 6) Parlare chiaro ai giocatori - Mourinho ha un rapporto diretto con ogni giocatore, parla chiaro e spiega esattamente cosa vuole dal punto di vista tecnico, tattico e di comportamento. Gli ordini, anche quelli semplicemente tecnici, devono essere rispettati, pena l'esclusione. Vedi il famoso caso Cruz, messo fuori per insubordinazione tattica. O il caso Quaresma, che prima ha goduto di ampio credito da parte del tecnico, poi, dopo congruo avvertimento, è stato escluso. 7) Preparazione scientifica della partita - Il tecnico fa fare schede molto meticolose degli avversari, vengono fatte richieste tattiche precise a ogni giocatore e vengono preparati persino dei video che tutti devono esaminare e studiare. Anche questo è lavoro. 8) In panchina anche tecnologia - Ultimamente Mourinho si è visto in panchina accanto al suo vice Baresi con un notes blu dove prende appunti. In Inghilterra usava spesso schemi plastificati e pennarelli. In qualche occasione persino dei tablet-computer dove poteva rivedere le azioni, consultare statistiche ecc. 9) Il metodo di gioco - Lo schema preferito da Mourinho è il 4-3-3, ma per quanto si creda il contrario, la tattica e in particolare il modulo non è il chiodo fisso di Mourinho. A parte il fatto che adesso lo ha anche modificato nell'ormai diffusissimo 4-3-1-2 (vedi anche Palermo, Roma, Fiorentina, Lazio ecc.), per Mou sono fondamentali atteggiamento, aggressività, ripartenza, il saper rovesciare l'azione in pochi secondi, riconquistare immediatamente palla e scaraventarsi all'attacco. 10) Tutto in archivio - Tutte queste nozioni, tutti gli appunti di oltre 18 anni di attività (Mourinho a gennaio compirà 46 anni), compresa la sua laurea in professore di educazione fisica sono contenute in un immenso archivio, computerizzato ma per buona parte ancora cartaceo. Quando deve risolvere un problema, studiare un avversario o una situazione tattica, scartabellare tra gli appunti delle centinaia e centinaia di partite da lui affrontate, il professore di Setubal si chiude nel suo studio a risolvere l'arcano.
04 giugno 2009
MA VAI DAVIDE
CALCIO, CONFEDERATIONS: C'E' SANTON, OUT D'AGOSTINO-PAZZINI
C'è anche Davide Santon tra i 23 azzurri che domenica partiranno per il Sudafrica per partecipare alla Confederations Cup. Il difensore dell'Inter, che avrà la maglia numero 2, è stato incluso nella lista ufficiale che entro la mezzanotte di oggi sarà consegnata alla Fifa, insieme ad altri nove giocatori dei 21 che stanno svolgendo a Coverciano la preparazione per l'amichevole Italia-Irlanda del Nord: si tratta di Legrottaglie, Grosso, Gattuso, De Sanctis, Gamberini, Rossi, Palombo, Montolivo, Dossena. Restano a casa, tra gli altri, Pazzini e D'Agostino.Al gruppo dei dieci già confermati, si uniranno sabato sera altri 13 azzurri già convocati. Tutti insieme si alleneranno domenica a Coverciano prima della partenza per il Sudafrica prevista in tarda serata. La lista dei 23: 1 Gianluigi Buffon, 2 Davide Santon, 3 Fabio Grosso, 4 Giorgio Chiellini, 5 Fabio Cannavaro, 6 Nicola Legrottaglie, 7 Simone Pepe, 8 Gennaro Gattuso, 9 Luca Toni, 10 Daniele De Rossi, 11 Alberto Gilardino, 12 Morgan De Sanctis, 13 Alessandro Gamberini, 14 Marco Amelia, 15 Vincenzo Iaquinta, 16 Mauro German Camoranesi, 17 Giuseppe Rossi, 18 Angelo Palombo, 19 Gianluca Zambrotta, 20 Riccardo Montolivo, 21 Andrea Pirlo, 22 Andrea Dossena, 23 Fabio Quagliarella.
C'è anche Davide Santon tra i 23 azzurri che domenica partiranno per il Sudafrica per partecipare alla Confederations Cup. Il difensore dell'Inter, che avrà la maglia numero 2, è stato incluso nella lista ufficiale che entro la mezzanotte di oggi sarà consegnata alla Fifa, insieme ad altri nove giocatori dei 21 che stanno svolgendo a Coverciano la preparazione per l'amichevole Italia-Irlanda del Nord: si tratta di Legrottaglie, Grosso, Gattuso, De Sanctis, Gamberini, Rossi, Palombo, Montolivo, Dossena. Restano a casa, tra gli altri, Pazzini e D'Agostino.Al gruppo dei dieci già confermati, si uniranno sabato sera altri 13 azzurri già convocati. Tutti insieme si alleneranno domenica a Coverciano prima della partenza per il Sudafrica prevista in tarda serata. La lista dei 23: 1 Gianluigi Buffon, 2 Davide Santon, 3 Fabio Grosso, 4 Giorgio Chiellini, 5 Fabio Cannavaro, 6 Nicola Legrottaglie, 7 Simone Pepe, 8 Gennaro Gattuso, 9 Luca Toni, 10 Daniele De Rossi, 11 Alberto Gilardino, 12 Morgan De Sanctis, 13 Alessandro Gamberini, 14 Marco Amelia, 15 Vincenzo Iaquinta, 16 Mauro German Camoranesi, 17 Giuseppe Rossi, 18 Angelo Palombo, 19 Gianluca Zambrotta, 20 Riccardo Montolivo, 21 Andrea Pirlo, 22 Andrea Dossena, 23 Fabio Quagliarella.
03 giugno 2009
01 giugno 2009
29 maggio 2009
CONVOCAZIONE SANTON
I convocati per l'irlanda del nord — Questa la lista dei convocati per l’amichevole di Pisa. I ventuno si raduneranno entro la mezzanotte di martedì 2 giugno presso il Centro tecnico federale di Coverciano, sede del ritiro. Portieri: De Sanctis (Galatasaray), Marchetti (Cagliari). Difensori: Cassani (Palermo), Dossena (Liverpool), Gamberini (Fiorentina), Grosso (Lione), Esposito (Lecce), Legrottaglie (Juventus), Santon (Inter); Centrocampisti: Biagianti (Catania), Brighi (Roma), D’Agostino (Udinese), Galloppa (Siena), Gattuso (Milan), Montolivo (Fiorentina), Palombo (Sampdoria); Attaccanti: Foggia (Lazio), Mascara (Catania), Pazzini (Sampdoria), Pellissier (Chievo), Rossi Giuseppe (Villarreal).
JACOPO
JACOPO
Padri e madri si sa sono sempre felici se un figlio segue le loro orme professionali. In alcuni casi però, quando il papà è il numero uno dei numeri 1, come Walter Zenga, è un po' più complicato mettersi in scia e proseguire quanto è stato seminato per anni. È il caso di Jacopo Zenga figlio dell'indimenticabile “uomo ragno”, che un bel giorno decide di dedicarsi al calcio e di, guarda caso, fare il portiere. Ha appena 9 anni e tutta la stampa specializzata segue già le sue “imprese” cercando da subito somiglianze e analogie con il padre famoso. Ci sono già Foto sui giornali mentre il bimbo fa un tuffo, parole di elogio per una respinta a mani aperte su un tiro insidioso e bla bla bla. Lui, che è un bimbo di notevole carattere, di tutta sta manfrina si stanca subito e scopre, nel mentre, che il portiere non è proprio quello che vuol fare. Jacopo invece di impedire che gli altri facciano gol vuol farli, naturalmente nella porta avversaria ! Prova personalmente più gioa nello spedire la palla in rete, che impedire che la stessa varchi la linea di porta; insomma ad un certo punto Jacopo decide di giocare centrattacco invece che portiere! Così il figlio d'arte, alla carriera del padre portiere preferisce quella del bomber. Non solo. Il pargolo, la fa fuori dal vaso, diventa tifoso Juventino! Grande carattere, non c'è che dire!
Io lo conosco all'età di 12 anni. Allora allenavo gli esordienti B dell'F.C. Internazionale e l'allora responsabile del settore giovanile sig. Mereghetti un giorno mi disse: “Giulio guarda che da mercoledì verrà ad allenarsi con te il figlio di Walter Zenga, fagli dare il materiale ed inseriscilo, quest'anno giocherà con noi”. La prima cosa che chiesi fu: “mi scusi Mereghetti ma il ragazzo come si chiama?” Ci fu una pausa che durò alcuni secondi e poi arrivò la risposta: “ ah si si aspetta adesso lo ricordo si chiama Jacopo, si si Jacopo...Zenga naturalmente!” Già Zenga naturalmente! Pensai subito: “chissà come sarà come portiere?”, be il figlio di walter Zenga cosa poteva fare? Il PORTIERE NO?!
Mercoledì pomeriggio, accompagnato dalla bellissima mamma la Signora Carfagna, ecco di fronte a me il figlio di Walter... ecco di fronte a me JACOPO! Un bellissimo bambino, molto alto per la sua età (buon prerequisito per fare il portiere, pensai!) e con un viso dai lineamenti oserei dire nobili, sembrava un piccolo lord. Capelli a caschetto e con due occhietti furbissimi. Strinsi la mano e mi presentai alla signora, senza far trasparire l'emozione che tanta bellezza mi provocava e poi la strinsi al giovanotto salutandolo con un cordiale: “ciao piccolo Zenga” e lui guardandomi di sbieco rispose con un secco: “IO MI CHIAMO JACOPO!”
Ci rimasi male, avevo fatto una figuraccia con quella battuta, e allora cercai di rimediare portando il discorso all'allenamento: “vieni Jacopo ti porto dal magazziniere che ti consegnerà tutta l'attrezzatura da PORTIERE” A questo punto anche La mamma mi guardò male! Jacopo si irritò tantissimo e mi rispose con una voce stizzita: “oh ma lei lo fa apposta a far così?” io non capivo, cosa avevo sbagliato adesso? Riprese a parlare Jacopo e tutto fu molto più chiaro: “io faccio il centravanti e non il portiere, io faccio gol, goool ha capito?!” nel giro di pochi secondi avevo toppato due volte. Decisi di stare zitto e di portare Jacopo dal magazziniere ed iniziare l'allenamento per vedere giocare il figlio del più grande portiere che abbia mai visto giocare tra i pali, fare goool!
Jacopo è nato a Milano il 13 /11/1986, è alto 192 cm, pesa 84 kg ed è un attaccante centrale. Attualmente è tesserato per l'A.S. Casale (squadra di serie CND)
CARRIERA DI JACOPO ZENGA
STAGIONE SQUADRA SERIE PRESENZE
2006-2007
BELLINZONA
B SVIZZERA
0
10/2006
MENDRISIO
C SVIZZERA
nd
12/2006
FANFULLA
D
11
2007-2008
CALCIO COMO
D
1
10/2007
BORGOMANERO
D
22
2008-2009
A.S. CASALE CALCIO
D
0
Padri e madri si sa sono sempre felici se un figlio segue le loro orme professionali. In alcuni casi però, quando il papà è il numero uno dei numeri 1, come Walter Zenga, è un po' più complicato mettersi in scia e proseguire quanto è stato seminato per anni. È il caso di Jacopo Zenga figlio dell'indimenticabile “uomo ragno”, che un bel giorno decide di dedicarsi al calcio e di, guarda caso, fare il portiere. Ha appena 9 anni e tutta la stampa specializzata segue già le sue “imprese” cercando da subito somiglianze e analogie con il padre famoso. Ci sono già Foto sui giornali mentre il bimbo fa un tuffo, parole di elogio per una respinta a mani aperte su un tiro insidioso e bla bla bla. Lui, che è un bimbo di notevole carattere, di tutta sta manfrina si stanca subito e scopre, nel mentre, che il portiere non è proprio quello che vuol fare. Jacopo invece di impedire che gli altri facciano gol vuol farli, naturalmente nella porta avversaria ! Prova personalmente più gioa nello spedire la palla in rete, che impedire che la stessa varchi la linea di porta; insomma ad un certo punto Jacopo decide di giocare centrattacco invece che portiere! Così il figlio d'arte, alla carriera del padre portiere preferisce quella del bomber. Non solo. Il pargolo, la fa fuori dal vaso, diventa tifoso Juventino! Grande carattere, non c'è che dire!
Io lo conosco all'età di 12 anni. Allora allenavo gli esordienti B dell'F.C. Internazionale e l'allora responsabile del settore giovanile sig. Mereghetti un giorno mi disse: “Giulio guarda che da mercoledì verrà ad allenarsi con te il figlio di Walter Zenga, fagli dare il materiale ed inseriscilo, quest'anno giocherà con noi”. La prima cosa che chiesi fu: “mi scusi Mereghetti ma il ragazzo come si chiama?” Ci fu una pausa che durò alcuni secondi e poi arrivò la risposta: “ ah si si aspetta adesso lo ricordo si chiama Jacopo, si si Jacopo...Zenga naturalmente!” Già Zenga naturalmente! Pensai subito: “chissà come sarà come portiere?”, be il figlio di walter Zenga cosa poteva fare? Il PORTIERE NO?!
Mercoledì pomeriggio, accompagnato dalla bellissima mamma la Signora Carfagna, ecco di fronte a me il figlio di Walter... ecco di fronte a me JACOPO! Un bellissimo bambino, molto alto per la sua età (buon prerequisito per fare il portiere, pensai!) e con un viso dai lineamenti oserei dire nobili, sembrava un piccolo lord. Capelli a caschetto e con due occhietti furbissimi. Strinsi la mano e mi presentai alla signora, senza far trasparire l'emozione che tanta bellezza mi provocava e poi la strinsi al giovanotto salutandolo con un cordiale: “ciao piccolo Zenga” e lui guardandomi di sbieco rispose con un secco: “IO MI CHIAMO JACOPO!”
Ci rimasi male, avevo fatto una figuraccia con quella battuta, e allora cercai di rimediare portando il discorso all'allenamento: “vieni Jacopo ti porto dal magazziniere che ti consegnerà tutta l'attrezzatura da PORTIERE” A questo punto anche La mamma mi guardò male! Jacopo si irritò tantissimo e mi rispose con una voce stizzita: “oh ma lei lo fa apposta a far così?” io non capivo, cosa avevo sbagliato adesso? Riprese a parlare Jacopo e tutto fu molto più chiaro: “io faccio il centravanti e non il portiere, io faccio gol, goool ha capito?!” nel giro di pochi secondi avevo toppato due volte. Decisi di stare zitto e di portare Jacopo dal magazziniere ed iniziare l'allenamento per vedere giocare il figlio del più grande portiere che abbia mai visto giocare tra i pali, fare goool!
Jacopo è nato a Milano il 13 /11/1986, è alto 192 cm, pesa 84 kg ed è un attaccante centrale. Attualmente è tesserato per l'A.S. Casale (squadra di serie CND)
CARRIERA DI JACOPO ZENGA
STAGIONE SQUADRA SERIE PRESENZE
2006-2007
BELLINZONA
B SVIZZERA
0
10/2006
MENDRISIO
C SVIZZERA
nd
12/2006
FANFULLA
D
11
2007-2008
CALCIO COMO
D
1
10/2007
BORGOMANERO
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22
2008-2009
A.S. CASALE CALCIO
D
0
25 maggio 2009
MAURO
MAURO
Tanti sono stati i ragazzi di talento che ho visionato e che ho allenato ma Mauro è stato ed è “unico”.
“Unico” Non per il suo talento, non per il suo estro calcistico, non per la sua inventiva e la sua creatività. “Unico” Non perchè quando si trovava Là vicino all'area avversaria e aveva la palla tra i piedi, poteva succedere di tutto. “Unico” Non perchè era funambolico nel dribbling e negli assist, non perchè era piacevole addirittura vedere le sue irridenti finte sull'avversario (lo saltava nello stretto e lo risaltava ritornando sull'abilità appena esibita, saltandolo di nuovo). “Unico” non Per come saltava i difensori, a volte sul posto e a volte zigzagando, (i suoi compagni lo chiamavano il “ballerino”). Mauro era ed è “Unico” non per la sua arte pedatoria, non per il suo gioco frizzante e liberatorio, potrei riempire pagine e pagine di parole con aneddoti divertenti e spassosi su questo! Mauro è “unico” per la persona che è, e per le sue scelte e per una in particolare. Una scelta che un bel giorno lo porta a smettere di giocare a calcio e lo fa entrare in seminario!
"Ho deciso di entrare in seminario". Così all'età di quattordici anni Mauro ha comunicato la sua intenzione di entrare nella Congregazione dei Missionari Redentoristi ai suoi genitori.Da allora ad oggi sono trascorsi più di sedici anni e descrivere il tumulto di pensieri e di sensazioni provati in quel momento è molto difficile ed altrettanto arduo è esprimerne lo stato d’animo dei giorni successivi alla comunicazione di quella scelta .“La sua decisione ci ha colti di sorpresa e del tutto impreparati. Volendo usare una metafora, è stato come un pugno nello stomaco arrivato improvvisamente e quasi a tradimento. Ci ha lasciati per alcuni momenti senza parole, stupiti, sommersi da una miriade di pensieri e di sensazioni difficili da esprimere a parole che si accavallavano confusamente ed anche oppressi da un sottile sordo senso di paura” queste le parole di suo padre quando mi ha comunicato la scelta di Mauro.Non avrei mai pensato che Mauro, il nostro “Ballerino”, avesse potuto un giorno prendere una decisione del genere, fare una scelta così radicale.E’ sempre stato un "spirito libero" per eccellenza fin da piccolo. Pronto all’ascolto ma indipendente nelle scelte.Simile ad un puledro senza briglie, scalpitante, con il desiderio di saltare il recinto per guadagnarsi la libertà e poter correre così senza alcun tipo di imposizione, verso la vita. Con un carattere spumeggiante, simile ad un vulcano in eruzione, dai mille impegni, dai troppi interessi e circondato da un’infinità di amici.Come aveva potuto maturare una scelta simile, pensare di entrare in una congregazione religiosa e per di piü missionaria? Ma era proprio sicuro di ciò che voleva fare?Dover vivere con delle precise regole da rispettare, lontano dagli affetti famigliari, volto verso i più deboli, con un servizio costante verso gli altri, lontano dai suoi tanti amici.Era veramente questo che voleva, lui così amante dei divertimenti e di tutte le comodità?Perché questa scelta? Si era lasciato coinvolgere dall’aspetto esteriore del mondo redentorista, da ciò che aveva conosciuto durante i numerosi incontri con i missionari ai quali partecipava nel fine settimana? I suoi genitori erano quasi spaventati da questa scelta e passavano con me ore intere al telefono. Quante paure, quante perplessità esprimevano! Io, dicevo al padre il più perplesso sulla scelta del figlio, che di una cosa ero comunque consapevole , che ognuno è arbitro di se stesso e della propria vita e che perciò la decisione di Mauro andava accettata, condivisa e rispettata e che nei limiti del possibile dovevamo sostenerlo ed aiutarlo tutti. Lo dovevamo fare nonostante tutto, per fargli capire che anche se questa sua scelta lo allontanava fisicamente da noi, qualsiasi fosse stato il risultato finale in noi avrebbe sempre trovato il suo posto, il suo porto sicuro.Da quel giorno tante cose sono cambiate. I suoi genitori hanno potuto raggiungere un po’ più di tranquillità vedendo che la decisione del loro figlio non è stata una scelta di ripiego ma la realizzazione di ciò che desiderava fare e che quindi non si è trattato del classico fuoco di paglia come temevano. Mauro l'ho trovato ultimamente in oratorio e appare contento e convinto della strada che ha intrapreso e che sta percorrendo, una strada che anche se a me appare tanto ardua e faticosa a lui piace e la fa con tanto entusiasmo ed impegno. Con Mauro c'erano padre Lorenzo e padre Filippo che da alcuni anni vivono e lavorano in Madagascar, mi hanno raccontato del mondo missionario, un mondo che ti cambia la vita, che ti segna dentro e che ti educa a considerare ogni cosa per ciò che realmente vale, che ti spinge a mettere in discussione tutto ciò che fai. Ho chiesto a Mauro se gioca ancora a calcio e lui mi ha risposto che ha volte con i “suoi bimbi” (ha usato proprio questi termini) si mette a tirare quattro calci e a “ballare” sul campetto sterrato della missione e li si ricorda di me dei suoi compagni e di quanto ci vuole ancora bene. Padre Mauro è stato un piacere rivederti e ricordare quando tutti ti chiamavano: “IL BALLERINO”.
Tanti sono stati i ragazzi di talento che ho visionato e che ho allenato ma Mauro è stato ed è “unico”.
“Unico” Non per il suo talento, non per il suo estro calcistico, non per la sua inventiva e la sua creatività. “Unico” Non perchè quando si trovava Là vicino all'area avversaria e aveva la palla tra i piedi, poteva succedere di tutto. “Unico” Non perchè era funambolico nel dribbling e negli assist, non perchè era piacevole addirittura vedere le sue irridenti finte sull'avversario (lo saltava nello stretto e lo risaltava ritornando sull'abilità appena esibita, saltandolo di nuovo). “Unico” non Per come saltava i difensori, a volte sul posto e a volte zigzagando, (i suoi compagni lo chiamavano il “ballerino”). Mauro era ed è “Unico” non per la sua arte pedatoria, non per il suo gioco frizzante e liberatorio, potrei riempire pagine e pagine di parole con aneddoti divertenti e spassosi su questo! Mauro è “unico” per la persona che è, e per le sue scelte e per una in particolare. Una scelta che un bel giorno lo porta a smettere di giocare a calcio e lo fa entrare in seminario!
"Ho deciso di entrare in seminario". Così all'età di quattordici anni Mauro ha comunicato la sua intenzione di entrare nella Congregazione dei Missionari Redentoristi ai suoi genitori.Da allora ad oggi sono trascorsi più di sedici anni e descrivere il tumulto di pensieri e di sensazioni provati in quel momento è molto difficile ed altrettanto arduo è esprimerne lo stato d’animo dei giorni successivi alla comunicazione di quella scelta .“La sua decisione ci ha colti di sorpresa e del tutto impreparati. Volendo usare una metafora, è stato come un pugno nello stomaco arrivato improvvisamente e quasi a tradimento. Ci ha lasciati per alcuni momenti senza parole, stupiti, sommersi da una miriade di pensieri e di sensazioni difficili da esprimere a parole che si accavallavano confusamente ed anche oppressi da un sottile sordo senso di paura” queste le parole di suo padre quando mi ha comunicato la scelta di Mauro.Non avrei mai pensato che Mauro, il nostro “Ballerino”, avesse potuto un giorno prendere una decisione del genere, fare una scelta così radicale.E’ sempre stato un "spirito libero" per eccellenza fin da piccolo. Pronto all’ascolto ma indipendente nelle scelte.Simile ad un puledro senza briglie, scalpitante, con il desiderio di saltare il recinto per guadagnarsi la libertà e poter correre così senza alcun tipo di imposizione, verso la vita. Con un carattere spumeggiante, simile ad un vulcano in eruzione, dai mille impegni, dai troppi interessi e circondato da un’infinità di amici.Come aveva potuto maturare una scelta simile, pensare di entrare in una congregazione religiosa e per di piü missionaria? Ma era proprio sicuro di ciò che voleva fare?Dover vivere con delle precise regole da rispettare, lontano dagli affetti famigliari, volto verso i più deboli, con un servizio costante verso gli altri, lontano dai suoi tanti amici.Era veramente questo che voleva, lui così amante dei divertimenti e di tutte le comodità?Perché questa scelta? Si era lasciato coinvolgere dall’aspetto esteriore del mondo redentorista, da ciò che aveva conosciuto durante i numerosi incontri con i missionari ai quali partecipava nel fine settimana? I suoi genitori erano quasi spaventati da questa scelta e passavano con me ore intere al telefono. Quante paure, quante perplessità esprimevano! Io, dicevo al padre il più perplesso sulla scelta del figlio, che di una cosa ero comunque consapevole , che ognuno è arbitro di se stesso e della propria vita e che perciò la decisione di Mauro andava accettata, condivisa e rispettata e che nei limiti del possibile dovevamo sostenerlo ed aiutarlo tutti. Lo dovevamo fare nonostante tutto, per fargli capire che anche se questa sua scelta lo allontanava fisicamente da noi, qualsiasi fosse stato il risultato finale in noi avrebbe sempre trovato il suo posto, il suo porto sicuro.Da quel giorno tante cose sono cambiate. I suoi genitori hanno potuto raggiungere un po’ più di tranquillità vedendo che la decisione del loro figlio non è stata una scelta di ripiego ma la realizzazione di ciò che desiderava fare e che quindi non si è trattato del classico fuoco di paglia come temevano. Mauro l'ho trovato ultimamente in oratorio e appare contento e convinto della strada che ha intrapreso e che sta percorrendo, una strada che anche se a me appare tanto ardua e faticosa a lui piace e la fa con tanto entusiasmo ed impegno. Con Mauro c'erano padre Lorenzo e padre Filippo che da alcuni anni vivono e lavorano in Madagascar, mi hanno raccontato del mondo missionario, un mondo che ti cambia la vita, che ti segna dentro e che ti educa a considerare ogni cosa per ciò che realmente vale, che ti spinge a mettere in discussione tutto ciò che fai. Ho chiesto a Mauro se gioca ancora a calcio e lui mi ha risposto che ha volte con i “suoi bimbi” (ha usato proprio questi termini) si mette a tirare quattro calci e a “ballare” sul campetto sterrato della missione e li si ricorda di me dei suoi compagni e di quanto ci vuole ancora bene. Padre Mauro è stato un piacere rivederti e ricordare quando tutti ti chiamavano: “IL BALLERINO”.
20 maggio 2009
ANDREA
Lo conobbi circa venticinque anni fa al centro sportivo di Orsenigo dove le giovanili del calcio Como si allenavano, ricordo ancora era un giorno di fine novembre. Era accompagnato dal padre e dalla madre. Fin da quell'istante capii che quel ragazzo di tredici anni avrebbe fatto una carriera importante nel mondo del cacio. Andrea aveva qualcosa di speciale, era vispo con uno sguardo da furbetto che lo caratterizzava . Nel parlare o meglio nello stare ad ascoltare il padre che discuteva con il responsabile del settore giovanile mi ero reso conto di non essere al cospetto del solito genitore smanioso di una carriera sfavillante del proprio figlio nel mondo del calcio, tutt'altro, il papà che lo aveva portato sin lassù da Salerno non aveva dubbi: il figlio sarebbe rimasto a Como solo se il suo profitto scolastico fosse stato ottimo. Il responsabile, che sapeva delle difficoltà scolastiche che un ragazzo che veniva da fuori incontrava era cauto e diceva che sarebbe bastato un profitto sufficiente. Il padre era irremovibile o ottimo o Andrea se ne tornava a Salerno! Andrea era un predestinato, era nato per giocare a calcio. Ad Andrea non sembrava vero di passare tutto il suo tempo a giocare a calcio e sfogarsi correndo dietro un pallone. Non era facile placare l'energia di quel ragazzino tutto pepe, ma il papà era stato chiaro, lapidario . Il papà sapeva cosa volesse dire studiare, lui si era laureato in medicina a pieni voti e per suo figlio aveva progetti ben più ambiziosi che vederlo sgambettare su un campo di calcio. Ma Andrea era determinato e rassicurava il padre: “NON TI PREOCCUPARE PAPA' qui ci rimarrò per tanto tempo e tu sarai contento di me!” Il papà lo guardava con una tenerezza infinita e la mamma piangeva continuando a baciare il suo Andrea.
Così il ragazzo inizia la sua avventura a Como. Gioca e studia, studia e gioca, a scuola funziona bene e sul campo Andrea è uno che fa la differenza. Sulla fascia sinistra va come un treno le sue giocate sono argute come le sue soluzioni nei compiti di matematica. Il terrore che una bocciatura possa dissolvere quell'atmosfera magica gli fa dare il massimo, infatti Andrea a scuola va benissimo e alla fine dell'anno sarà promosso con la media dell'otto. Vive per giocare a calcio si vede che è la sua passione che lo fa vibrare dentro. Quando lo vedo giocare vedo me alla sua età, giocavo in quella posizione senza avere il suo talento so cosa vuol dire scendere sulla fascia e passare da un ruolo difensivo ad una sorpresa offensiva nel campo avversario.
Il pallone, che lo indusse ad abbandonare Salerno, lo affascina e lo trasporta in una grande avventura del calcio vero, comincia a tirare calci con un'ottica professionale a Como, nel profondo Nord, come diceva lui, senza che peraltro quel suo viaggio sia riconducibile agli stereotipi dell'emigrante con la valigia di cartone vista la famiglia benestante dalla quale proveniva. Allenamenti e scuola, senza perdere un colpo, fino al diploma di ragioniere "perche' nel calcio non si sa mai".A Como Andrea fa tutte le categorie del settore giovanile e debutta in serie B il 29 ottobre 1989 (Como Cosenza 1-0). Colleziona 16 presenze in quella stagione turbolenta, caratterizzata da continui cambi in panchina e culminata con la retrocessione in serie C. E' Eugenio Bersellini, chiamato a gestire la resurrezione comasca, ad esporre in vetrina quel diciannovenne pieno di grinta (27 presenze in C1) che difatti trova subito un compratore. Per quattro miliardi Aldo Spinelli se lo porta a Genova, riflettori di serie A ma la prospettiva di una lunga coda dietro il brasiliano Branco, titolare della cattedra di terzino sinistro. Quello tra Andrea e il Genoa non è però amore a prima vista. Un litigio, si dice, con Maddè, il braccio destro di Bagnoli, costa al ragazzo di Salerno l'esilio novembrino a Pisa.Testardo, ambizioso ma pure generoso , Andrea sa risalire la corrente al suo rientro dal "confino". Bagnoli e Madde' del resto sono stati risucchiati dall'Inter, Giorgi diviene subito suo sponsor, a mettersi in coda per la cattedra di terzino sinistro stavolta tocca a Branco. Campionato eccellente, questo del debutto in serie A, con 33 presenze e 3 gol, l'ultimo segnato al grande Milan. Lui e il collega di reparto Panucci stuzzicano gli appetiti della Juve che avrebbe voluto acquistarli in blocco. Si dice che Spinelli avesse deciso di privarsi del solo Panucci (che nel frattempo, fatti i suoi calcoli, aveva scelto di puntare sul Milan) ma, così almeno narrano le leggende metropolitane, Andrea riuscì comunque ad ottenere disco verde per la fuga approfittando dello "stato di bisogno" del suo presidente. Così arriva la Juve sulle tracce del nuovo Cabrini. E dopo la Juve (27 presenze e un gol) giunge pure la nazionale, con il debutto a Tallinn, il 22 settembre '93, in occasione del 3-0 all'Estonia, unica sua apparizione azzurra.
È una corsa verso la gloria apparentemente inarrestabile ma poi, improvviso, il crollo. L'inizio della fine ha una data precisa: venerdi' 20 maggio 1994. Andrea e' stanco, irriconoscibile in campo, lui che e' sempre stato un concentrato esplosivo di energia; fatica a recuperare, e' tormentato da una febbriciattola allarmante. Il dott. Riccardo Agricola, responsabile del servizio sanitario bianconero, prescrive una serie di analisi. La diagnosi mette subito paura: leucemia acuta linfoide, fattore Filadelfia positivo. Quanto di peggio ci si poteva immaginare. Andrea ricoverato nella Divisione Universitaria di ematologia dell'ospedale Molinette. "Puo' farcela - dicono i medici -, Andrea e' giovane, la sua tempra robusta lo aiutera'". Ma l'ottimismo di facciata e' una pietosa bugia. Gli specialisti sanno bene che solo un trapianto con un donatore compatibile potra' restituire la vita a quel ragazzo coraggioso, assistito dalla fidanzata, Lara, e dai genitori, mamma Lucia e papa' Giuseppe, che e' cardiologo all'ospedale di Salerno e che ha l'immediata percezione del dramma. Tre settimane di terapia intensiva. Un netto miglioramento, valori verso la normalita'. L'organismo combatte, i globuli bianchi in eccesso spariscono, tecnicamente si parla di remissione completa della malattia...
Andrea Fortunato a soli 23 anni si ammalò di leucemia linfoplastica acuta. Dopo due trapianti di midollo osseo, il decorso post operatorio lasciò pensare ad un totale recupero; ma Andrea morì, dopo una polmonite, il 25 aprile 1995.
C'era una volta una bacchetta magica che maghi e fate si passavano di mano in mano. Un tocco e la vita di Andrea avrebbe continuato a volare...
Così il ragazzo inizia la sua avventura a Como. Gioca e studia, studia e gioca, a scuola funziona bene e sul campo Andrea è uno che fa la differenza. Sulla fascia sinistra va come un treno le sue giocate sono argute come le sue soluzioni nei compiti di matematica. Il terrore che una bocciatura possa dissolvere quell'atmosfera magica gli fa dare il massimo, infatti Andrea a scuola va benissimo e alla fine dell'anno sarà promosso con la media dell'otto. Vive per giocare a calcio si vede che è la sua passione che lo fa vibrare dentro. Quando lo vedo giocare vedo me alla sua età, giocavo in quella posizione senza avere il suo talento so cosa vuol dire scendere sulla fascia e passare da un ruolo difensivo ad una sorpresa offensiva nel campo avversario.
Il pallone, che lo indusse ad abbandonare Salerno, lo affascina e lo trasporta in una grande avventura del calcio vero, comincia a tirare calci con un'ottica professionale a Como, nel profondo Nord, come diceva lui, senza che peraltro quel suo viaggio sia riconducibile agli stereotipi dell'emigrante con la valigia di cartone vista la famiglia benestante dalla quale proveniva. Allenamenti e scuola, senza perdere un colpo, fino al diploma di ragioniere "perche' nel calcio non si sa mai".A Como Andrea fa tutte le categorie del settore giovanile e debutta in serie B il 29 ottobre 1989 (Como Cosenza 1-0). Colleziona 16 presenze in quella stagione turbolenta, caratterizzata da continui cambi in panchina e culminata con la retrocessione in serie C. E' Eugenio Bersellini, chiamato a gestire la resurrezione comasca, ad esporre in vetrina quel diciannovenne pieno di grinta (27 presenze in C1) che difatti trova subito un compratore. Per quattro miliardi Aldo Spinelli se lo porta a Genova, riflettori di serie A ma la prospettiva di una lunga coda dietro il brasiliano Branco, titolare della cattedra di terzino sinistro. Quello tra Andrea e il Genoa non è però amore a prima vista. Un litigio, si dice, con Maddè, il braccio destro di Bagnoli, costa al ragazzo di Salerno l'esilio novembrino a Pisa.Testardo, ambizioso ma pure generoso , Andrea sa risalire la corrente al suo rientro dal "confino". Bagnoli e Madde' del resto sono stati risucchiati dall'Inter, Giorgi diviene subito suo sponsor, a mettersi in coda per la cattedra di terzino sinistro stavolta tocca a Branco. Campionato eccellente, questo del debutto in serie A, con 33 presenze e 3 gol, l'ultimo segnato al grande Milan. Lui e il collega di reparto Panucci stuzzicano gli appetiti della Juve che avrebbe voluto acquistarli in blocco. Si dice che Spinelli avesse deciso di privarsi del solo Panucci (che nel frattempo, fatti i suoi calcoli, aveva scelto di puntare sul Milan) ma, così almeno narrano le leggende metropolitane, Andrea riuscì comunque ad ottenere disco verde per la fuga approfittando dello "stato di bisogno" del suo presidente. Così arriva la Juve sulle tracce del nuovo Cabrini. E dopo la Juve (27 presenze e un gol) giunge pure la nazionale, con il debutto a Tallinn, il 22 settembre '93, in occasione del 3-0 all'Estonia, unica sua apparizione azzurra.
È una corsa verso la gloria apparentemente inarrestabile ma poi, improvviso, il crollo. L'inizio della fine ha una data precisa: venerdi' 20 maggio 1994. Andrea e' stanco, irriconoscibile in campo, lui che e' sempre stato un concentrato esplosivo di energia; fatica a recuperare, e' tormentato da una febbriciattola allarmante. Il dott. Riccardo Agricola, responsabile del servizio sanitario bianconero, prescrive una serie di analisi. La diagnosi mette subito paura: leucemia acuta linfoide, fattore Filadelfia positivo. Quanto di peggio ci si poteva immaginare. Andrea ricoverato nella Divisione Universitaria di ematologia dell'ospedale Molinette. "Puo' farcela - dicono i medici -, Andrea e' giovane, la sua tempra robusta lo aiutera'". Ma l'ottimismo di facciata e' una pietosa bugia. Gli specialisti sanno bene che solo un trapianto con un donatore compatibile potra' restituire la vita a quel ragazzo coraggioso, assistito dalla fidanzata, Lara, e dai genitori, mamma Lucia e papa' Giuseppe, che e' cardiologo all'ospedale di Salerno e che ha l'immediata percezione del dramma. Tre settimane di terapia intensiva. Un netto miglioramento, valori verso la normalita'. L'organismo combatte, i globuli bianchi in eccesso spariscono, tecnicamente si parla di remissione completa della malattia...
Andrea Fortunato a soli 23 anni si ammalò di leucemia linfoplastica acuta. Dopo due trapianti di midollo osseo, il decorso post operatorio lasciò pensare ad un totale recupero; ma Andrea morì, dopo una polmonite, il 25 aprile 1995.
C'era una volta una bacchetta magica che maghi e fate si passavano di mano in mano. Un tocco e la vita di Andrea avrebbe continuato a volare...
18 maggio 2009
LUCA
La Lombardia è una terra che varia di paesaggio, di tradizioni, di costume e a seconda dei posti anche di storia. Questa terra così variegata nell'aspetto geografico e storico si estende dalle cime innevate delle Alpi all'immensa pianura padana che degrada sino alle regioni confinanti. Qui nascono giocatori di calcio di diversa tipologia e per caratteristiche attitudinali. Io che ci lavoro e che ci sono nato in questo posto ho visto questa regione cambiare ed integrare etnie sempre più diverse e crescere diventando un polo europeo sia culturale sia economico importante. Soprattutto ho visto crescere tanti giocatori, ma proprio tanti! Solo pochi sono arrivati a giocare in serie A. Un bambino sul quale avrei puntato, ci avrei giocato addirittura la casa, che potesse diventare un giocatore di alto livello era Luca!
Ho conosciuto Luca che aveva dodici anni e giocava nel settore giovanile del Milan già da un anno. Luca è nato a Milano da genitori di origine: Lombardo-Veneto-Calabro-Siciliano. Lui giocava a calcio per vocazione e per questo motivo si esprimeva in modo divino. Sembrava un piccolo principino quando si muoveva in campo: sempre elegante, creativo, fantasioso ed imprevedibile.
Luca faceva parte della categoria di giocatori, definiti da Hans Jorgen Nielsen nel suo bellissimo libro “L'angelo del calcio”: I POETI DEL CALCIO. Si era un Poeta del calcio, uno di quei giocatori che ti prendono di sorpresa, quelli che creano spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio, uno di quelli che fanno giocate che non avresti mai neppure immaginato. La sua famiglia aveva influenzato sin dall'infanzia la sua scelta di giocare a calcio. Suo padre era stato un discreto giocatore di serie C e sua madre si occupava di mandare avanti una società calcistica dilettante del milanese. Entrambi i genitori innamorati di questo sport non potevano che far giocare a calcio il loro unico figlio. Luca ti faceva vincere le partite da solo, rendeva facile ogni giocata e le sue scelte tattiche erano sempre vincenti. Non a caso sul retro della maglia portava il numero dieci, quando il numero sulle maglie aveva ancora un significato il dieci lo davi solo al più bravo a quello che volevi distinguere dagli altri. A lui oltre al dieci dovevi dare anche la fascia di capitano perchè era una esempio: aveva voglia di fare, era educato, un vero modello positivo per tutti anche per noi adulti: “Propri un brau fieou” si dice a Milano. Tutta questa magia svanì un giorno sul campetto di Melegnano cittadina popolosa situata a sud di Milano. Luca sta per battere il calcio d'inizio di una partita che si annuncia bella e divertente come al solito quando lui è presente. Mentre azzero il cronometro guardo verso il centrocampo e vedo il mio capitano che mette una mano al petto e successivamente si piega su se stesso. Il bimbo non sta bene! Chiamo subito il fisioterapista e gli dico di accertarsi come sta Luca. Luca si accascia, a questo punto corro verso di lui e lo chiamo ad alta voce. Sono vicino, lo vedo è bianco in volto ed è sofferente e tiene sempre la sua mano destra al petto. Gli chiedo che c'è o meglio che c'è che non va? La sua risposta mi preoccupa ancor di più: “mister mi fa male qui” e mi indica il petto “è un dolore forte, forte”. Lo prendo in braccio e lo porto fuori e mi ripeto: “non è nulla, non è nulla Luca”. Mi sorride e mi dice: “mi lasci giù mister adesso mi passa e io voglio giocare”. Lo porto in panchina e dico al dirigente di chiamare un'autoambulanza e di fare in fretta. Luca continua a ripetere: “io voglio giocare, dai mi faccia giocare mister”. Lo guardo negli occhi gli sorrido e gli parlo: “Luca giocherai, hai così tanto tempo per giocare...”
Luca il lunedì successivo fu sottoposto ad elettrocardiogramma che evidenziò una cardiopatia che gli avrebbe impedito di continuare a giocare a calcio. Il calcio ha un poeta in meno ma il mondo ha sicuramente una bella persona che lo abbellirà. Ciao Luca.
Ho conosciuto Luca che aveva dodici anni e giocava nel settore giovanile del Milan già da un anno. Luca è nato a Milano da genitori di origine: Lombardo-Veneto-Calabro-Siciliano. Lui giocava a calcio per vocazione e per questo motivo si esprimeva in modo divino. Sembrava un piccolo principino quando si muoveva in campo: sempre elegante, creativo, fantasioso ed imprevedibile.
Luca faceva parte della categoria di giocatori, definiti da Hans Jorgen Nielsen nel suo bellissimo libro “L'angelo del calcio”: I POETI DEL CALCIO. Si era un Poeta del calcio, uno di quei giocatori che ti prendono di sorpresa, quelli che creano spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio, uno di quelli che fanno giocate che non avresti mai neppure immaginato. La sua famiglia aveva influenzato sin dall'infanzia la sua scelta di giocare a calcio. Suo padre era stato un discreto giocatore di serie C e sua madre si occupava di mandare avanti una società calcistica dilettante del milanese. Entrambi i genitori innamorati di questo sport non potevano che far giocare a calcio il loro unico figlio. Luca ti faceva vincere le partite da solo, rendeva facile ogni giocata e le sue scelte tattiche erano sempre vincenti. Non a caso sul retro della maglia portava il numero dieci, quando il numero sulle maglie aveva ancora un significato il dieci lo davi solo al più bravo a quello che volevi distinguere dagli altri. A lui oltre al dieci dovevi dare anche la fascia di capitano perchè era una esempio: aveva voglia di fare, era educato, un vero modello positivo per tutti anche per noi adulti: “Propri un brau fieou” si dice a Milano. Tutta questa magia svanì un giorno sul campetto di Melegnano cittadina popolosa situata a sud di Milano. Luca sta per battere il calcio d'inizio di una partita che si annuncia bella e divertente come al solito quando lui è presente. Mentre azzero il cronometro guardo verso il centrocampo e vedo il mio capitano che mette una mano al petto e successivamente si piega su se stesso. Il bimbo non sta bene! Chiamo subito il fisioterapista e gli dico di accertarsi come sta Luca. Luca si accascia, a questo punto corro verso di lui e lo chiamo ad alta voce. Sono vicino, lo vedo è bianco in volto ed è sofferente e tiene sempre la sua mano destra al petto. Gli chiedo che c'è o meglio che c'è che non va? La sua risposta mi preoccupa ancor di più: “mister mi fa male qui” e mi indica il petto “è un dolore forte, forte”. Lo prendo in braccio e lo porto fuori e mi ripeto: “non è nulla, non è nulla Luca”. Mi sorride e mi dice: “mi lasci giù mister adesso mi passa e io voglio giocare”. Lo porto in panchina e dico al dirigente di chiamare un'autoambulanza e di fare in fretta. Luca continua a ripetere: “io voglio giocare, dai mi faccia giocare mister”. Lo guardo negli occhi gli sorrido e gli parlo: “Luca giocherai, hai così tanto tempo per giocare...”
Luca il lunedì successivo fu sottoposto ad elettrocardiogramma che evidenziò una cardiopatia che gli avrebbe impedito di continuare a giocare a calcio. Il calcio ha un poeta in meno ma il mondo ha sicuramente una bella persona che lo abbellirà. Ciao Luca.
07 maggio 2009
ALESSANDRO
Alessandro penso a lui e sorrido! Un bambino pieno di vita, di entusiasmo, sempre allegro e gaio. Sempre scherzoso con i compagni e con la battuta pronta con noi allenatori . Non per nulla il bimbo è nato a Roma e nella città eterna aveva passato dieci dei suoi dodici anni che aveva quando l'ho conosciuto. Li dove viveva libero, nella sua borgata, tutti i giorni andava a giocare a calcio al campetto. Su quel pezzo di terreno sterrato e sconnesso c'erano sempre pronte due squadre per affrontarsi in quelle partite interminabili da ventitrè a ventidue. A volte saltava anche la scuola, al pomeriggio, per finire una partita. Era ricercatissimo per due motivi diceva lui: primo perchè giocava in porta; secondo perchè era bravissimo in questo ruolo. Con me si vantava dicendomi che la sua squadra giocava sempre in due in meno perchè lui era troppo forte. Era una sagoma e sdrammatizzava sempre qualsiasi situazione. Ricordo quella volta che prima di una finale nello spogliatoio stavo preparando la partita e nel farlo mi ero fatto prendere un po' dall'enfasi del momento e per la verità più che caricare la squadra l'avevo un po' spaventata, allora lui se ne uscì con una delle sue battute: “Aoh misterr che giochiamo contro el Real Madrid oggi?” allora tutti ridendo, me compreso, andavamo in campo e...vincevamo! Era uno specialista con quelle sue battute sagaci, le tirava fuori così di getto e dove passava lui lasciava tutti sorridenti e divertiti. È un “84”, anno magico per i calciatori, ed è un portiere per vocazione. Suo padre diceva in romanesco: “questo mè nato coi guanti de portiere addosso!”. A proposito di suo padre: Alessandro aveva e spero che abbia ancora, un padre tifoso. Lo seguiva da tutte le parti: in Italia, all'estero, al chiuso, all'aperto, con la pioggia, con il sole, in auto e anche in bicicletta!! quel padre seguiva tutte le partite da dietro alla porta di suo figlio, sia al primo che al secondo tempo sempre dietro alla porta! Mi dava un fastidio incredibile e lo dava anche ad Allessandro, perchè da lì non si accontentava di vedere la partita ma faceva il suggeritore e allora: “Ale vai a destra, Ale vai a sinistra, Ale mettete de qua, Ale mettete de la!” Un tormento, una vera spina nel fianco. Un giorno Alessandro mi prese in disparte e mi disse: “a mister lei me deve aiutà, mio padre me sta a stressà è sempre dietro alla mia porta e non sta mai zitto, nun me fa concentrà! Ie deve dì qualcosa!” lo guardaI negli occhi e gli risposi che ci avrei pensato io a dirgli di starsene a casa e non venire per un pezzo a vederlo giocare. Lui allora riprese la parola dicendo: “no mister non le deve dì de stare a casa, se no a quello ie piglia un infarto, ie deve solo dì de non metterse dietro la porta perchè da lì me sta a rompè tre quarti de coioni!!”. Mi venne da ridere istintivamente ma mi ripresi subito e subito ripresi Alessandro per que suo linguaggio volgare e poco rispettoso. Gli avevo detto che suo padre faceva tutto questo per un eccesso d'affetto nei suoi confronti ecc ecc... Gli avevo detto quelle cose per proteggerlo e per non distruggere il rapporto tra lui e suo padre che mi sembrava veramente speciale ma nella realtà pensavo che Alessandro aveva ragione e che il padre dovesse darsi una calmata. Allora dissi ad Alessandro che avrei parlato con il padre e che se doveva per forza venire a vederlo che almeno si accomodasse in tribuna. La risposta di Alessandro fù ancora più divertente: “mister mio padre è una brava persona ma quando se tratta de me che gioco a calcio diventa paraculoico!” ridendo dissi ad Alessandro : “volevi dire che diventa paranoico?” lui non perse l'occasione per fare la battutona: “no mister volevo dì proprio quello che ho detto perchè mi padre quando parla de me che gioco a calcio deventa paranoico tendente al paraculo!!” che dire? Alessandro quanto mi manchi!!
Alessandro Boccolini (Roma, 14 luglio 1984)
Cresciuto calcisticamente nel Milan e nella Lazio, è stato prestato dalla società capitolina alla Viterbese nel 2003-2004 ed all'Alessandria, con cui ha vinto il campionato di Eccellenza, l'anno successivo. Nel 2005-2006 è stato acquistato a titolo definitivo dall'Ascoli, con la cui maglia ha esordito in Serie A il 14 maggio 2006 in Empoli-Ascoli 1-2.
Alessandro Boccolini (Roma, 14 luglio 1984)
Cresciuto calcisticamente nel Milan e nella Lazio, è stato prestato dalla società capitolina alla Viterbese nel 2003-2004 ed all'Alessandria, con cui ha vinto il campionato di Eccellenza, l'anno successivo. Nel 2005-2006 è stato acquistato a titolo definitivo dall'Ascoli, con la cui maglia ha esordito in Serie A il 14 maggio 2006 in Empoli-Ascoli 1-2.
24 aprile 2009
GIANLUIGI
GIANLUIGI
È un giorno di ottobre, il tempo è ancora bello, il cielo è sereno e appena offuscato da nubi molto alte e la temperatura è sui 15 gradi. È il microclima del lago è il clima ideale per fare l'allenamento e giocare partite di calcio. Oggi al centro sportivo le foglie degli alberi, che nei mesi precedenti frusciavano alla calda brezza, ora, ingiallite si staccano dai rami e il vento le fa volteggiare ed esse cadono, posandosi sui campi adiacenti al viale. Qui nella bella provincia di Como la campagna ha preso i caldi colori dell'autunno. È proprio un bel pomeriggio ed io sto aspettando in uno dei viali del centro sportivo di Orsenigo l'osservatore Gigi, che ha il compito di portare qui un bambino, un talento a suo dire, per il ritiro del materiale sportivo(borsa, tuta di rappresentanza ecc) che gli servirà per il torneo che andremo a fare sabato a Verona. Mentre sto osservando il panorama e sentendo il vibrare delle foglie che fa da colonna sonora a questa incantevole scenografia naturale, vedo da lontano il Gigi che spinge letteralmente un ragazzino dalla “zazzera” nera come il carbone. Mentre il Gigi spinge, il ragazzino tira l'impermeabile di una donna che viene letteralmente trascinata in questa piccola mischia. Io osservo meravigliato il tutto e non distogliendo nemmeno per un attimo lo sguardo verso la scenetta che diventa sempre più divertente, incuriosito mi avvicino sempre di più. Il Gigi spinge, il ragazzo tira e la mamma urla qualcosa che assomiglia:”finiscila finiscila!”. Mentre assisto a questo “spingi e tira” il terzetto che si trova in stallo proprio nei pressi dell'entrata, sta dando spettacolo. Ormai vicino sento il Gigi che ansimando, per la fatica, dice: “ciao Giulio questo è Gianluigi e questa è sua madre”. Li guardo entrambi mentre sembrano non curarsi della mia presenza perchè troppo impegnati a lottare per la conquista dell'impermeabile della mamma. Esordisco con un semplice: “buon giorno signora mi chiamo Giuliano e sono l'allenatore della squadra nella quale Gianluigi dovrebbe giocare”. Le mie parole sembrano avere un effetto calmante sui movimenti di Gianluigi il quale si ferma e mi guarda dritto in viso, dopo di che continua il suo lavoro al fianco della mamma. La mamma, non mollando la presa dell'impermeabile, mi risponde gentilmente e in modo perentorio: “mister buon giorno, guardi non ne posso più, Gianluigi è tutto il giorno che fa i capricci. È indisciplinato, è difficile da sopportare e la cosa peggiore è che ha deciso di non venire al torneo. Cerchi di parlarci lei, il Gigi mi ha detto che lei è uno che ci sa fare con i bambini, e lo convinca a mantenere l'impegno che anche lui si era assunto. Guardi, lo vede anche lei, con noi non c'è proprio verso di prenderlo”. Io in verità non so cosa fare e soprattutto non so cosa dire e allora faccio quello che di solito faccio quando mi trovo nelle situazioni dove non so cosa fare (anche adesso per la verità ho qualche difficoltà a scrivere): divento aggressivo! “Senti piccolo (dimenticavo di dire che Gianluigi ha dieci anni) a questo torneo tu devi venirci perchè per portare te abbiamo dovuto lasciare a casa un altro bambino. Quindi finiscila di fare i capricci e cerca di collaborare, cioè non fare tante storie, tu sabato ti presenti alle 14 allo stadio perchè si parte con il pulman per Verona e se non ci sei ti veniamo a prendere ok?” mentre parlavo mi guardava fisso negli occhi e non diceva nulla ma all'improvviso, come se in lui fosse scattato qualcosa, dice a voce alta: “va bene io vengo ma voglio giocare con la maglia numero dieci!” La mamma e il Gigi in silenzio guardano me e aspettano una risposta. Io ci penso un momento e poi rispondo: “va bene anche per me, ok per la maglia numero 10, basta che la chiudiamo qui e tu ti presenti sabato alla convocazione senza fare più altre scene come questa!” Ci lasciamo con queste parole. La mamma tutta soddisfatta mi saluta e mi ringrazia più volte prima di uscire dal centro, l'osservatore invece, tutto sudato e tutto soddisfatto mi dice: “vedrai Giulio questo è un talento e ti farà vincere il torneo!”
Le parole di Gigi furono profetiche vincemmo il torneo! In finale battemmo la Cremonese due a zero e i due gol li fece Gianluigi un vero talento calcistico!
GIANLUIGI P.
Gialuigi non ha fatto carriera nel calcio. Gianluigi era un animo tormentato, fragile, troppo umano. Io molte volte mi sono chiesto dove fosse, dove si trovasse cosa facesse quel genio che sapeva giocare a calcio come pochi. Di Gianluigi rivive nella mia mente il suo talento la sua sregolatezza in tutto quello che faceva. Il calore con cui le persone lo circondavano non gli sono bastati per fuggire dalla più perfida delle illusioni: la droga. Ho saputo della sua morte l'ottobre scorso mentre ero su un campo da calcio. Il cielo era sereno, la brezza muoveva le foglie degli alberi li vicini e in lontananza mi sembrava di vedere la sua zazzera nera correre inseguito da un nugolo di avversari. Ciao Gianluigi.
È un giorno di ottobre, il tempo è ancora bello, il cielo è sereno e appena offuscato da nubi molto alte e la temperatura è sui 15 gradi. È il microclima del lago è il clima ideale per fare l'allenamento e giocare partite di calcio. Oggi al centro sportivo le foglie degli alberi, che nei mesi precedenti frusciavano alla calda brezza, ora, ingiallite si staccano dai rami e il vento le fa volteggiare ed esse cadono, posandosi sui campi adiacenti al viale. Qui nella bella provincia di Como la campagna ha preso i caldi colori dell'autunno. È proprio un bel pomeriggio ed io sto aspettando in uno dei viali del centro sportivo di Orsenigo l'osservatore Gigi, che ha il compito di portare qui un bambino, un talento a suo dire, per il ritiro del materiale sportivo(borsa, tuta di rappresentanza ecc) che gli servirà per il torneo che andremo a fare sabato a Verona. Mentre sto osservando il panorama e sentendo il vibrare delle foglie che fa da colonna sonora a questa incantevole scenografia naturale, vedo da lontano il Gigi che spinge letteralmente un ragazzino dalla “zazzera” nera come il carbone. Mentre il Gigi spinge, il ragazzino tira l'impermeabile di una donna che viene letteralmente trascinata in questa piccola mischia. Io osservo meravigliato il tutto e non distogliendo nemmeno per un attimo lo sguardo verso la scenetta che diventa sempre più divertente, incuriosito mi avvicino sempre di più. Il Gigi spinge, il ragazzo tira e la mamma urla qualcosa che assomiglia:”finiscila finiscila!”. Mentre assisto a questo “spingi e tira” il terzetto che si trova in stallo proprio nei pressi dell'entrata, sta dando spettacolo. Ormai vicino sento il Gigi che ansimando, per la fatica, dice: “ciao Giulio questo è Gianluigi e questa è sua madre”. Li guardo entrambi mentre sembrano non curarsi della mia presenza perchè troppo impegnati a lottare per la conquista dell'impermeabile della mamma. Esordisco con un semplice: “buon giorno signora mi chiamo Giuliano e sono l'allenatore della squadra nella quale Gianluigi dovrebbe giocare”. Le mie parole sembrano avere un effetto calmante sui movimenti di Gianluigi il quale si ferma e mi guarda dritto in viso, dopo di che continua il suo lavoro al fianco della mamma. La mamma, non mollando la presa dell'impermeabile, mi risponde gentilmente e in modo perentorio: “mister buon giorno, guardi non ne posso più, Gianluigi è tutto il giorno che fa i capricci. È indisciplinato, è difficile da sopportare e la cosa peggiore è che ha deciso di non venire al torneo. Cerchi di parlarci lei, il Gigi mi ha detto che lei è uno che ci sa fare con i bambini, e lo convinca a mantenere l'impegno che anche lui si era assunto. Guardi, lo vede anche lei, con noi non c'è proprio verso di prenderlo”. Io in verità non so cosa fare e soprattutto non so cosa dire e allora faccio quello che di solito faccio quando mi trovo nelle situazioni dove non so cosa fare (anche adesso per la verità ho qualche difficoltà a scrivere): divento aggressivo! “Senti piccolo (dimenticavo di dire che Gianluigi ha dieci anni) a questo torneo tu devi venirci perchè per portare te abbiamo dovuto lasciare a casa un altro bambino. Quindi finiscila di fare i capricci e cerca di collaborare, cioè non fare tante storie, tu sabato ti presenti alle 14 allo stadio perchè si parte con il pulman per Verona e se non ci sei ti veniamo a prendere ok?” mentre parlavo mi guardava fisso negli occhi e non diceva nulla ma all'improvviso, come se in lui fosse scattato qualcosa, dice a voce alta: “va bene io vengo ma voglio giocare con la maglia numero dieci!” La mamma e il Gigi in silenzio guardano me e aspettano una risposta. Io ci penso un momento e poi rispondo: “va bene anche per me, ok per la maglia numero 10, basta che la chiudiamo qui e tu ti presenti sabato alla convocazione senza fare più altre scene come questa!” Ci lasciamo con queste parole. La mamma tutta soddisfatta mi saluta e mi ringrazia più volte prima di uscire dal centro, l'osservatore invece, tutto sudato e tutto soddisfatto mi dice: “vedrai Giulio questo è un talento e ti farà vincere il torneo!”
Le parole di Gigi furono profetiche vincemmo il torneo! In finale battemmo la Cremonese due a zero e i due gol li fece Gianluigi un vero talento calcistico!
GIANLUIGI P.
Gialuigi non ha fatto carriera nel calcio. Gianluigi era un animo tormentato, fragile, troppo umano. Io molte volte mi sono chiesto dove fosse, dove si trovasse cosa facesse quel genio che sapeva giocare a calcio come pochi. Di Gianluigi rivive nella mia mente il suo talento la sua sregolatezza in tutto quello che faceva. Il calore con cui le persone lo circondavano non gli sono bastati per fuggire dalla più perfida delle illusioni: la droga. Ho saputo della sua morte l'ottobre scorso mentre ero su un campo da calcio. Il cielo era sereno, la brezza muoveva le foglie degli alberi li vicini e in lontananza mi sembrava di vedere la sua zazzera nera correre inseguito da un nugolo di avversari. Ciao Gianluigi.
20 aprile 2009
ROBERTO
PICCOLO MA BRAVO
Mia moglie al telefono! non è una novità! La novità è che stia parlando di me con la sua amica Daniela di Brescia: “si, SI Giuliano è a casa, se vuoi te lo passo? Ok ciao e a presto, eccoti Giuliano”. Mia moglie mi passa il cordless senza dirmi il perchè Daniela voglia parlare con me ed io mi ritrovo tra le mani il telefono senza sapere cosa dire ed inizio la comunicazione con un semplice: “pronto!” aldilà del telefono c'è la bella voce della carina Daniela. Una persona veramente per bene, gentile nei modi e affabile nel rapportarsi con gli altri, una bella persona in tutti i sensi: “ciao Giuliano, vado subito al dunque. Innanzi tutto mi dispiace disturbarti ma c'è una mia amica che ha un figlio che, dice lei, gioca benissimo a calcio e sapendo, da me naturalmente, che tu alleni le giovanili del Milan mi ha chiesto se si può far fare un provino a suo figlio?” Breve, concisa e precisa! Rispondo: “si può fare tutto Daniela devo sapere però: prima quanti anni ha e poi dove gioca?” Daniela non la cogli mai impreparata e anche a queste domande mi risponde in modo preciso:”allora Giuliano aspetta un secondo mi sono scritta tutto sulla mia agenda, dunque: il Bimbo ha 12 anni e gioca negli esordienti del Lumezzane” precisissima, non per niente fa l'insegnante di lettere! Dico a Daniela che il giorno dopo le avrei fatto sapere il dove, il come e il quando il piccolo giocatore avrebbe potuto fare il provino. Il giorno dopo fissammo l'appuntamento. Roberto doveva trovarsi a Linate al centro sportivo dell'aeronautica alle 14.30 accompagnato con un responsabile della società e relativo nulla osta della stessa. Daniela mi salutò con parole gentili ed appropriate e mi ringraziò a nome della sua amica.
Ed eccoci a lunedì a Linate, al centro sportivo dove tutti i giorni da più di quattro anni alleno le giovanile dell'A.C.Milan . Sono le 14.00 ed io sono già nello spogliatoio e qualcuno dal di fuori mi sta cercando è il factotum del centro sig. Trapanelli che con un deciso: “Rusca c'è gente che la cerca!” esco dallo spogliatoio e mi trovo difronte il Trapanelli e due uomini dall'aspetto gentile e sorridenti, sicuramente il Trapanelli li avrà divertiti con qualcuna delle sue battute sugli allenatori è tremendo quando ci si mette. Lui ci definisce i “mezzi-allenatori” perchè siamo allenatori del settore giovanile e quindi non siamo veri allenatori insomma ha la sua logica che è meglio non indagare e analizzare. Guardando bene dietro ai due adulti c'è lui: Roberto. È un bambino dai lineamenti aggraziati e con quei capelli lunghi sembra proprio una bambina. Ci presentiamo e scopro che mentre il signore che tiene per mano il bimbo è il padre, l'altro signore è Depaoli l'ex giocatore della Juventus degli anni 60, ed è il suo allenatore. Dopo le presentazioni di rito porto Roberto negli spogliatoi dove lo presento ai compagni e dove gli consegno il materiale che dovrà indossare per svolgere l'allenamento. Mentre gli do maglietta, calzoncini e calzettoni faccio una prima considerazione: il bimbo è un po' piccolo per la sua età! La seconda è che questo gruppo, cioè quello dei 79, non lo spaventi più di tanto, qui dentro ci sono delle testoline un pò...esco dallo spogliatoio con qualche perplessità ma la curiosità di vederlo all'opera è più forte e non vedo l'ora di iniziare l'allenamento. Torno dopo 10 minuti e noto che Roberto ha già socializzato con tutti, lo chiamano per nome e lui chiama per nome tutti gli altri! Bene il piccolo dimostra personalità! Andiamo sul campo e a tutti viene dato un pallone con il quale palleggiare ed effettuare dei giochi con la palla. Lo osservo attentamente e noto che ha un ottimo rapporto con la palla: la palleggia e l'accarezza con quel piedino sinistro in modo favoloso! Questo è veramente bravo! Lo guardo quasi affascinato con la palla sa fare tutto, è creativo fa dei giochetti che nessuno sa fare con una naturalezza che solo la vera maestria ti permette di realizzare. Ma dove veramente mi meraviglia la sua abilità è nelle situazioni di uno contro uno. Supera l'avversario con una facilità tipica di quelli bravi. “Oh questo sarà piccolo ma è bravo veramente!” mi dico! Alla fine dell'allenamento, dopo una serie di esercitazioni, facciamo la partita. Durante questo sette contro sette è un continuo sentire: “dai Robi (lo chiamano già Robi) dalla a me, dai Robi calcia tu, dai Robi mettila sulla fascia, Robi di su e Robi di giù è un continuo chiamare il suo nome che sembra che faccia parte del gruppo da tempo. “Il piccolo è un vero talento calcistico ed ha personalità da piccolo leader” questo scriverò nella mia relazione tecnica al responsabile del settore giovanile il quale l'anno successivo lo inserirà nell'organico dei giovanissimi della società. Alla sera la telefonata di Daniela è puntuale: “come è andata Giuliano? Dimmi la verità?” la mia risposta è spontanea e diretta come la domanda: “Daniela il piccolo è bravo, e penso che l'anno prossimo giocherà con la maglia...del Milan!”
ROBERTO DE ZERBI
Carriera
Cresciuto nella giovanili del Milan, nel 2002-2003 si rivela uno dei talenti emergenti del calcio italiano nel Foggia, con cui ottiene la promozione in Serie C1.
Nella stagione 2004-2005 va all'Arezzo, dove viene schierato tra i titolari dal tecnico Pasquale Marino. Nella stagione 2005-2006 Marino passa al Catania e porta con sé De Zerbi. Gioca un campionato di alto livello ed è uno dei protagonisti della promozione della squadra in Serie A. Con il Catania segna 7 reti e totalizza 6 assist per i compagni.
Il 27 giugno 2006 viene acquistato dal Napoli con cui sottoscrive un contratto quinquennale. Nella stagione 2006-2007 in serie B con la maglia azzurra segna tre gol: il primo al Rimini, il secondo contro il Lecce ed il terzo con la Triestina. Pur non demeritando, il giocatore fatica ad esprimersi con continuità sui livelli dell'anno precedente.
Nell'estate 2007 sembra ad un passo dal Cagliari, ma poi l'affare salta. Resta a Napoli dove però trova pochissimo spazio, segnando un solo gol contro il Cesena in Coppa Italia.
Nel mercato invernale passa in prestito al Brescia, squadra della sua città natale e dove sognava di giocare da piccolo, rimane fino alla fine del campionato senza centrare l'obiettivo della promozione in serie A anche se a Bergamo contro l'Albinoleffe è il migliore in campo, per poi rientrare al Napoli per fine prestito.
Il 1° settembre 2008 viene preso in prestito dall'Avellino.
Mia moglie al telefono! non è una novità! La novità è che stia parlando di me con la sua amica Daniela di Brescia: “si, SI Giuliano è a casa, se vuoi te lo passo? Ok ciao e a presto, eccoti Giuliano”. Mia moglie mi passa il cordless senza dirmi il perchè Daniela voglia parlare con me ed io mi ritrovo tra le mani il telefono senza sapere cosa dire ed inizio la comunicazione con un semplice: “pronto!” aldilà del telefono c'è la bella voce della carina Daniela. Una persona veramente per bene, gentile nei modi e affabile nel rapportarsi con gli altri, una bella persona in tutti i sensi: “ciao Giuliano, vado subito al dunque. Innanzi tutto mi dispiace disturbarti ma c'è una mia amica che ha un figlio che, dice lei, gioca benissimo a calcio e sapendo, da me naturalmente, che tu alleni le giovanili del Milan mi ha chiesto se si può far fare un provino a suo figlio?” Breve, concisa e precisa! Rispondo: “si può fare tutto Daniela devo sapere però: prima quanti anni ha e poi dove gioca?” Daniela non la cogli mai impreparata e anche a queste domande mi risponde in modo preciso:”allora Giuliano aspetta un secondo mi sono scritta tutto sulla mia agenda, dunque: il Bimbo ha 12 anni e gioca negli esordienti del Lumezzane” precisissima, non per niente fa l'insegnante di lettere! Dico a Daniela che il giorno dopo le avrei fatto sapere il dove, il come e il quando il piccolo giocatore avrebbe potuto fare il provino. Il giorno dopo fissammo l'appuntamento. Roberto doveva trovarsi a Linate al centro sportivo dell'aeronautica alle 14.30 accompagnato con un responsabile della società e relativo nulla osta della stessa. Daniela mi salutò con parole gentili ed appropriate e mi ringraziò a nome della sua amica.
Ed eccoci a lunedì a Linate, al centro sportivo dove tutti i giorni da più di quattro anni alleno le giovanile dell'A.C.Milan . Sono le 14.00 ed io sono già nello spogliatoio e qualcuno dal di fuori mi sta cercando è il factotum del centro sig. Trapanelli che con un deciso: “Rusca c'è gente che la cerca!” esco dallo spogliatoio e mi trovo difronte il Trapanelli e due uomini dall'aspetto gentile e sorridenti, sicuramente il Trapanelli li avrà divertiti con qualcuna delle sue battute sugli allenatori è tremendo quando ci si mette. Lui ci definisce i “mezzi-allenatori” perchè siamo allenatori del settore giovanile e quindi non siamo veri allenatori insomma ha la sua logica che è meglio non indagare e analizzare. Guardando bene dietro ai due adulti c'è lui: Roberto. È un bambino dai lineamenti aggraziati e con quei capelli lunghi sembra proprio una bambina. Ci presentiamo e scopro che mentre il signore che tiene per mano il bimbo è il padre, l'altro signore è Depaoli l'ex giocatore della Juventus degli anni 60, ed è il suo allenatore. Dopo le presentazioni di rito porto Roberto negli spogliatoi dove lo presento ai compagni e dove gli consegno il materiale che dovrà indossare per svolgere l'allenamento. Mentre gli do maglietta, calzoncini e calzettoni faccio una prima considerazione: il bimbo è un po' piccolo per la sua età! La seconda è che questo gruppo, cioè quello dei 79, non lo spaventi più di tanto, qui dentro ci sono delle testoline un pò...esco dallo spogliatoio con qualche perplessità ma la curiosità di vederlo all'opera è più forte e non vedo l'ora di iniziare l'allenamento. Torno dopo 10 minuti e noto che Roberto ha già socializzato con tutti, lo chiamano per nome e lui chiama per nome tutti gli altri! Bene il piccolo dimostra personalità! Andiamo sul campo e a tutti viene dato un pallone con il quale palleggiare ed effettuare dei giochi con la palla. Lo osservo attentamente e noto che ha un ottimo rapporto con la palla: la palleggia e l'accarezza con quel piedino sinistro in modo favoloso! Questo è veramente bravo! Lo guardo quasi affascinato con la palla sa fare tutto, è creativo fa dei giochetti che nessuno sa fare con una naturalezza che solo la vera maestria ti permette di realizzare. Ma dove veramente mi meraviglia la sua abilità è nelle situazioni di uno contro uno. Supera l'avversario con una facilità tipica di quelli bravi. “Oh questo sarà piccolo ma è bravo veramente!” mi dico! Alla fine dell'allenamento, dopo una serie di esercitazioni, facciamo la partita. Durante questo sette contro sette è un continuo sentire: “dai Robi (lo chiamano già Robi) dalla a me, dai Robi calcia tu, dai Robi mettila sulla fascia, Robi di su e Robi di giù è un continuo chiamare il suo nome che sembra che faccia parte del gruppo da tempo. “Il piccolo è un vero talento calcistico ed ha personalità da piccolo leader” questo scriverò nella mia relazione tecnica al responsabile del settore giovanile il quale l'anno successivo lo inserirà nell'organico dei giovanissimi della società. Alla sera la telefonata di Daniela è puntuale: “come è andata Giuliano? Dimmi la verità?” la mia risposta è spontanea e diretta come la domanda: “Daniela il piccolo è bravo, e penso che l'anno prossimo giocherà con la maglia...del Milan!”
ROBERTO DE ZERBI
Carriera
Cresciuto nella giovanili del Milan, nel 2002-2003 si rivela uno dei talenti emergenti del calcio italiano nel Foggia, con cui ottiene la promozione in Serie C1.
Nella stagione 2004-2005 va all'Arezzo, dove viene schierato tra i titolari dal tecnico Pasquale Marino. Nella stagione 2005-2006 Marino passa al Catania e porta con sé De Zerbi. Gioca un campionato di alto livello ed è uno dei protagonisti della promozione della squadra in Serie A. Con il Catania segna 7 reti e totalizza 6 assist per i compagni.
Il 27 giugno 2006 viene acquistato dal Napoli con cui sottoscrive un contratto quinquennale. Nella stagione 2006-2007 in serie B con la maglia azzurra segna tre gol: il primo al Rimini, il secondo contro il Lecce ed il terzo con la Triestina. Pur non demeritando, il giocatore fatica ad esprimersi con continuità sui livelli dell'anno precedente.
Nell'estate 2007 sembra ad un passo dal Cagliari, ma poi l'affare salta. Resta a Napoli dove però trova pochissimo spazio, segnando un solo gol contro il Cesena in Coppa Italia.
Nel mercato invernale passa in prestito al Brescia, squadra della sua città natale e dove sognava di giocare da piccolo, rimane fino alla fine del campionato senza centrare l'obiettivo della promozione in serie A anche se a Bergamo contro l'Albinoleffe è il migliore in campo, per poi rientrare al Napoli per fine prestito.
Il 1° settembre 2008 viene preso in prestito dall'Avellino.
14 aprile 2009
VINCENZO
VINCENZO
Un'altra Pasqua fuori casa! Un'altra Pasqua sottratta alla famiglia e dedicata al lavoro. Ma si chiamiamolo lavoro questo mio divertimento, cioè fare l'allenatore di giovani calciatori non è proprio un lavoro, ma non è neppure un divertimento! Ma allora che cos'è? Iniziamo il racconto, è meglio!
Sono a Verbania, una ridente località sul lago maggiore nel mese d'Aprile, nell'anno del Signore 1991! Mi trovo in codesta cittadina per partecipare con la mia squadra di pulcini (dell'A.C. Milan) al torneo internazionale, per l'appunto, di Verbania. La leva “pulcini” è quella dei nati nel 1980, annata buona per il Barolo e per i giocatori di calcio. La squadra che ho “tra le mani” è fortissima! Tra di loro spicca un giovane giocatore che proviene da Salerno: VINCENZO. Un “bimbo” dalle doti tecniche sopraffine e con un carattere eccezionale. Un osservatore della società lo ha portato su, cioè sin qui, per l'occasione, e con lui c'è il padre che di lavoro, ufficialmente fa il pescatore ma ufficiosamente fa il “biscazziere” in una bisca clandestina vicino al porto (me lo ha detto lui in un colloquio a quattrocchi al bar dell'albergo), il bimbo è anche accompagnato dalla fama di essere un fenomeno calcistico, vedremo! Le prime partite le vinciamo facilmente e il ragazzino si fa notare per la forte personalità, già conosce tutti e chiama il sottoscritto con l'appellativo:”Mistèr”. Le qualificazioni le giochiamo su dei campi un po' spelacchiati nel senso che sono in terra battuta e qui Vincenzo dimostra di trovarsi nel suo abitat naturale. I campi dove gioca lui a Salerno, me lo ha detto sempre il padre, sono tutti in terra e sassi! Lì nessuno osa andare a terra e fare takle scivolati, viste le abrasioni che il terreno provoca nel momento in cui qualcuno striscia qualsiasi parte del corpo per terra. Vincenzo oltre ad essere un bravo giocatore di calcio dimostra più maturità dei suoi coetanei, egli sa destreggiarsi tra i sentimenti conflittuali che emergono di solito tra i compagni di squadra, sa star bene con gli altri e mantenere buoni rapporti con tutti. Quest'arte lui l'ha appresa sulla strada dove vive per la maggior parte del suo tempo, questa competenza esperenziale gli ha permesso di conoscere atteggiamenti giusti e utili per comprendere la natura dei vari rapporti. Ma torniamo al torneo.
Le partite di qualificazione le vinciamo tutte e approdiamo alle semifinali! In semifinale troviamo un avversario di tutto rispetto: la Juventus! Prima della partita dico ai ragazzi che non sarà facile avere la meglio ma che ce la possiamo fare perchè siamo forti e dico a loro che dobbiamo rispettare tutti ma non avere paura di nessuno! Il capitano lo farà lui: VINCENZO. Mentre il massaggiatore sta per mettergli la fascia sul braccio sinistro, lui mi guarda dritto in volto e mi fa una domanda: “mistèr (accentuando l'accento sulla e) posso battere le punizioni in questa partita?” rispondo che le può battere e gli do un suggerimento tecnico: “ok battile tu, ma mira il secondo palo!Hai capito Vincenzo mira il secondo palo” e lui tutto sorridente mi risponde: “oh mistèr, ho capito, ho capito! Ma io sul piede non ho mica il mirino!” mi guarda e si mette a ridere e con lui ride tutta la squadra! Vinciamo 3 a 1 e lui fa due gol... su punizione! Siamo in finale! Ce la giocheremo con il Torino che ha eliminato l'Inter ai rigori. La partita verrà giocata allo stadio di Verbania, dove il campo è in erba! Arriviamo allo stadio in autobus, all'entrata ci aspettano tutti i genitori che sostengono la squadra con applausi e urla di incitamento, insomma tutto è pronto per una grande finale. Portiamo le borse nello spogliatoio e ci avviamo verso il campo per vedere, sentire ed annusare il terreno di gioco. C'è silenzio, è un silenzio rispettoso per il luogo dove andremo a giocarci la FINALE! Tutti zitti meno lui il Vincenzo:
“Mister questa erba è così morbida che sembra la moquette di zia Pina” così commenta Vincenzo appena mettiamo piede sul campo. Il silenzio si trasforma prima in brusio e poi in una sonora risata che contagia anche me!Tutti ridiamo e ci guardiamo convinti che oggi faremo una grande partita!
Vinciamo la finale 2 a 0 e Vincenzo non segna ma fa due assist! È un trionfo della squadra e di Vincenzo che vince il premio (una targa , spero l'abbia conservata!) come miglior giocatore del torneo! Il suo nome, il suo destino: Vincenzo deriva dal nome personale latino Vincentius, participio presente del verbo latino vincere, significa letteralmente “vincente”, “vittorioso”.
Vincenzo Maresca:
Ha iniziato a giocare nelle giovanili del Milan, quindi nel Cagliari, senza contare alcuna presenza in campionato, e nel West Bromwich Albion, con 47 presenze e 5 gol totali nella Division One inglese, l'equivalente dell'italiana serie B.
Nel gennaio 2000, a 19 anni, si è trasferito alla Juventus, con cui ha collezionato soltanto una presenza in campionato. È poi passato in prestito al Bologna, con cui ha disputato 23 partite. Nella stagione 2001/2002 è tornato alla Juventus con la quale ha giocato 16 partite e segnato un gol nel derby contro il Torino. Nel 2002/2003 è andato in comproprietà al Piacenza (31 presenze, 9 reti) e nel 2004/2005 alla Fiorentina. In viola ha disputato 25 partite realizzando 5 gol.
Dall'estate 2005 è in forza al Siviglia, con cui ha vinto due Coppe UEFA (nell'edizione 2005-2006 segnò una doppietta nella finale vinta per 4-0 contro il Middlesbrough, mentre nella finale dell'edizione 2006-2007, vinta nuovamente dal Siviglia, partì come titolare), una Supercoppa Europea, una Coppa di Spagna ed una Supercoppa di Spagna.
Un'altra Pasqua fuori casa! Un'altra Pasqua sottratta alla famiglia e dedicata al lavoro. Ma si chiamiamolo lavoro questo mio divertimento, cioè fare l'allenatore di giovani calciatori non è proprio un lavoro, ma non è neppure un divertimento! Ma allora che cos'è? Iniziamo il racconto, è meglio!
Sono a Verbania, una ridente località sul lago maggiore nel mese d'Aprile, nell'anno del Signore 1991! Mi trovo in codesta cittadina per partecipare con la mia squadra di pulcini (dell'A.C. Milan) al torneo internazionale, per l'appunto, di Verbania. La leva “pulcini” è quella dei nati nel 1980, annata buona per il Barolo e per i giocatori di calcio. La squadra che ho “tra le mani” è fortissima! Tra di loro spicca un giovane giocatore che proviene da Salerno: VINCENZO. Un “bimbo” dalle doti tecniche sopraffine e con un carattere eccezionale. Un osservatore della società lo ha portato su, cioè sin qui, per l'occasione, e con lui c'è il padre che di lavoro, ufficialmente fa il pescatore ma ufficiosamente fa il “biscazziere” in una bisca clandestina vicino al porto (me lo ha detto lui in un colloquio a quattrocchi al bar dell'albergo), il bimbo è anche accompagnato dalla fama di essere un fenomeno calcistico, vedremo! Le prime partite le vinciamo facilmente e il ragazzino si fa notare per la forte personalità, già conosce tutti e chiama il sottoscritto con l'appellativo:”Mistèr”. Le qualificazioni le giochiamo su dei campi un po' spelacchiati nel senso che sono in terra battuta e qui Vincenzo dimostra di trovarsi nel suo abitat naturale. I campi dove gioca lui a Salerno, me lo ha detto sempre il padre, sono tutti in terra e sassi! Lì nessuno osa andare a terra e fare takle scivolati, viste le abrasioni che il terreno provoca nel momento in cui qualcuno striscia qualsiasi parte del corpo per terra. Vincenzo oltre ad essere un bravo giocatore di calcio dimostra più maturità dei suoi coetanei, egli sa destreggiarsi tra i sentimenti conflittuali che emergono di solito tra i compagni di squadra, sa star bene con gli altri e mantenere buoni rapporti con tutti. Quest'arte lui l'ha appresa sulla strada dove vive per la maggior parte del suo tempo, questa competenza esperenziale gli ha permesso di conoscere atteggiamenti giusti e utili per comprendere la natura dei vari rapporti. Ma torniamo al torneo.
Le partite di qualificazione le vinciamo tutte e approdiamo alle semifinali! In semifinale troviamo un avversario di tutto rispetto: la Juventus! Prima della partita dico ai ragazzi che non sarà facile avere la meglio ma che ce la possiamo fare perchè siamo forti e dico a loro che dobbiamo rispettare tutti ma non avere paura di nessuno! Il capitano lo farà lui: VINCENZO. Mentre il massaggiatore sta per mettergli la fascia sul braccio sinistro, lui mi guarda dritto in volto e mi fa una domanda: “mistèr (accentuando l'accento sulla e) posso battere le punizioni in questa partita?” rispondo che le può battere e gli do un suggerimento tecnico: “ok battile tu, ma mira il secondo palo!Hai capito Vincenzo mira il secondo palo” e lui tutto sorridente mi risponde: “oh mistèr, ho capito, ho capito! Ma io sul piede non ho mica il mirino!” mi guarda e si mette a ridere e con lui ride tutta la squadra! Vinciamo 3 a 1 e lui fa due gol... su punizione! Siamo in finale! Ce la giocheremo con il Torino che ha eliminato l'Inter ai rigori. La partita verrà giocata allo stadio di Verbania, dove il campo è in erba! Arriviamo allo stadio in autobus, all'entrata ci aspettano tutti i genitori che sostengono la squadra con applausi e urla di incitamento, insomma tutto è pronto per una grande finale. Portiamo le borse nello spogliatoio e ci avviamo verso il campo per vedere, sentire ed annusare il terreno di gioco. C'è silenzio, è un silenzio rispettoso per il luogo dove andremo a giocarci la FINALE! Tutti zitti meno lui il Vincenzo:
“Mister questa erba è così morbida che sembra la moquette di zia Pina” così commenta Vincenzo appena mettiamo piede sul campo. Il silenzio si trasforma prima in brusio e poi in una sonora risata che contagia anche me!Tutti ridiamo e ci guardiamo convinti che oggi faremo una grande partita!
Vinciamo la finale 2 a 0 e Vincenzo non segna ma fa due assist! È un trionfo della squadra e di Vincenzo che vince il premio (una targa , spero l'abbia conservata!) come miglior giocatore del torneo! Il suo nome, il suo destino: Vincenzo deriva dal nome personale latino Vincentius, participio presente del verbo latino vincere, significa letteralmente “vincente”, “vittorioso”.
Vincenzo Maresca:
Ha iniziato a giocare nelle giovanili del Milan, quindi nel Cagliari, senza contare alcuna presenza in campionato, e nel West Bromwich Albion, con 47 presenze e 5 gol totali nella Division One inglese, l'equivalente dell'italiana serie B.
Nel gennaio 2000, a 19 anni, si è trasferito alla Juventus, con cui ha collezionato soltanto una presenza in campionato. È poi passato in prestito al Bologna, con cui ha disputato 23 partite. Nella stagione 2001/2002 è tornato alla Juventus con la quale ha giocato 16 partite e segnato un gol nel derby contro il Torino. Nel 2002/2003 è andato in comproprietà al Piacenza (31 presenze, 9 reti) e nel 2004/2005 alla Fiorentina. In viola ha disputato 25 partite realizzando 5 gol.
Dall'estate 2005 è in forza al Siviglia, con cui ha vinto due Coppe UEFA (nell'edizione 2005-2006 segnò una doppietta nella finale vinta per 4-0 contro il Middlesbrough, mentre nella finale dell'edizione 2006-2007, vinta nuovamente dal Siviglia, partì come titolare), una Supercoppa Europea, una Coppa di Spagna ed una Supercoppa di Spagna.
31 marzo 2009
27 marzo 2009
FRANCESCO
Francesco.
“Mino ho trovato un fenomeno è bravissimo! Ha undici anni, è bello fisicamente, gioca attaccante, calcia di destro e di sinistro, è velocissimo ed è furbo come una volpe!” Le parole sono del famosissimo osservatore (talent scout): il Giorgio e l'uditore e l'altrettanto famosissimo responsabile del settore giovanile di una squadra professionistica: il Mino. Io che sono l'allenatore della squadra esordienti di quella società mi trovo casualmente nei paraggi mentre si sta svolgendo la discussione e ascolto: “Mino pensi questo pischello ha fatto un gol sabato, nella sua squadretta dell'oratorio, che se lo faceva a San Siro veniva giù lo stadio. Ha preso la palla a metà campo, ha scartato quattro avversari, è arrivato in area e sull'uscita del portiere gli fatto un pallonetto! Un fenomeno, un fenomeno!” Per dir la verità gli osservatori sono un po' come i venditori di stoffe, vantano sempre in modo esagerato la propria mercanzia e quando ne senti uno parlare devi sempre dividere quello che dice per due e moltiplicarlo per 0,5 per capire quella che è la verità. Ma devo dire che il Giorgio è un osservatore atipico, cioè se dice che uno è bravo stai pur sicuro che quello è veramente bravo, insomma ha occhio ed è soprattutto onesto. “Hai sentito Giulio, giovedì dovrai allenare la nuova scoperta del Giorgio. Prendi accordi con lui per fartelo portare all'allenamento e poi sappimi dire, sono proprio curioso di vederlo questo fenomeno!” il Direttore mi coinvolge subito passandomi la palla ed io ben contento mi presto a riceverla e mi metto a parlare con il Giorgio per organizzare il provino che si effettuerà giovedì pomeriggio. Eccoci a giovedì! Sono curioso di vederlo questo piccolo fenomeno, dalla descrizione mi aspetto un genio del dribbling e che sappia saltare gli avversari come birilli dando vita ad azioni spettacolari. Lo sto aspettando sul piazzale del centro sportivo quando li vedo arrivare. Sono in tre: il Giorgio, un signore e un bambino con una zazzera folta e bionda. Il Giorgio si avvicina e mi presenta: “questo è l'allenatore”, “piacere Giuliano” stringo la mano al signore che mi risponde: “piacere Angelo sono il padre di Francesco”. Dopo aver salutato i due adulti rivolgo la mia attenzione verso il bimbo e allungandogli la mano cerco di salutarlo. Lui senza titubanze me la afferra e mi dice: “ciao io sono Francesco!”. Bel tipino dico tra me! lo saluto e lo accolgo con un: “ciao, benvenuto vieni ti porto negli spogliatoi”. Lo accompagno e lui con il suo grande borsone mentre mi segue, mi domanda: “Giuliano io gioco centro attacco lo sai vero?” non rispondo! Altra domanda: “Giuliano io calcio con tutte e due i piedi lo sai?” Non rispondo! Si ferma mi lascia andare avanti e poi mi fa un'altra domanda: “Giuliano sei arrabbiato?” A questa rispondo: “No Francesco non sono arrabbiato, sto solo pensando all'allenamento” gli do una risposta così banale che lo faccio sorridere e guardandomi con sufficienza mi dice: “ok, andiamo, dai portami negli spogliatoi” Confermo: che tipino!
Adesso mi rimane da spiegare Francesco da un punto strettamente tecnico e non è difficile: un giocoliere col pallone tra i piedi, passaggio di rara precisione e un tiro con entrambi i piedi, per la sua età, potentissimo sia da fermo che in corsa. Un autentico talento con il viso da bambino ma con una malizia da grande. Un fenomeno! Stiamo uscendo dal campo, l'allenamento è finito e lui si avvicina e mi fa, tanto per cambiare, una serie di domande una via l'altra: “Giuliano come sono andato? Sono stato bravo? Mi prendete?” “Calma , calma Francesco non sta a me rispondere a queste domande, sarà il direttore sportivo che parlerà con tuo padre”. Mi guarda mi sorride con quel bel viso tutto sudato e mi chiede di nuovo: “Giuliano ma a te son piaciuto?” la mia risposta questa volta è immediata e concisa: “Sei bravo Francesco, molto bravo!” Mi sorride “mette il cuore dentro alle scarpe” e va negli spogliatoi con i propri compagni. Lo guardo e penso “il ragazzo si farà!”
FRANCESCO COCO,
Esordisce da professionista con il Milan in Padova-Milan 1-2 del 27 agosto 1995 (serie A '95/'96), in cui rimane due stagioni disputando complessivamente solo 19 partite ma vincendo uno scudetto.
“Mino ho trovato un fenomeno è bravissimo! Ha undici anni, è bello fisicamente, gioca attaccante, calcia di destro e di sinistro, è velocissimo ed è furbo come una volpe!” Le parole sono del famosissimo osservatore (talent scout): il Giorgio e l'uditore e l'altrettanto famosissimo responsabile del settore giovanile di una squadra professionistica: il Mino. Io che sono l'allenatore della squadra esordienti di quella società mi trovo casualmente nei paraggi mentre si sta svolgendo la discussione e ascolto: “Mino pensi questo pischello ha fatto un gol sabato, nella sua squadretta dell'oratorio, che se lo faceva a San Siro veniva giù lo stadio. Ha preso la palla a metà campo, ha scartato quattro avversari, è arrivato in area e sull'uscita del portiere gli fatto un pallonetto! Un fenomeno, un fenomeno!” Per dir la verità gli osservatori sono un po' come i venditori di stoffe, vantano sempre in modo esagerato la propria mercanzia e quando ne senti uno parlare devi sempre dividere quello che dice per due e moltiplicarlo per 0,5 per capire quella che è la verità. Ma devo dire che il Giorgio è un osservatore atipico, cioè se dice che uno è bravo stai pur sicuro che quello è veramente bravo, insomma ha occhio ed è soprattutto onesto. “Hai sentito Giulio, giovedì dovrai allenare la nuova scoperta del Giorgio. Prendi accordi con lui per fartelo portare all'allenamento e poi sappimi dire, sono proprio curioso di vederlo questo fenomeno!” il Direttore mi coinvolge subito passandomi la palla ed io ben contento mi presto a riceverla e mi metto a parlare con il Giorgio per organizzare il provino che si effettuerà giovedì pomeriggio. Eccoci a giovedì! Sono curioso di vederlo questo piccolo fenomeno, dalla descrizione mi aspetto un genio del dribbling e che sappia saltare gli avversari come birilli dando vita ad azioni spettacolari. Lo sto aspettando sul piazzale del centro sportivo quando li vedo arrivare. Sono in tre: il Giorgio, un signore e un bambino con una zazzera folta e bionda. Il Giorgio si avvicina e mi presenta: “questo è l'allenatore”, “piacere Giuliano” stringo la mano al signore che mi risponde: “piacere Angelo sono il padre di Francesco”. Dopo aver salutato i due adulti rivolgo la mia attenzione verso il bimbo e allungandogli la mano cerco di salutarlo. Lui senza titubanze me la afferra e mi dice: “ciao io sono Francesco!”. Bel tipino dico tra me! lo saluto e lo accolgo con un: “ciao, benvenuto vieni ti porto negli spogliatoi”. Lo accompagno e lui con il suo grande borsone mentre mi segue, mi domanda: “Giuliano io gioco centro attacco lo sai vero?” non rispondo! Altra domanda: “Giuliano io calcio con tutte e due i piedi lo sai?” Non rispondo! Si ferma mi lascia andare avanti e poi mi fa un'altra domanda: “Giuliano sei arrabbiato?” A questa rispondo: “No Francesco non sono arrabbiato, sto solo pensando all'allenamento” gli do una risposta così banale che lo faccio sorridere e guardandomi con sufficienza mi dice: “ok, andiamo, dai portami negli spogliatoi” Confermo: che tipino!
Adesso mi rimane da spiegare Francesco da un punto strettamente tecnico e non è difficile: un giocoliere col pallone tra i piedi, passaggio di rara precisione e un tiro con entrambi i piedi, per la sua età, potentissimo sia da fermo che in corsa. Un autentico talento con il viso da bambino ma con una malizia da grande. Un fenomeno! Stiamo uscendo dal campo, l'allenamento è finito e lui si avvicina e mi fa, tanto per cambiare, una serie di domande una via l'altra: “Giuliano come sono andato? Sono stato bravo? Mi prendete?” “Calma , calma Francesco non sta a me rispondere a queste domande, sarà il direttore sportivo che parlerà con tuo padre”. Mi guarda mi sorride con quel bel viso tutto sudato e mi chiede di nuovo: “Giuliano ma a te son piaciuto?” la mia risposta questa volta è immediata e concisa: “Sei bravo Francesco, molto bravo!” Mi sorride “mette il cuore dentro alle scarpe” e va negli spogliatoi con i propri compagni. Lo guardo e penso “il ragazzo si farà!”
FRANCESCO COCO,
Esordisce da professionista con il Milan in Padova-Milan 1-2 del 27 agosto 1995 (serie A '95/'96), in cui rimane due stagioni disputando complessivamente solo 19 partite ma vincendo uno scudetto.
25 marzo 2009
18 marzo 2009
MARCO
MARCO
ho la sua CARTELLA CLINICA tra le mani la apro e la leggo:
“Marco ha cinque anni. Nella sua giovane vita ha instaurato rapporti affettivi solo con una persona, che lo accudisce, una suora. Il bambino non ha genitori, lo hanno abbandonato appena nato al befotrofio. Questa reiezione parentale ha causato in lui disturbi psichici irreparabili. Il mio consiglio è di internarlo in un ospedale psichiatrico perchè considerato pericoloso per sé e per gli altri”. Questa breve relazione venne stilata da un povero medico subito dopo che Marco lo aggredì mordendogli una mano che cercava, solo, di accarezzarlo. Marco in quell'ospedale, continuando la lettura della sua cartella clinica, era spesso colto da crisi in cui manifestava azioni autolesionistiche, in parole povere si colpiva in viso con pugni, si graffiava su tutto il corpo e si mordeva le braccia e le mani. Un quadro psichico devastante! All'età di dieci anni Marco viene mandato, finalmente commento io, in questo centro di assistenza della prima infanzia dove vive tutt'ora (adesso ha quindici anni) e dove io l'ho conosciuto. La commissione di medici specialistici che si occupa di questi casi particolari ha deciso di far fare a Marco un'esperienza con il gruppo dell'istituto che ogni settimana gioca a calcio e dove io presto la mia opera come volontario ed esperto della disciplina. È un giovedì mattina quando Il medico, responsabile dell'equipe che lo segue, mi presenta per la prima volta Marco. Siamo già tutti sul campo quando ci raggiunge tenendo per mano questo bambino che a prima vista si presenta goffo e impacciato, cammina in precario equilibrio tenendo le braccia lungo i fianchi quasi cercasse di occupare meno spazio possibile. Vengono verso di me il dottore mi saluta e dice su di lui queste parole: “Marco è un soggetto affetto da gravissima patologia relazionale, il suo livello intellettivo è basso, si esprime con un linguaggio notevolmente ridotto ed è accompagnato da un evidente impaccio motorio. Possiede un carattere molto fragile ed è soggetto a crisi che lo portano ad essere aggressivo e violento nei confronti di sé e degli altri, insomma prof. sarà dura fargli fare qualcosa, le abbiamo tentate tutte proviamo anche con il calcio, chissà che questo gioco non gli...smuova qualcosa dentro. Un Particolare importante: segue dalla finestra della sua camera le vostre partite tutti i giovedì”. Speriamo sia utile per lui e non crei molti problemi a noi penso egoisticamente e chiamo tutti attorno a me per iniziare l'allenamento. Iniziamo! Primo problema non vuole partecipare! Dopo mezzora però, passata nell'immobilità assoluta guardando gli altri a fare esercizi e giochi, vedo che si muove e va verso la sacca dei palloni. Lo raggiungo e lui quasi spaventato si ferma. Prendo un pallone e glielo porgo, lo prende e si allontana con la palla tra le mani. Nel mentre gli educatori hanno già iniziato ad organizzare la partitella finale, quella che rende tutti più partecipi e crea entusiasmo nel gruppo. Mi avvicino ancora a Marco e gli chiedo se vuol partecipare. Mi guarda e lasciando cadere la palla si dirige verso il cerchio di centro campo. Tutti lo guardiamo e tutti ci chiediamo: “che vorrà fare?”. Lui rapidamente si avvicina alla palla, se ne impossessa con i piedi e con un dominio inaspettato della stessa si dirige verso una porta. Abbiamo capito vuole fare gol, vuole farla entrare in rete! Ma tutti noi, e lui, non abbiamo fatto i conti con il Guglie il difensore più duro ed arcigno della nostra squadra che vedendo un giocatore in possesso della palla che si sta involando verso la sua porta lo ferma con un takle all'inglese, portandogli via la palla e ripartendo in contropiede. Il Guglie (Guglielmo) e un ragazzone di diciassette anni ha un grave ritardo mentale che lo rende un bambinone in tutte le sue esternazioni sia in positivo che in negativo. Ma mentre il Guglie vola verso la gloria del gol, Il Marco rimane impietrito li dove è stato realizzato il “misfatto”cioè dove gli hanno rubato la palla, ma dopo alcuni secondi inizia a gridare e a rincorrere il Guglie e a questo punto partiamo tutti alla rincorsa del Marco che rincorre il Guglie! La scena è grottesca tutti rincorrono qualcuno. La velocità di traslocazione del Marco è impressionante in un attimo è sul Guglie il quale visto e sentito tutto il frastuono si è fermato e aspetta il Marco con la palla in mano. A questo punto Marco si ferma, io mi fermo, gli educatori e tutti gli altri ragazzi si fermano. Tutto si ferma e nessuno parla. Ho l'impressione di essere sull'orlo di un baratro dove cadremo tutti. Ma è lui stesso, il Marco, che sblocca la situazione sussurrando al Guglie: “PALLA MIA!” il Guglie che è abbastanza intimorito da tutto l'accaduto gli porge la palla senza opporre resistenza, il Marco la mette a terra e guidandola corre verso la porta dove si stava dirigendo il Guglie e con un tiro di punta del piede fa gol! Ci guardiamo in faccia io e gli educatori più commossi che sorpresi e continuando ad osservare lo spettacolo restiamo li in mezzo al campo quasi inebetiti. Marco sta correndo con le braccia aperte e alzate per tutto il campo urlando: “GOL GOL GOL”. A questo punto ci facciamo tirrare dentro dall'entusiasmo ci scateniamo tutti: ridiamo, saltiamo, battiamo le mani e anche noi gridiamo gol, gol, gol! Sono lì in mezzo al campo guardo questo ragazzo che corre, mi commuovo e vorrei urlargli:
“Corri, corri Marco che hai fatto gol!Corri e fuggi dal befotrofio, corri efuggi dagli ospedali psichiatrici, corri e fuggi dalla tua violenza, corri e fuggi dalla paura della solitudine.
Con un gol Marco Corri verso la tua normalità”.
ho la sua CARTELLA CLINICA tra le mani la apro e la leggo:
“Marco ha cinque anni. Nella sua giovane vita ha instaurato rapporti affettivi solo con una persona, che lo accudisce, una suora. Il bambino non ha genitori, lo hanno abbandonato appena nato al befotrofio. Questa reiezione parentale ha causato in lui disturbi psichici irreparabili. Il mio consiglio è di internarlo in un ospedale psichiatrico perchè considerato pericoloso per sé e per gli altri”. Questa breve relazione venne stilata da un povero medico subito dopo che Marco lo aggredì mordendogli una mano che cercava, solo, di accarezzarlo. Marco in quell'ospedale, continuando la lettura della sua cartella clinica, era spesso colto da crisi in cui manifestava azioni autolesionistiche, in parole povere si colpiva in viso con pugni, si graffiava su tutto il corpo e si mordeva le braccia e le mani. Un quadro psichico devastante! All'età di dieci anni Marco viene mandato, finalmente commento io, in questo centro di assistenza della prima infanzia dove vive tutt'ora (adesso ha quindici anni) e dove io l'ho conosciuto. La commissione di medici specialistici che si occupa di questi casi particolari ha deciso di far fare a Marco un'esperienza con il gruppo dell'istituto che ogni settimana gioca a calcio e dove io presto la mia opera come volontario ed esperto della disciplina. È un giovedì mattina quando Il medico, responsabile dell'equipe che lo segue, mi presenta per la prima volta Marco. Siamo già tutti sul campo quando ci raggiunge tenendo per mano questo bambino che a prima vista si presenta goffo e impacciato, cammina in precario equilibrio tenendo le braccia lungo i fianchi quasi cercasse di occupare meno spazio possibile. Vengono verso di me il dottore mi saluta e dice su di lui queste parole: “Marco è un soggetto affetto da gravissima patologia relazionale, il suo livello intellettivo è basso, si esprime con un linguaggio notevolmente ridotto ed è accompagnato da un evidente impaccio motorio. Possiede un carattere molto fragile ed è soggetto a crisi che lo portano ad essere aggressivo e violento nei confronti di sé e degli altri, insomma prof. sarà dura fargli fare qualcosa, le abbiamo tentate tutte proviamo anche con il calcio, chissà che questo gioco non gli...smuova qualcosa dentro. Un Particolare importante: segue dalla finestra della sua camera le vostre partite tutti i giovedì”. Speriamo sia utile per lui e non crei molti problemi a noi penso egoisticamente e chiamo tutti attorno a me per iniziare l'allenamento. Iniziamo! Primo problema non vuole partecipare! Dopo mezzora però, passata nell'immobilità assoluta guardando gli altri a fare esercizi e giochi, vedo che si muove e va verso la sacca dei palloni. Lo raggiungo e lui quasi spaventato si ferma. Prendo un pallone e glielo porgo, lo prende e si allontana con la palla tra le mani. Nel mentre gli educatori hanno già iniziato ad organizzare la partitella finale, quella che rende tutti più partecipi e crea entusiasmo nel gruppo. Mi avvicino ancora a Marco e gli chiedo se vuol partecipare. Mi guarda e lasciando cadere la palla si dirige verso il cerchio di centro campo. Tutti lo guardiamo e tutti ci chiediamo: “che vorrà fare?”. Lui rapidamente si avvicina alla palla, se ne impossessa con i piedi e con un dominio inaspettato della stessa si dirige verso una porta. Abbiamo capito vuole fare gol, vuole farla entrare in rete! Ma tutti noi, e lui, non abbiamo fatto i conti con il Guglie il difensore più duro ed arcigno della nostra squadra che vedendo un giocatore in possesso della palla che si sta involando verso la sua porta lo ferma con un takle all'inglese, portandogli via la palla e ripartendo in contropiede. Il Guglie (Guglielmo) e un ragazzone di diciassette anni ha un grave ritardo mentale che lo rende un bambinone in tutte le sue esternazioni sia in positivo che in negativo. Ma mentre il Guglie vola verso la gloria del gol, Il Marco rimane impietrito li dove è stato realizzato il “misfatto”cioè dove gli hanno rubato la palla, ma dopo alcuni secondi inizia a gridare e a rincorrere il Guglie e a questo punto partiamo tutti alla rincorsa del Marco che rincorre il Guglie! La scena è grottesca tutti rincorrono qualcuno. La velocità di traslocazione del Marco è impressionante in un attimo è sul Guglie il quale visto e sentito tutto il frastuono si è fermato e aspetta il Marco con la palla in mano. A questo punto Marco si ferma, io mi fermo, gli educatori e tutti gli altri ragazzi si fermano. Tutto si ferma e nessuno parla. Ho l'impressione di essere sull'orlo di un baratro dove cadremo tutti. Ma è lui stesso, il Marco, che sblocca la situazione sussurrando al Guglie: “PALLA MIA!” il Guglie che è abbastanza intimorito da tutto l'accaduto gli porge la palla senza opporre resistenza, il Marco la mette a terra e guidandola corre verso la porta dove si stava dirigendo il Guglie e con un tiro di punta del piede fa gol! Ci guardiamo in faccia io e gli educatori più commossi che sorpresi e continuando ad osservare lo spettacolo restiamo li in mezzo al campo quasi inebetiti. Marco sta correndo con le braccia aperte e alzate per tutto il campo urlando: “GOL GOL GOL”. A questo punto ci facciamo tirrare dentro dall'entusiasmo ci scateniamo tutti: ridiamo, saltiamo, battiamo le mani e anche noi gridiamo gol, gol, gol! Sono lì in mezzo al campo guardo questo ragazzo che corre, mi commuovo e vorrei urlargli:
“Corri, corri Marco che hai fatto gol!Corri e fuggi dal befotrofio, corri efuggi dagli ospedali psichiatrici, corri e fuggi dalla tua violenza, corri e fuggi dalla paura della solitudine.
Con un gol Marco Corri verso la tua normalità”.
15 marzo 2009
IL CALCIO E' POESIA?
Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del «goal». Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno. In questo momento lo è Savoldi. Il calcio che esprime più goals è il calcio più poetico.
Anche il «dribbling» è di per sé poetico (anche se non «sempre» come l’azione del goal). Infatti il sogno di ogni giocatore (condiviso da ogni spettatore) è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare. Se, entro i limiti consentiti, si può immaginare nel calcio una cosa sublime, è proprio questa. Ma non succede mai. E un sogno (che ho visto realizzato solo nei Maghi del pallone da Franco Franchi, che, sia pure a livello brado, è riuscito a essere perfettamente onirico).
Chi sono i migliori «dribblatori» del mondo e i migliori facitori di goals? I brasiliani. Dunque il loro calcio è un calcio di poesia: ed esso è infatti tutto impostato sul dribbling e sul goal.
Il catenaccio e la triangolazione (che Brera chiama geometria) è un calcio di prosa: esso è infatti basato sulla sintassi, ossia sul gioco collettivo e organizzato: cioè sull’esecuzione ragionata del codice. Il suo solo momento poetico è il contropiede, con l’annesso «goal» (che, come abbiamo visto, non può che essere poetico). Insomma, il momento poetico del calcio sembra essere (come sempre) il momento individualistico (dribbling e goal; o passaggio ispirato)..
. Il calcio in prosa è quello del cosiddetto sistema (il calcio europeo)
Il «goal», in questo schema, è affidato alla «conclusione», possibilmente di un «poeta realistico» come Riva, ma deve derivare da una organizzazione di gioco collettivo, fondato da una serie di passaggi «geometrici» eseguiti secondo le regole del codice (Rivera in questo è perfetto: a Brera non piace perché si tratta di una perfezione un po’ estetizzante, e non realistica, come nei centrocampisti inglesi o tedeschi).
Il calcio in poesia è quello del calcio latino-americano. Schema che per essere realizzato deve richiedere una capacità mostruosa di dribblare (cosa che in Europa è snobbata in nome della «prosa collettiva»): e il goal può essere inventato da chiunque e da qualunque posizione. Se dribbling e goal sono i momenti individualistici-poetici del calcio, ecco quindi che il calcio brasiliano è un calcio di poesia. Senza far distinzione di valore, ma in senso puramente tecnico, in Messico [Olimpiadi 1968] è stata la prosa estetizzante italiana a essere battuta dalla poesia brasiliana.
PIER PAOLO PASOLINI
Anche il «dribbling» è di per sé poetico (anche se non «sempre» come l’azione del goal). Infatti il sogno di ogni giocatore (condiviso da ogni spettatore) è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare. Se, entro i limiti consentiti, si può immaginare nel calcio una cosa sublime, è proprio questa. Ma non succede mai. E un sogno (che ho visto realizzato solo nei Maghi del pallone da Franco Franchi, che, sia pure a livello brado, è riuscito a essere perfettamente onirico).
Chi sono i migliori «dribblatori» del mondo e i migliori facitori di goals? I brasiliani. Dunque il loro calcio è un calcio di poesia: ed esso è infatti tutto impostato sul dribbling e sul goal.
Il catenaccio e la triangolazione (che Brera chiama geometria) è un calcio di prosa: esso è infatti basato sulla sintassi, ossia sul gioco collettivo e organizzato: cioè sull’esecuzione ragionata del codice. Il suo solo momento poetico è il contropiede, con l’annesso «goal» (che, come abbiamo visto, non può che essere poetico). Insomma, il momento poetico del calcio sembra essere (come sempre) il momento individualistico (dribbling e goal; o passaggio ispirato)..
. Il calcio in prosa è quello del cosiddetto sistema (il calcio europeo)
Il «goal», in questo schema, è affidato alla «conclusione», possibilmente di un «poeta realistico» come Riva, ma deve derivare da una organizzazione di gioco collettivo, fondato da una serie di passaggi «geometrici» eseguiti secondo le regole del codice (Rivera in questo è perfetto: a Brera non piace perché si tratta di una perfezione un po’ estetizzante, e non realistica, come nei centrocampisti inglesi o tedeschi).
Il calcio in poesia è quello del calcio latino-americano. Schema che per essere realizzato deve richiedere una capacità mostruosa di dribblare (cosa che in Europa è snobbata in nome della «prosa collettiva»): e il goal può essere inventato da chiunque e da qualunque posizione. Se dribbling e goal sono i momenti individualistici-poetici del calcio, ecco quindi che il calcio brasiliano è un calcio di poesia. Senza far distinzione di valore, ma in senso puramente tecnico, in Messico [Olimpiadi 1968] è stata la prosa estetizzante italiana a essere battuta dalla poesia brasiliana.
PIER PAOLO PASOLINI
14 marzo 2009
27 febbraio 2009
IL GIOCO DEL CALCIO E' UN GIOCO SITUAZIONALE
IL CALCIO E’ UNO SPORT DI SITUAZIONE !Quindi uno sport dove l’avversario ti contrasta in qualsiasi zona di campo anche col contatto fisico condizionando( secondo dopo secondo) le varianti spazio tempo e tutto ciò prima durante e dopo l’esecuzione del gesto tecnico!PRIMA: Gli allenatori spesso affermano” nel calcio attuale non hai più tempo di ricevere–osservare –decidere ed -eseguire ma dovrai osservare-decidere ed eseguire” FALSO anche nelle generazioni di giocatori precedenti la raccolta dati, funzionali al raggiungimento dell’obiettivo prescelto condizionavano il gesto e la riuscita dell’azione , di certo, è cambiata la velocità, con la quale la situazione muta.e di conseguenza i tempi di comprensione ed esecuzionePer cui un’attenta ed ISTRUITA valutazione delle informazioni più utili (non tutte le informazioni sono utili, anzi) determinano fortemente la funzionalità del gesto e di conseguenza del risultato (il fine ultimo è sempre il risultato non il gesto, il gesto è da considerare un mezzo)DURANTE : Quando gestisco il contatto con la palla visto il carattere situativo ed invasivo di questo sport dovrò allo stesso tempo dominare palla sotto pressione ed osservare l’ambiente DOPO :La dominanza collaborativa negli sport di squadra richiede una spiccata predisposizione a riconoscere la posizione migliore da assumere per facilitare le opzioni del nuovo possessore della palla, molto semplicemente gioco palla ed aiuto i compagni(smarcamento) collocandomi nella posizione migliore per farlo sia in fase d’attacco che in fase difensivaOra riflettiamo sul fatto che, il prima ed il dopo sono senza palla(come-dove quando mi muovo) ma necessiteranno di una comprensione educata del contesto situazionale che andrà allenata ed il durante con la palla non scapperà al principio di situazionalità da allenare,Lo smarcamento è il principio dominante nel bagaglio di tattica individuale in fase di possesso che ogni giocatore dovrebbe possedere.La rilevazione dei dati sul possesso palla individuale ci dice che massimo sarà (nei giocatori più dotati)di circa 3 minuti a partita, mentre nei rimanenti 57 minuti (considerando 60 minuti effettivi) il giocatore si muoverà per difendere ed attaccare senza possesso palla; e quindi avrà a disposizione circa 28 minuti per smarcarsi quando la sua squadra avrà il possesso palla.Allora mi chiedo se gli allenatori dedicano abbastanza tempo a questi 28 minuti(che sappiamo essere fondamentali) facendo conoscere ai giocatori i segreti del movimento senza palla ! E soprattutto quanto tempo e cosa è stato proposto per far conoscere questo importante principio di tattica individuale nella loro formazione di “scuola calcio”,e risottolineo scuola calcio
20 febbraio 2009
TECNICA DI BASE E TECNICA APPLICATA
INTRODUZIONE: TECNICA DI BASE E TECNICA APPLICATA La tecnica calcistica è il complesso delle abilità inerenti i movimenti che il giocatore è chiamato a compiere durante la gara, quando si trova in contatto o comunque in relazione con la palla.Sotto il profilo didattico, che è quello che maggiormente intendo sviluppare, si parla di tecnica di base, che consiste nel contatto uomo - palla, a prescindere da ogni fase dello sviluppo del gioco, e di tecnica applicata, che è invece relativa a tutti quegli accorgimenti per mezzo dei quali i fondamentali vengono espressi in relazione allo sviluppo del gioco, tenendo conto dei compagni e degli avversari, il tutto nella forma più redditizia per lo sviluppo dell’azione.La tecnica di base è dunque un contenuto didattico preliminare, ma insostituibile, anche se non sufficiente per la formazione del calciatore che dovrà, per essere completo, perfezionare la sua tecnica globale in situazione di gioco.Per questo motivo ritengo che l’allenamento moderno debba considerare entrambi gli aspetti della tecnica. Per capire però quale peso dare nell’allenamento a tecnica di base e tecnica applicata, o meglio, quale relazione esista tra loro, ho voluto definire molto brevemente come si sia evoluto il concetto di “gioco del calcio” in questi ultimi 20 anni: tutto ciò al fine di determinare come sia cambiato con il modo di giocare anche il modo di allenare. So che esistono molti modi di intendere il calcio moderno e altrettante applicazioni, ognuna legata a qualche grande nome di allenatore: a prescindere da essi, il mio obiettivo nel corso di questa trattazione è di definire quali per me siano le priorità e le metodiche più appropriate e suggerire in questo senso una serie di esercizi di allenamento.
06 febbraio 2009
05 febbraio 2009
31 gennaio 2009
AGGIORNAMENTO AGLI ALLENATORI DI ABU DABI (EMIRATI ARABI)

UNA SETTIMANA AD ABU DABI
La capitale per la maggior parte sofisticata e moderna degli Emirati Arabi Uniti presenta un misto affascinante di tradizione e progresso. Con una storia ricca di tradizione risalente a circa il 3000 AC, Abu Dhabi mantiene un carattere più prettamente arabo rispetto alla luccicante Dubai.
Nel periodo dal 23/1/09 al 30/1/09 ho soggiornato ad Abu Dabi e ho sviluppato un corso di aggiornamento per gli allenatori associati all'Abu Dabi Concuil. L'esperienza oltre a risultare molto interessante sotto l'aspetto tecnico mi ha permesso di visitare un luogo SUGGESTIVO E RICCO DI UNA CULTURA DIVERSA DALLA MIA. Ho visitato le strutture sportive che oserei definire AVVENIRISTICHE sia per il livello di progettazione sia per la bellezza estetica. ho conosciuto persone veramente interessate alle problematiche dell'attività calcistica giovanile. Esperienza veramente POSITIVA
15 gennaio 2009
LA TATTICA CALCISTICA INDIVIDUALE
LA TATTICA CALCISTICA
La tattica può essere sia collettiva, sia individuale.
Tattica collettiva: è un’azione coordinata tra due o più giocatori, tesa ad ottenere uno scopo determinato in precedenza.Tattica individuale: sono tutti quegli accorgimenti e movimenti per mezzo dei quali la nostra prestazione risulta utile ed economica.
La tattica va eseguita con autonomia da ogni giocatore della partita. Ogni calciatore deve essere autore del disegno tattico. Ognuno è responsabile e quindi ha libertà decisionale in fatto di modi, tempi, spazi, scelta, esecuzione, tenendo pur conto dei movimenti degli altri.
Attenzione che senza la tecnica non si può fare tattica. Quindi i bambini o gli adulti dilettanti, devono essere istruiti sulla tecnica. Non si può insegnare un disegno tattico o studiare movimenti preordinati se non si è in grado di gestire il pallone.Il giocatore ideale è quello che possiede una tecnica precisa e rapidità d’esecuzione abbinata a ripetuta velocità di spostamento, inserita in azioni di gioco, con una rapida e variegata capacità di decisione tattica.Il tempo è la chiave per giocare a calcio. Tempo di marcamento o smarcamento, tempo di battuta, tempo di passaggio ecc…..Il lavoro dell’allenatore deve essere rivolto a migliorare i tempi di gioco, non sull’applicazione passiva da parte dei giocatori, di schemi preordinati e tempi fissi. Il calcio è uno sport di situazione, non si può prevedere cosa succederà durante la partita, quindi l’allenatore deve abituare i propri giocatori ad autonomia decisionale in un sistema chiaro a tutti.
Possiamo dividere la partita di calcio essenzialmente in due parti ben distinte:
Fase di possesso palla (la mia squadra ha la palla, indipendentemente dalla posizione del campo e dal giocatore)
Fase di non possesso palla (la squadra avversaria ha la palla, indipendentemente dalla posizione del campo e del giocatore)
Nella tattica individuale in fase di possesso palla il giocatore deve conoscere:
Lo smarcamento: in zona luce (zona dove sia possibile ricevere la palla); in diagonale
Difesa e protezione della palla: ad ogni ricezione devo mettere il corpo a protezione della palla; andare sempre in contro alla palla; andare sempre sul punto di caduta su palloni che arrivano dall’alto
Passaggio: la precisione determina il vantaggio rispetto alla conduzione della palla: è più veloce; supero più avversari in un colpo solo; determina meno consumo energetico
Guida della palla, finta e dribbling
Tiro in porta
Nella fase di non possesso palla, deve conoscere:
Presa di posizione: in diagonale rispetto alla palla; rientrare verso la porta
Marcamento: a uomo (la posizione è determinata dall’avversario); a zona (la posizione è determinata dalla palla)
Intercettamento e/o anticipo: contrasto diretto; contrasto indiretto (mettere in zona d’ombra l’avversario)
Difesa della porta: difendere il portiere nei suoi interventi; non girarsi in occasioni di possibili tiri degli avversari; copertura di parte della porta con il corpo; non ostacolare il proprio portiere
La tattica può essere sia collettiva, sia individuale.
Tattica collettiva: è un’azione coordinata tra due o più giocatori, tesa ad ottenere uno scopo determinato in precedenza.Tattica individuale: sono tutti quegli accorgimenti e movimenti per mezzo dei quali la nostra prestazione risulta utile ed economica.
La tattica va eseguita con autonomia da ogni giocatore della partita. Ogni calciatore deve essere autore del disegno tattico. Ognuno è responsabile e quindi ha libertà decisionale in fatto di modi, tempi, spazi, scelta, esecuzione, tenendo pur conto dei movimenti degli altri.
Attenzione che senza la tecnica non si può fare tattica. Quindi i bambini o gli adulti dilettanti, devono essere istruiti sulla tecnica. Non si può insegnare un disegno tattico o studiare movimenti preordinati se non si è in grado di gestire il pallone.Il giocatore ideale è quello che possiede una tecnica precisa e rapidità d’esecuzione abbinata a ripetuta velocità di spostamento, inserita in azioni di gioco, con una rapida e variegata capacità di decisione tattica.Il tempo è la chiave per giocare a calcio. Tempo di marcamento o smarcamento, tempo di battuta, tempo di passaggio ecc…..Il lavoro dell’allenatore deve essere rivolto a migliorare i tempi di gioco, non sull’applicazione passiva da parte dei giocatori, di schemi preordinati e tempi fissi. Il calcio è uno sport di situazione, non si può prevedere cosa succederà durante la partita, quindi l’allenatore deve abituare i propri giocatori ad autonomia decisionale in un sistema chiaro a tutti.
Possiamo dividere la partita di calcio essenzialmente in due parti ben distinte:
Fase di possesso palla (la mia squadra ha la palla, indipendentemente dalla posizione del campo e dal giocatore)
Fase di non possesso palla (la squadra avversaria ha la palla, indipendentemente dalla posizione del campo e del giocatore)
Nella tattica individuale in fase di possesso palla il giocatore deve conoscere:
Lo smarcamento: in zona luce (zona dove sia possibile ricevere la palla); in diagonale
Difesa e protezione della palla: ad ogni ricezione devo mettere il corpo a protezione della palla; andare sempre in contro alla palla; andare sempre sul punto di caduta su palloni che arrivano dall’alto
Passaggio: la precisione determina il vantaggio rispetto alla conduzione della palla: è più veloce; supero più avversari in un colpo solo; determina meno consumo energetico
Guida della palla, finta e dribbling
Tiro in porta
Nella fase di non possesso palla, deve conoscere:
Presa di posizione: in diagonale rispetto alla palla; rientrare verso la porta
Marcamento: a uomo (la posizione è determinata dall’avversario); a zona (la posizione è determinata dalla palla)
Intercettamento e/o anticipo: contrasto diretto; contrasto indiretto (mettere in zona d’ombra l’avversario)
Difesa della porta: difendere il portiere nei suoi interventi; non girarsi in occasioni di possibili tiri degli avversari; copertura di parte della porta con il corpo; non ostacolare il proprio portiere
07 gennaio 2009
05 gennaio 2009
IL CALCIO E' EDUCATIVO
Il calcio è un valore in sé perché insegna:
· Il rispetto per l’altro, per l’avversario e per le regole;
· La solidarietà;
· La lealtà;
· Il sentirsi parte di un gruppo ed esserne orgogliosi;
· …
Il calcio grazie alle sue principali caratteristiche e ai suoi valori dovrebbe educare. “L’educazione – dice Kant – è il più grande e difficile problema che possa essere proposto”. E’ proprio in questo senso che il calcio potrebbe dare un sostanzioso contributo ai diversi educatori che incontriamo nella nostra vita, dai genitori, agli insegnanti, agli allenatori. Soprattutto la scuola dovrebbe insegnare, o meglio, far capire ai ragazzi i valori che lo sport può trasmettere; perché questa attività ti insegna a stare con gli altri, a prefiggersi degli obiettivi e poi faticare per raggiungerli, insegna a rispettare le regole e gli avversari, insegna quei valori e quei punti saldi che aiutano nella vita di tutti giorni e permettono di vivere come membro attivo della società.
· Il rispetto per l’altro, per l’avversario e per le regole;
· La solidarietà;
· La lealtà;
· Il sentirsi parte di un gruppo ed esserne orgogliosi;
· …
Il calcio grazie alle sue principali caratteristiche e ai suoi valori dovrebbe educare. “L’educazione – dice Kant – è il più grande e difficile problema che possa essere proposto”. E’ proprio in questo senso che il calcio potrebbe dare un sostanzioso contributo ai diversi educatori che incontriamo nella nostra vita, dai genitori, agli insegnanti, agli allenatori. Soprattutto la scuola dovrebbe insegnare, o meglio, far capire ai ragazzi i valori che lo sport può trasmettere; perché questa attività ti insegna a stare con gli altri, a prefiggersi degli obiettivi e poi faticare per raggiungerli, insegna a rispettare le regole e gli avversari, insegna quei valori e quei punti saldi che aiutano nella vita di tutti giorni e permettono di vivere come membro attivo della società.
27 dicembre 2008
21 dicembre 2008
CONVEGNO SUL CALCIO GIOVANILE DI VERZUOLO (CN)
UN CONFRONTO IMPORTANTE TRA SCUOLE CALCIO EUROPEE
LUNEDI’ 24.11.2009 VERZUOLO-CUNEO
Il rischio per noi istruttori che operiamo nell’attività di base è quello di fossilizzarsi in metodi, in contenuti e in proposte che poi con l’andar del tempo diventano obsoleti. Come fare allora per essere sempre aggiornati e pronti a soddisfare le motivazioni dei nostri allievi? Sicuramente una delle cosa da fare è quella di auto-aggiornarci e documentarci su nuove metodiche o su proposte per mezzo di libri, riviste come “IL NUOVO CALCIO”, CD, DVD e chi più ne ha più ne metta. Ma da un po’ di tempo mi sono reso conto che uno dei modi più efficaci è quello del confronto con altre esperienze o addirittura con altre culture a volte non solo calcistiche. Ecco che quando mi invitano a partecipare ad una giornata di confronto di metodologie di allenamento corro con entusiasmo e curiosità. Così ho fatto quando l’amico Ermanno De Maria responsabile della scuola di perfezionamento calcistico ASD Excellent e allenatore dei Pulcini del Torino F.C. mi ha invitato per lunedì 24 novembre presso il centro sportivo di Verzuolo ad UNA GIORNATA DI DIVULGAZIONE DELLE METODOLOGIE DI ALLENAMENTO RIVOLTE AL SETTORE DELLA ATTIVITA’ DI BASE. Le società presenti, qui di seguito presento l’elenco delle società con i corrispettivi relatori, erano davvero prestigiose ed importanti nell’elitè del panorama calcistico europeo.
SOCIETA’ E RELATORI
AIAX DI ASTERDAM
MICHEL KREEK
ESPANYOL DI BARCELLONA
ISAAC GUERRERO HERNADEZ
F.C. INTERNAZIONALE
G. RUSCA S. BELLINZAGHI
A.S. ROMA
MARCO ROSA
F.C. TORINO
SILVANO BENEDETTI
La giornata è stata così organizzata:
· Dalle 15.00 alle 18.00 la parte pratica. Ogni relatore, contemporaneamente agli altri, ha esposto sul campo in sintetico di Verzuolo (Cn) due sessioni di allenamento di un’ora e mezzo l’una. A disposizione aveva un gruppo (12 ragazzi) gli allievi della scuola calcio A.S.D. Excellent di Verzuolo;
· Dalle 20.00 alle 23.00 presso il Salone d’Onore della Città di Cuneo si è svolto il dibattito-confronto sul tema: “NUOVE METODOLOGIE DI ALLENAMENTO APPLICATE ALL’ATTIVITA’ CALCISTICA DI BASE”. Il moderatore della serata è stato il noto giornalista Paolo Bargiggia.
Alla giornata hanno partecipato circa cento tra allenatori, responsabili tecnici e dirigenti di società. Questi si sono dimostrati particolarmente interessati sia alla parte pratica sia a quella teorica, molti infatti sono stati gli interventi sia sul campo sia in aula. Io oltre a preoccuparmi di esprimere il nostro lavoro al meglio mi sono interessato, soprattutto sul campo delle proposte dei colleghi. Ecco, prese dai miei appunti, le esercitazioni , secondo me più significative dei vari relatori.
LUNEDI’ 24.11.2009 VERZUOLO-CUNEO
Il rischio per noi istruttori che operiamo nell’attività di base è quello di fossilizzarsi in metodi, in contenuti e in proposte che poi con l’andar del tempo diventano obsoleti. Come fare allora per essere sempre aggiornati e pronti a soddisfare le motivazioni dei nostri allievi? Sicuramente una delle cosa da fare è quella di auto-aggiornarci e documentarci su nuove metodiche o su proposte per mezzo di libri, riviste come “IL NUOVO CALCIO”, CD, DVD e chi più ne ha più ne metta. Ma da un po’ di tempo mi sono reso conto che uno dei modi più efficaci è quello del confronto con altre esperienze o addirittura con altre culture a volte non solo calcistiche. Ecco che quando mi invitano a partecipare ad una giornata di confronto di metodologie di allenamento corro con entusiasmo e curiosità. Così ho fatto quando l’amico Ermanno De Maria responsabile della scuola di perfezionamento calcistico ASD Excellent e allenatore dei Pulcini del Torino F.C. mi ha invitato per lunedì 24 novembre presso il centro sportivo di Verzuolo ad UNA GIORNATA DI DIVULGAZIONE DELLE METODOLOGIE DI ALLENAMENTO RIVOLTE AL SETTORE DELLA ATTIVITA’ DI BASE. Le società presenti, qui di seguito presento l’elenco delle società con i corrispettivi relatori, erano davvero prestigiose ed importanti nell’elitè del panorama calcistico europeo.
SOCIETA’ E RELATORI
AIAX DI ASTERDAM
MICHEL KREEK
ESPANYOL DI BARCELLONA
ISAAC GUERRERO HERNADEZ
F.C. INTERNAZIONALE
G. RUSCA S. BELLINZAGHI
A.S. ROMA
MARCO ROSA
F.C. TORINO
SILVANO BENEDETTI
La giornata è stata così organizzata:
· Dalle 15.00 alle 18.00 la parte pratica. Ogni relatore, contemporaneamente agli altri, ha esposto sul campo in sintetico di Verzuolo (Cn) due sessioni di allenamento di un’ora e mezzo l’una. A disposizione aveva un gruppo (12 ragazzi) gli allievi della scuola calcio A.S.D. Excellent di Verzuolo;
· Dalle 20.00 alle 23.00 presso il Salone d’Onore della Città di Cuneo si è svolto il dibattito-confronto sul tema: “NUOVE METODOLOGIE DI ALLENAMENTO APPLICATE ALL’ATTIVITA’ CALCISTICA DI BASE”. Il moderatore della serata è stato il noto giornalista Paolo Bargiggia.
Alla giornata hanno partecipato circa cento tra allenatori, responsabili tecnici e dirigenti di società. Questi si sono dimostrati particolarmente interessati sia alla parte pratica sia a quella teorica, molti infatti sono stati gli interventi sia sul campo sia in aula. Io oltre a preoccuparmi di esprimere il nostro lavoro al meglio mi sono interessato, soprattutto sul campo delle proposte dei colleghi. Ecco, prese dai miei appunti, le esercitazioni , secondo me più significative dei vari relatori.
10 novembre 2008
30 ottobre 2008
MIO FIGLIO DIRA' DI NO?
MIO FIOGLIO DIRA’ DI NO?
Caro Presidente della Repubblica Italiana GIORGIO NAPOLITANO
Sono un padre di famiglia, ho cinquant’anni e vivo a Milano. Come tutti i buon padri di famiglia di questa bella ITALIA non vedo l’ora che tutte le sere venga il momento della cena per ritrovarmi di fronte tutta la mia splendida famiglia. Siamo in quattro: io, mia moglie e i miei due splendidi figli (un maschio e una femmina). La “bimba”, per me lo rimarrà sempre, ha 25 anni fa l’università e ha quasi finito si sta specializzando in informatica. La sua voglia di far bene le si legge nei suoi bellissimi occhi verdi, che per fortuna sua ha preso dalla mia splendida consorte. È tranquilla, studia, aiuta la mamma nelle faccende di casa e si vive una bella storia d’amore con un suo coetaneo. Quando penso a lei sto tranquillo, sono sereno, sono sicuro che il suo futuro farà la gioia del suo papà. Poi c’è lui il mio giovane figlio maschio. Ha 16 anni, fa la terza liceo con buoni risultati e non perché è mio figlio (questa è una frase di mia madre quando parlava di me) ha una intelligenza brillante. Ha un’energia traboccante che mette in tutto ciò che fa! Caro Presidente in lui vedo la mia voglia di cambiare il mondo, la voglia di essere protagonista della vita di questa società.
Ieri sera mentre si stava cenando se ne esce, così come fanno i giovani senza prepararti senza introdurre l’argomento, con questa frase: “domani vado in centro a manifestare contro la riforma della scuola, vado a urlare che non ci sto!” Io e mia moglie ci siamo guardati in faccia e ci siamo trasmessi a vicenda un senso di preoccupazione. Signor presidente nostro figlio ha solo sedici anni e non conosce ancora la cattiveria della faziosità, la vigliaccheria della provocazione, vive tutte le cose che fa molto spontaneamente credendoci fino in fondo e Noi abbiamo il timore che lui possa entrare in qualche dinamica che qualche “provocatore pronto a tutto” abbia vigliaccamente già premeditato. Siamo preoccupati signor Presidente. Questa paura ci ha portati a consigliargli di starsene a casa o di andare a scuola a seguire le lezioni di quei professori che non hanno scioperato. Può ben immaginare la reazione di nostro figlio. Ci ha tacciati di reazionari (a me reazionario!), che siamo vecchi senza più speranze, senza più futuro e che lui sarebbe andato alla manifestazione con o senza il nostro permesso. Cosa rispondere? Da una parte mi sentivo offeso per tutti quegli improperi, dall’altra ero orgoglioso di avere un figlio che vuol dire la sua e che soprattutto vuol dire NO quando c’è qualcosa che non gli sta bene.
Mentre Le scrivo Lui sta manifestando ed io ho il cuore in subbuglio e quasi in gola. Scrivo e mi rivedo circa trent’anni fa: ero giovane, spensierato, mia moglie dice bello (mah?)e soprattutto pieno di ideali, progetti e speranze e anch’io manifestavo. Ricordo che in una manifestazione mentre urlavo slogan contro tutto e tutti si avvicinò a me un giovane con due “sampietrini” in mano e mi disse:”dai lanciane uno anche tu, tiriamolo addosso a quei pulotti fascisti!” Mi ricordo come se fosse oggi , lo guardai intensamente e sdegnato gli risposi:”NO IO NON LO FACCIO”.
Caro PRESIDENTE la domanda che faccio a lei e che non mi ha fatto dormire questa notte è la seguente:” Mio Figlio riuscirà a dire di NO?”
Con Rispetto un padre in apprensione
Caro Presidente della Repubblica Italiana GIORGIO NAPOLITANO
Sono un padre di famiglia, ho cinquant’anni e vivo a Milano. Come tutti i buon padri di famiglia di questa bella ITALIA non vedo l’ora che tutte le sere venga il momento della cena per ritrovarmi di fronte tutta la mia splendida famiglia. Siamo in quattro: io, mia moglie e i miei due splendidi figli (un maschio e una femmina). La “bimba”, per me lo rimarrà sempre, ha 25 anni fa l’università e ha quasi finito si sta specializzando in informatica. La sua voglia di far bene le si legge nei suoi bellissimi occhi verdi, che per fortuna sua ha preso dalla mia splendida consorte. È tranquilla, studia, aiuta la mamma nelle faccende di casa e si vive una bella storia d’amore con un suo coetaneo. Quando penso a lei sto tranquillo, sono sereno, sono sicuro che il suo futuro farà la gioia del suo papà. Poi c’è lui il mio giovane figlio maschio. Ha 16 anni, fa la terza liceo con buoni risultati e non perché è mio figlio (questa è una frase di mia madre quando parlava di me) ha una intelligenza brillante. Ha un’energia traboccante che mette in tutto ciò che fa! Caro Presidente in lui vedo la mia voglia di cambiare il mondo, la voglia di essere protagonista della vita di questa società.
Ieri sera mentre si stava cenando se ne esce, così come fanno i giovani senza prepararti senza introdurre l’argomento, con questa frase: “domani vado in centro a manifestare contro la riforma della scuola, vado a urlare che non ci sto!” Io e mia moglie ci siamo guardati in faccia e ci siamo trasmessi a vicenda un senso di preoccupazione. Signor presidente nostro figlio ha solo sedici anni e non conosce ancora la cattiveria della faziosità, la vigliaccheria della provocazione, vive tutte le cose che fa molto spontaneamente credendoci fino in fondo e Noi abbiamo il timore che lui possa entrare in qualche dinamica che qualche “provocatore pronto a tutto” abbia vigliaccamente già premeditato. Siamo preoccupati signor Presidente. Questa paura ci ha portati a consigliargli di starsene a casa o di andare a scuola a seguire le lezioni di quei professori che non hanno scioperato. Può ben immaginare la reazione di nostro figlio. Ci ha tacciati di reazionari (a me reazionario!), che siamo vecchi senza più speranze, senza più futuro e che lui sarebbe andato alla manifestazione con o senza il nostro permesso. Cosa rispondere? Da una parte mi sentivo offeso per tutti quegli improperi, dall’altra ero orgoglioso di avere un figlio che vuol dire la sua e che soprattutto vuol dire NO quando c’è qualcosa che non gli sta bene.
Mentre Le scrivo Lui sta manifestando ed io ho il cuore in subbuglio e quasi in gola. Scrivo e mi rivedo circa trent’anni fa: ero giovane, spensierato, mia moglie dice bello (mah?)e soprattutto pieno di ideali, progetti e speranze e anch’io manifestavo. Ricordo che in una manifestazione mentre urlavo slogan contro tutto e tutti si avvicinò a me un giovane con due “sampietrini” in mano e mi disse:”dai lanciane uno anche tu, tiriamolo addosso a quei pulotti fascisti!” Mi ricordo come se fosse oggi , lo guardai intensamente e sdegnato gli risposi:”NO IO NON LO FACCIO”.
Caro PRESIDENTE la domanda che faccio a lei e che non mi ha fatto dormire questa notte è la seguente:” Mio Figlio riuscirà a dire di NO?”
Con Rispetto un padre in apprensione
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