06 febbraio 2010

LUNEDI 08/02/2010 PRESENTAZIONE DEL TORNEO "AMICI DEI BAMBINI" CATEGORIA ESORDIENTI ORGANIZZATO DALL'A.S. ALDINI BARIVIERA

Si terra' lunedi' prossimo allEnterprise Hotel di Milano la presentazione del 6° Trofeo 'Amici dei Bambini'. E' un torneo ... (continua)
Si terrà lunedì prossimo allEnterprise Hotel di Milano la presentazione del 6° Trofeo 'Amici dei Bambini'. E' un torneo riservato alla categoria Esordienti (classe '97), organizzato dalla società Aldini Bariviera con il supporto di Regione, Provincia, Comune e Zona 8. Il popolare torneo si disputerà dal 7 aprile al 27 maggio al centro sportivo di via Orsini.
Nel corso della serata, presentata da Ivan Zazzaroni e Andrea Perroni con la collaborazione di Max Cavallaro, saranno premiati tecnici, giocatori e addetti ai lavori:
-premio comitato anno 2009 : a Giuseppe Marotta (Sampdoria), Pierluigi Casiraghi (Figc), Maurizio Beretta (Lega Calcio)
-premio dirigente sportivo dell'anno:
a Pantaleo Corvino (Fiorentina)
-premio allenatore dell'anno:
Josè Mourinho - ritira Beppe Baresi ( Inter)
-premio giocatore dell'anno:
a Sergio Pellissier (Chievo), Diego Milito (Inter), Andrea Pirlo e Marco Borriello (Milan)
premio responsabile sett. giov. Professionisti dell'anno: Filippo Galli (Milan), Massimo Carrera (Juve)
-premio allenatore sett. giov. prof. dell'anno:
Giovanni Stroppa - ritira Filippo Galli (Milan), Giuliano Rusca (Inter)
-premio responsabile sett. giov. dilettanti dell'anno:
a Davide Gatti (Lombardia Uno)
-premio allenatore dilettanti dell'anno:
Benoit Cauet (Accademia Inter)
-premio giornalista dell'anno:
a Fabio Guadagnini (Sky Sport)
L'incasso del torneo sarà devoluto all'Associazione Amici dei Bambini (Ai.Bi.) per il progetto 'Bambini al Centro', che dal 2007 si occupa in Congo del sostegno all'infanzia abbandonata.

02 gennaio 2010

IL BOMBER LUCA

IL BOMBER
“Ad ogni costo cerca tal volta di isolarti,
saluta te stesso; cerca che cosa cela l’anima tua;
abbi il coraggio di guardare nel tuo petto poiché t’appartiene
Ed agita quello che ci trovi dentro.” G.Herbert
Mi piace questa poesia perché all’attenzione che devi porre a te stesso all’osservazione dei tuoi sentimenti e delle tue sensazioni devi contrapporre la necessità di agitare i tuoi pensieri, quindi non una contemplazione passiva ma la preparazione per la ribellione a tutto quello che ti sta intorno e non puoi accettare.
Era sempre così prima di una partita importante cercavo nelle pagine dei libri più disparati, frasi o aforismi o addirittura Poesie per rilassarmi, per riflettere e nello stesso tempo per fare discorsi di preparazione psicologica alla squadra prima della partita. Quel giorno avevo trovato la poesia di Herbert, l’avrei ripetuta prima della partita e avrei insistito sul fatto che bisognava essere attivi mentalmente e sempre alla ricerca del proprio destino. Potevamo vincere e dovevamo mettercela tutta per farlo. Si questa poesia andava proprio bene l’avrei letta nello spogliatoio e avrei cercato di orientare il pensiero dei miei allievi verso il sé e li avrei stimolati a dare il meglio.
Erano le sette del mattino, era l’ora dell’appuntamento in piazzale Lotto a Milano, quando si andava in trasferta ci si trovava li. Una voce mi destò da tanta profondità e mi riportò alla realtà: “Mister la squadra è al completo, manca solo Luca” era Angelo il mio accompagnatore. Luca abitava proprio nei pressi del luogo della partenza e, teoricamente, avrebbe dovuto aggregarsi alla comitiva in anticipo, ma, praticamente come era sua solita abitudine, arrivava sempre per ultimo. Attendemmo un buon quarto d’ora, poi constatando che l’attesa si faceva troppo lunga, andammo direttamente a casa sua; e meraviglia delle meraviglie lo trovammo ancora a letto. La madre rispose al citofono( Luca abitava in un palazzone di venti piani), e mi disse che il figlio non era in condizioni di giocare perché, durante la notte, probabilmente mentre sognava di partecipare ad una partita di calcio, aveva sferrato un calcio allo spigolo del comodino per cui ora, aveva il piede gonfio e non riusciva a camminare. Conoscevo bene Luca aveva una passione per il calcio infinita ed in campo era uno che non mollava mai e mi sembrava strano che una botta al piede lo avesse fermato. Non potevo crederci e insistetti con la madre e le dissi se era possibile parlare con Luca. La risposta fu scortese e piena di rabbia: mi disse di andare al diavolo e che dovevo finirla di rompere con questo CALCIO e che lei ne aveva piene le scatole di lavare e stirare tute magliette e calzoncini. Basta non ne voleva più sapere e Luca avrebbe smesso di giocare e che lei non l’avrebbe più mandato. Mentre la mamma parlava sentimmo aprirsi il portone del palazzo era lui Luca che guardandoci negli occhi sia a me sia al mio accompagnatore ci disse: “andiamo io sono pronto, mia madre può dire quello che vuole questo torneo lo dobbiamo vincere e io devo giocare e, e poi si vedrà…”. Il mio accompagnatore di allora, Angelo T., sentite le parole di Luca e conoscendomi bene, si mise immediatamente in movimento, con un pennarello nero segnò una P, che voleva dire presente, di fianco al nome di Luca, sulla lista dei partenti, e finalmente con tutti sul pulman partimmo alla volta di Cremona. La partita era di quelle definite importanti: si trattava di una finale di un torneo, alla quale la nostra compagine di Esordienti si era qualificata dopo sofferte eliminatorie. Volevamo preparare bene la partita e per questo motivo eravamo partiti molto presto, avremmo giocato nel pomeriggio e precisamente alle 14.30. Avremmo pranzato al sacco con panini e acqua minerale, il tutto preparato la sera prima dal massaggiatore Walter. Walter era un omone di centoventi chili di bontà. Voleva bene ai ragazzi della squadra come se fossero stati tutti suoi figli. Li trattava bene e parlava molto con loro ma non con parole direttive, lui dialogava con loro con parole affettuose perché lui diceva sempre: “i bambini non crescono come le piante che basta dare a loro acqua e sole. I bambini hanno bisogno di domande che scaldino il cuore!” Lui parlava delle loro ideazioni, delle loro congetture sul mondo e delle loro scoperte che facevano di sè e del mondo stesso. Era un vero confidente e i ragazzi lo adoravano. Il pulman che ci avrebbe portato a Cremona era dell’impresa di trasporti “Firobeton”, era un vecchio autobus. Tutte le volte che lo vedevo i miei pensieri diventavano ricordi… il suono del suo claxson che accompagnava i miei primi giorni di scuola, quando con mamma andavo a raggiungere lo scuola bus lungo la statale del Sempione…a bordo c’era solo l’autista, e il vecchio autobus camminava lento e stanco, costringendo le automobili alle sue spalle a mettersi in coda…. ad andare piano, senza fretta. Sembrava che un po’ si divertisse ad indispettire le sue giovani colleghe…in quel momento immaginavo quante strade avesse percorso questo vecchio mezzo da museo, quanto catrame avesse calpestato, a quanti appuntamenti avesse accompagnato… quante ansie, speranze, segreti, paure, pensieri, ricordi, passioni, sogni, dubbi, sguardi, parole, saluti veloci, insulti gratuiti, gesti prepotenti… avesse trasportato!In quel vecchio autobus… quanti frammenti di vita! Questo residuo di guerra, messoci cortesemente a disposizione dalla giunta comunale, ci avrebbe comunque, sicuramente, lentamente ed inesorabilmente portati alla meta.
Alla guida del mezzo c’era il mitico autista Luigi detto il: “PRINCIPE”! Il soprannome evidenziava in modo netto ed inequivocabile il modo di fare del nostro autista. Luigi si presentava sempre con la divisa. Una livrea blu di altri tempi, con tanto di cappello e con il logo dell’azienda ricamato sul taschino della giacca. Come se non bastasse Luigi aveva una parlata ricercata e forbita a tal punto da renderlo una macchietta alla “mercè” di quei banditi che componevano la squadra. Allora non c’erano Navigatori Satellitari o Tom-Tom e le destinazioni dovevi trovartele da solo sulle cartine stradali, oppure dovevi avere una esperienza ventennale come quella del “principe”. Anche quella mattina tra un: “accidempoli” e un: “caspiterina” le uniche imprecazioni che si concedeva il Principe, dopo due ore e mezza di viaggio Luigi ci portò a destinazione. Erano le nove ed eravamo già li al centro sportivo della Cremonese. Era una bella giornata di Maggio con un bel sole caldo e con una brezza che rinfrescava le membra, una giornata ideale per giocare a calcio. Il morale era alto e la “truppa” era unita come non mai. Quello era un gruppo vincente un gruppo così ben coeso che non c’era componente della squadra che non parlasse bene del proprio compagno dentro e fuori dal campo. Ogni tanto ti capita nella carriera di allenatore di campionati giovanili, di avere –tra le mani- una squadra che vinca tutte le partite, sommergendo di gol ogni avversario. Questo era quello che stava facendo la formazione degli Esordienti Provinciali che seguivo quell’anno sportivo, i risultati avevano dell'incredibile: i miei ragazzi, tutti classe 1975, avevano vinto 17 partite su 17 in campionato, realizzando la bellezza di 110 gol ma soprattutto non subendone neanche uno, contro squadre di pari età del milanese.Si parlava si scherzava e si prendeva in giro, con delle imitazioni, il Principe. Facemmo una bella camminata e trovammo non tanto lontano da lì un posto per consumare il nostro lauto pranzo. Mangiammo e poi via con un’altra passeggiata. Così ridendo e scherzando si fecero le 13.00 ed era ora di preparare la partita. Riunii i ragazzi sotto un bel platano e iniziai a parlare dell’incontro che da li a poco ci avrebbe visti protagonisti. Il mio modo di preparare la partita di solito era questo: prima di essa dicevo sempre che volevo la vittoria, se la squadra avversaria invece era proprio più forte dicevo che potevamo vincere, mentre nell'intervallo vedevo un pò come era andata, e a seconda del risultato partivo o con una bella ramanzina oppure esortavo a continuare verso la strada intrapresa, infatti spesso era capitato di chiudere il 1° tempo sotto di un gol con delle prestazioni individuali scandalose e dopo il mio predicozzo vincere la partita. Ma quel giorno volevo far parlare loro e precisamente volevo far parlare Luca. E Luca non si fece pregare, parlò e disse questo: “ragazzi probabilmente questa sarà la mia ultima partita, mia madre me lo ha promesso non mi manderà più, ed io voglio chiudere in bellezza!(tutti ascoltavano con attenzione) Da solo però so di non potercela fare quindi o voi tutti mi date una mano per portare a casa questo trofeo oppure vi farò passare mezza giornata chiusi sull’autobus con mia madre che urla e il principe che impreca in quel modo che conoscete! Non so se mi spiego!” Tutti risero ma subito dopo iniziarono ad urlare che avrebbero vinto per lui che avrebbero portato a casa il trofeo e glielo avrebbero regalato. Ad un certo punto Luca si lanciò su di loro con un tuffo e i suoi compagni lo afferrarono al volo abbracciandolo tutti insieme. Il gruppo c’era e come se c’era!
Tornammo al centro sportivo ed entrammo negli spogliatoi. Alle 14.30 precise iniziò la partita!
La partita fu equilibrata fin dalle prime battute. Ci tenemmo testa soprattutto sul fronte difensivo: molte respinte e tackle, poche corse sulle fasce e poche occasioni guadagnate; il 1° tempo infatti si concluse sullo 0 a 0. Il risultato si sbloccò, a nostro favore, dopo 1 minuto e 30 secondi dall’inizio del 2° tempo, quando Luca, dopo un uno due sulla linea del limite dell’area avversaria, fece finta di fare un passaggio corto e approfittò di un varco della difesa s’ infilò tra due avversari e calciando in porta fece gol e portò in vantaggio la nostra squadra. A questo punto gli avversari decisero di provare a giocare su azioni manovrate ma i loro passaggi erano lenti ed imprecisi e su un passaggio errato Franco fece partire un contropiede che permise a Luca di raddoppiare eravamo sul 2 a 0. Così a pochi minuti dalla fine vincevamo ed eravamo padroni del campo. Fu proprio in quel momento, a un minuto dalla fine che l’arbitro decretò per gli avversari un rigore inesistente. Tiro del nove avversario gol: 2 a 1. Mancavano una manciata di secondi e tutto era stato messo in discussione. Ma della serie: “i più forti siamo noi” la squadra reagì e si impose con un’azione da manuale e realizzò sullo scadere del tempo, con il solito Luca, il 3 a 1. Partita finita e vinta!Successivamente fu un tripudio, tutti a saltare a urlare a rincorrersi per il campo ed il sottoscritto fu sottoposto ad un mega gavettone che mi rovinò l’abito nuovo comprato per l’occasione.Vincemmo e presi dall’euforia della vittoria, prima di partire festeggiammo in un bar il nostro “alloro” con vino bianco e fette di salame grosse quanto una mattonella.Partimmo, i canti e le urla accompagnavano il nostro cammino. Io ero seduto davanti e mi gustavo tutto lo spettacolo dallo specchietto retrovisore. Ad un certo punto, dopo Pandino, notammo che le strisce laterali, che segnalavano la carreggiata della strada, scorrevano quasi al centro del nostro automezzo, addirittura sulla sinistra; urlammo i nostri timori tanto che il Principe fece un cenno con la mano per rassicurare tutti: “la situazione è sotto il mio personale controllo” disse urlando. Io comunque per precauzione feci fermare il pulman! Scese anche il Principe il quale alle nostre vibrate rimostranze, disse testualmente: “Quando la curva è lunga bisogna prenderla larga e abbordata, saluti fascisti ed a noi”. Era ubriaco ciuco tradito e se non fosse stato per la sua età lo avremmo preso a calci nel sedere per quel saluto a braccio disteso e soprattutto per la paura che ci aveva fatto prendere. Invece l’Angelo tirò fuori il termos del caffè e gli fece bere due bicchieri di un quarto l’uno del suo caffè nerissimo.A malincuore, dopo una mezz’ora, riprendemmo la corsa. Ad un certo punto il pulman sbandò tutto sulla sinistra andando a finire su una cunetta e a malapena il mezzo non si ribaltò. Fortuna volle che non uscisse nessuno sulla destra ove c’era una stradina di campagna altrimenti sarebbe successo un disastro. Ci furono attimi di panico seguiti da un silenzio assoluto, poi si udì un grido: “Mi Che puzza Alberto, cagato ti sei?!”. Era Michele Asara che chiedeva “notizie” del fratello. A stento trattenemmo le risa e riprendemmo i festeggiamenti scendendo velocemente dall’autobus.Nel frattempo Antonio, il segretario della società, preoccupato per il ritardo, ci mandò incontro due autovetture.Tutto finì per il meglio. Per un attimo, solo per un attimo vennero sospesi i festeggiamenti previsti per la vittoria, ma poi ripresero più chiassosi di prima e il grido che andava per la maggiore era: “GLI INVINCIBILI SIAMO NOI MA CHI…SIETE VOI!” noblesse oblige!
Arrivati a Milano presi Luca in disparte e gli parlai. Gli dissi che avrei cercato di convincere sua madre a continuare a mandarlo a calcio ma nello stesso tempo lui avrebbe dovuto ascoltarla e accettare le sue decisioni. Lui abbassando la testa mi disse che lui senza calcio non riusciva a rimanerci e iniziò a piangere e con le lacrime che scendevano copiosamente dal suo viso e con la voce rotta dal pianto mi disse che anche suo padre, se fosse stato ancora vivo, avrebbe voluto che lui continuasse a giocare a calcio. Il papà di Luca era deceduto tre anni prima dopo una lunga e penosa malattia ed era stato lui ad iniziare al gioco del calcio Luca. Lo guardavo commosso e mi venne spontaneo: lo strinsi a me cercando di rincuorare quel piccolo cuore spezzato. Riportai Luca a casa e la mamma nel vederlo con il trofeo tra le mani si sciolse in un pianto liberatorio, Luca corse ad abbracciarla ed insieme salutandomi con la mano si diressero verso il portone di casa. Li guardavo e qualcosa si era agitato dentro di me forse era ciò che celava la mia anima?
Luca sta giocando da professionista in una squadra da più di dieci anni e per me è stato e sarà sempre il “BOMBER” .

01 gennaio 2010

BUON ANNO 2010

ANDIAMO AVANTI!
Con orgoglio.
Sempre a testa alta.
Con umiltà e altruismo.
Mai ripiegati su noi stessi.
Sempre convinti di poter dare e fare di più.
Figli e padri di una passione che nessuno potrà mai fermare, che tutti può coinvolgere, che a tutto può portare.

23 dicembre 2009

TORNEO A RUVO DI PUGLIA


I PULCINI DELL'INTER 99 VINCONO A RUVO DI PUGLIA

L'INTER SI AGGIUDICA IL "TURENUM WINTER" 2009!22 Dicembre 2009
Grande successo per il Torneo Turenum Winter 2009 riservato alla categoria pulcini 1999 che si è tenuto presso lo stadio Comunale di Ruvo di Puglia sede tecnia dell'Accademia Bari Point. "Il sogno che avanza...", il nuovo motto del presidente Flora Mannarini, che con la sua vitalità ha reso possibile un evento che ha catapultato l'attenzione di sette realtà professionistiche nello stadio di Ruvo.
L'Accademia Bari Point con le dirette streaming dell'intera manifestazione ha unito e collegato l'intera nazione, "sintonizzata" sul portale http://www.accademiabaripoint.it/ per seguire in streaming l'evento.
Dopo 24 partite molto interessanti dal punto di vista calcistico l'Inter è risultata la vincitrice del trofeo "Turenum winter" 2009! Vittoria meritata per la squadra nerazzurra di Mister Giuliano Rusca, che di gara in gara ha sempre confermato la propria ottima preparazione. Le ultime reti di tutto il torneo sono di Zerbin e Soresina che decidono il punteggio finale del match con il Padova, e quindi, la classifica definitiva: Inter dinnanzi ad Atalanta, Roma, Padova, Sampdoria, Cesena, Accademia Bari Point e Bari.
Nel corso della cerimonia conclusiva, oltre ai ringraziamenti e alle premiazioni di rito, premio speciale per Roberto Muzzi, che con la sua umiltà ha saputo rimettersi in gioco partendo dalla categoria pulcini in qualità di Educatore-Allenatore!
Grande esperienza di gioco e di vita, che, aldilà dei risultati, lascerà un ricordo bello come pochi in tutti coloro i quali hanno avuto l'opportunità di viverla, dai dirigenti delle società, ai giovani atleti.
Un grosso in bocca al lupo per il futuro a tutte le squadre partecipanti a questa importante manifestazione e un plauso speciale alla vincitrice del torneo! manifestazione e un plauso speciale alla vincitrice del torneo!
Uff. Stampa Accademia Bari Point

10 dicembre 2009

LA NOSTRA PIU' GRANDE PAURA

Settembre 13, 2007 in Mandela, libertà, paure
La nostra paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda,
è di essere potenti oltre ogni limite.
E’ la nostra luce, non la nostra ombra,
a spaventarci di più.
Ci domandiamo: ” Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? “
In realtà chi sei tu per NON esserlo?
Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo,
non serve al mondo.
Non c’è nulla di illuminato
nello sminuire se stessi cosicchè gli altri
non si sentano insicuri intorno a noi.
Siamo tutti nati per risplendere,
come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria di Dio che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.
Nelson Mandela

08 dicembre 2009

LA SQUADRA DELL'ORATORIO

LA SQUADRA DELL’ORATORIO
BARBAJANNA è sempre stata una fucina di buoni calciatori. Purtroppo, non essendo comune, (Barbajanna è una frazione nel comune di Leinà), per molte gare non godeva di certe “agevolazioni” soprattutto durante le competizioni eliminatorie che preludevano alle finali in campo provinciale. Noi si doveva fare le qualificazioni delle qualificazione per poter poi partecipare al torneo di qualificazione al torneo vero(non era giusto si diceva nello spogliatoio). In quegli anni, siamo nei favolosi anni sessanta, eravamo infatti costretti ad imporci sui numerosi e forti atleti di Leinà prima di passare a qualsiasi torneo locale. La nostra era una sparuta squadra, quattordici elementi di dieci e undici anni, tutti con un’unica passione il gioco del calcio. Eravamo la mitica squadra dell’oratorio, un gruppo di scalmanati giovinastri che colpiva tutto ciò che si muoveva e rotolava all’interno del campo di gioco. Per molto tempo dell’anno, avendo l’Angelo Danelli il contadino padrone del campo da calcio, seminato a granturco il campo stesso, eravamo costretti a svolgere i nostri allenamenti nel cortile adiacente alla chiesa, dove ogni scivolata sul terreno di gioco ci procurava ustioni di secondo e terzo grado. Ci allenavamo con la presenza di un commissario (nel vero senso della parola) , l’Argia (il nostro allenatore) era un commissario delle ferrovie dello stato, che ci spronava con parole gentili del tipo: “siete delle rape e cavar sangue da voi è impossibile!Bestie da soma, non valete niente!” per cui le nostre prestazioni sollecitate da così tanto acume psicologico a volte ne risentivano. Ma bastava sentire l’odore delle maglie sudate e il rumore dei tacchetti con i chiodi sul terreno da gioco per scatenarci e iniziar a menar calci a destra e a sinistra! Ci temevano tutti. Vincevamo quasi tutte le partite il nostro motto era: “Si vince con le buone o con le cattive altrimenti non si vive”. Solo L’Argia, a volte, faceva sì che, utilizzando trucchi da vero MAGO riusciva a farci perdere,e in quei frangenti negli spogliatoi volavano parole di fuoco sull’Argia e su quella santa donna che se l’era sposato.Non avevamo attrezzature e molto spesso dovevamo… arrangiarci, rubando (mi vergogno a dirlo ma lo facevamo) letteralmente palloni, magliette e pantaloncini nei campi ove svolgevamo le partite.Ricordo il… “furto” capolavoro di un pallone di cuoio, perpetrato nel Campo Comunale di Leinà.Il nostro compagno portiere, detto “il portinaio” per le numerose uscite a vuoto e per l’eleganza con cui subiva certe reti, sembrava facesse passare il pallone quasi con un ossequioso inchino si chiamava Rocco. Durante il riscaldamento, tra una sigaretta e l’altra, si fumava lui diceva che lo rilassava e lo riscaldava, calciò volutamente l’attrezzo al di là del muro di cinta del campo. Li attendeva Angelino, detto Arsenio per la sua capacità di rapinare in area di rigore tempo e spazio agli avversari, qualità che riusciva a trasportare anche nella sua vita di tutti i giorni. Questo rapido centrocampista di quantità, raccattava furtivamente il pallone e fuggiva come un fulmine verso la macchina dell’ignaro Argia, che impegnato nello studio di tattiche perdenti si ritrovava complice di un furto. Di solito “Arsenio” nascondeva nel portabagagli il pallone rubato e precisamente nella reticella portaoggetti e poi tornava a riscaldarsi con noi. Non essendo degli stupidi i dirigenti del Leinà si accorsero della nostra bravata e comprendendo il nostro vero intento, invece di farci punire dal nostro allenatore “commissario”, ci fornirono di attrezzature, il che ci consentì di svolgere la nostra attività per parecchio tempo senza pensare AD ALTRI piani di rifornimento furtivo.
Eravamo dei veri balordi e a questo proposito non posso esimermi dal raccontare un episodio che allora fece epoca, e fece parlare la popolazione dell’intero comune per mesi e mesi sull’argomento: “gioventù bruciata-non ci sono più i giovani di una volta” (frase sempre in bocca a tutti i ben pensanti).Recatici a Rodo per le finali del Torneo degli Oratori, faceva parte della comitiva anche un ragazzo dal nome: Paolone, che vista la sua stazza, la sua mole e la sua proverbiale cattiveria faceva la punta di sfondamento. Si trattava di una “massacratore” di centromediani avversari. Lui non li dribblava i difensori lui li abbatteva passandoci sopra. Con loro non aveva semplici contrasti aveva degli scontri dirompenti. La sua testa era il terminale di un’arma impropria. Una volta diede una testata ad un palo e noi corremmo tutti a sincerarci che IL PALO non fosse stato danneggiato seriamente e si potesse continuare a giocare, Lui non la prese bene questa nostra spiritosaggine e nello spogliatoio ce lo dimostrò prendendoci a frustate con l’asciugamano bagnato, fu terribile. Quel giorno, negli spogliatoi, così, tanto per divertirci, vista l’importanza della partita, incitavamo il nostro compagno a fare di più e meglio ad ogni sua “cortesia”sull’avversario. E quel giorno caricato per bene, Paolone in campo ce la mise tutta rifilando botte da orbi a tutto ciò che gli passava nelle vicinanze. Così verso la metà del secondo tempo, dopo l’ennesimo tentativo di tranciare la tibia del diretto malcapitato avversario, l’arbitro decise di mandarlo fuori, esibendogli sotto il naso il cartellino rosso. Il Paolone non ci vide più e fece vedere a tutti di che era capace. Alla vista del cartellino rosso si trasformò in una bestia e iniziò un irresistibile “sprint”, lasciando di stucco tutti gli altri giocatori, condusse una volata feroce, urlando come una belva ferita, verso la porta avversaria e giungendo li a velocità straordinaria si aggrappò alla rete e iniziò a strapparla con un impeto selvaggio. Dopo aver divelto la rete dai ganci della porta corse di nuovo, questa volta verso il centro del campo, con la rete tra le mani. Si stava dirigendo verso il povero arbitro, che atterrito era immobilizzato anzi direi pietrificato e guardava con rassegnata preoccupazione tutta la scena. Quando il Paolone raggiunse l’arbitro lo avvolse nella rete e buttandolo per terra lo trascinò per una decina di metri. Mancavano i leoni e poi si poteva dire di essere in una arena romana in presenza di gladiatori e vittime da sacrificare. Un vero disastro! Ad un certo punto, a fatica, il Paolone venne da noi immobilizzato e portato fuori dal campo a forza. Lo sforzo fu sovrumano: dovemmo trattenerlo e legarlo con la stessa rete con la quale aveva avvolto l’arbitro e con degli schiaffi in pieno viso cercammo di farlo rinvenire da quella transagonistica bestiale. Nello stesso tempo alcuni di noi dovettero anche tenere sotto controllo l’Argia perché cercava il Paolone e se lo avesse preso lo avrebbe massacrato di botte! Un vero delirio! Ad un tratto la scena mutò: sul campo arrivarono i vari genitori delle squadre presenti al torneo, i quali affermarono che non si poteva accettare tale gesto di maleducazione e di violenza inaudita (bè non avevano tutti i torti): “serviva una punizione esemplare, i giovani vanno educati!” (altra frase conosciuta) così disse uno di loro e così fu!Ci fu la squalifica e la radiazione della nostra squadra da tutti i tornei oratoriani del circondario. Fu squalificato anche l’Argia, considerato a torto, secondo me, responsabile di aver messo su una squadra di delinquenti e di non saperli controllare. A noi parve subito chiaro che il mondo ci stava facendo una (delle tante)grandissima ingiustizia… così, per rivalsa, il giorno dopo la sentenza, comunicata al nostro Don Luigi da un certo Don Lamberto, responsabile dello sport della curia, andammo subito a rubare le bandierine del campo sportivo di Rodo.La nostra squadra, per qualche tempo, dovette subire gli strali, le ingiurie e anche le maledizioni delle altre compagini che ci additarono come picchiatori e scarponi(noi sinceramente ne andavamo fieri). Ma tutto questo non ci demoralizzò noi continuammo per lungo tempo, anche senza svolgere partite ufficiali, ad allenarci e tirare calci in quel cortile sterrato vicino alla chiesa e a procurarci ferite ed abrasioni che con il tempo avremmo restituito ai giocatori delle squadre avversarie.

30 novembre 2009

MARUT

MARUT
Ha undici anni Marut – occhi grandi, denti bianchi, sorriso splendido – ha vissuto e visto tante cose, che potrebbe scrivere un bel libro di memorie. Marut è rumeno di etnia rom, e ha trascorso metà della sua vita sulla strada. Ha dormito in un furgone, in una baracca, all’aria aperta. Ha mendicato con i genitori in Spagna e in Italia, in Francia e in Portogallo. Ha visto distruggere la sua baracca, è stato aggredito dalla polizia italiana, spagnola, francese e portoghese. Ha sentito, da sotto una coperta, come suo padre veniva picchiato per aver difeso lui e la sua famiglia, ha visto soffrire dei bambini perché non avevano le medicine, ha conosciuto la paura degli zingari quando il loro accampamento è stato dato alle fiamme. Ma Marut ha resistito. E ha ora, finalmente, trovato in questo campo nomadi quella tranquillità che lo ha portato a desiderare di fare il calciatore e io vorrei raccontarvela! Eccola:
Marut, il figlio maggiore di una famiglia Rom numerosa, che con mamma Maryam e papà Mohamed vive nella piazzolla di sosta di una zona attrezzata per Zingari, di una città, che per questioni di privacy non citerò, vicino a Milano, sogna di diventare un campione di calcio. Il ragazzo, oggi 11enne, vive nel “Villaggio” con altri Bambini e giocano a calcio tutto il giorno, quando Marut non è obbligato, dai suoi genitori, ad andare a scuola. Fin da quando aveva appena 6 anni, a differenza della maggior parte dei bambini della sua età che fanno ben altro e non per colpa loro! Mourad non desidera diventare un uomo libero da tutto e da tutti come suo padre (che non si sa bene che cosa faccia), lui vuole fare il calciatore. Il calcio non è semplicemente un divertimento, ma una vera passione e la sua professione da sogno.
Marut e i suoi amici hanno formato addirittura due squadre, che prendono il nome di due famose formazioni calcistiche della terra d’origine della sua famiglia: la Romania. Una l’hanno chiamata Dinamo e l’altra Steaua. Si sono fatti anche le maglie una, quella che indossa Marut è della Dinamo, ed è completamente rossa , l’altra, dello Steaua, è di colore bleu e rossa. Lui indossando quella della Dinamo mostra chiaramente la sua preferenza e denota la sua appartenenza alla rispettiva squadra . Il ragazzo ripete spesso: “Giochiamo tutti i giorni a pallone e noi della Dinamo vinciamo sempre!” così racconta con entusiasmo, mentre parla del suo argomento preferito.
Marut sogna di poter diventare un giorno proprio come Marius Niculae, il capitano dell’originale squadra: Dinamo di Bucaresti. “Niculae è bravissimo, un vero goleador!” sostiene il ragazzo “Segna sempre tanti gol, la squadra vince sempre(?) proprio grazie a lui!”.
Marut, che ora frequenta la prima media nella scuola dove insegno, racconta dei suoi allenamenti giornalieri per migliorare le sue capacità e rinforzare i suoi muscoli. Il ragazzo è noto fra gli amici del “villaggio” per essere un ottimo giocatore di calcio e quando è in “casa”(roulotte) non si perde alcuna trasmissione calcistica in televisione (hanno la parabolica e vedono tutti i canali satellitari). Rimane incollato allo schermo quando c’è una partita, specialmente se gioca la sua squadra preferita. In un colloquio a scuola ho conosciuto la madre e lei mi raccontato della passione di Marut con un sorriso: “Marut è bravo bambino, lui ha solo difetto del pallone. Lui gioca tuto giorno con pallone. Lui gioca con altri bambini con pallone fatto di pezza e legato con sacchetti di spesa”. Pallone fatto di pezza e legato con i sacchetti di plastica? Sono incuriosito e il giorno successivo chiedo a Marut di farmi vedere il pallone con il quale gioca con i propri amici e lui il giorno seguente me lo porta a scuola e me lo fa proprio vedere. Io cerco di prenderglielo dalle mani e lui non lo molla neppure un secondo, lo tiene stretto tra le sue mani e ripete continuamente: “bello, bello eh prof? è proprio bello!” Ha ragione è fantastico è un oggetto misto di plastica e pezza, grosso come un pallone numero quattro. Penso che non rimbalzi visto da cosa è composto, ma la cosa bella è che tutto colorato e pieno di nodi. Altro particolare: emana una puzza di cavoli marci stomachevole, è inavvicinabile!
Sul piano internazionale, Marut ammira anche Kaka, l’atleta brasiliano che al momento gioca per la squadra di calcio del Real Madrid (con la maglia numero 8). “Mi piacerebbe diventare come Niculae o come Kaka e ce la metterò tutta per realizzare il mio sogno!” conclude con un sorriso il ragazzo.
L’altro giorno sono andato al suo “villaggio” e gli ho portato un paio di palloni di cuoio nuovi fiammanti. Tutti i bambini mi hanno fatto festa hanno preso i palloni e li guardavano con ammirazione e se li passavano l’un l’altro come se fossero preziosi. Quando ho chiesto loro di fare una partita hanno messo da parte i bei palloni hanno tirato fuori la loro palla di –stoffacelofanata- e via a giocare. Che bello vedere quei bambini scalzi correre dietro a quel pezzo di stoffa tutto pieno di riflessi colorati.
Vai Marut il primo campione di pallacelofanata!
* Il nome del bambino è stato cambiato per proteggere la sua privacy.

24 novembre 2009

I GEMELLI

I GEMELLI DEL CIAPA’ GOL

Ve li ricordate i “gemelli del gol”: Francesco Graziani e Paolino Pulici.
Li chiamavano così ai tempi del Torino di Gigi Radice perché segnavano gol a raffica e, in campo, la loro intesa era straordinaria. Sono passati alla storia dell’Italcalcio proprio come i “gemelli del gol”:
per la sintonia perfetta anche nell’esecuzione dei movimenti in fase offensiva e gol a grappoli... Paolino e Ciccio fecero grande il Torino, che riassaporò lo scudetto al termine della stagione 1975/’76 rinverdendo i fasti della grande squadra granata perita a Superga. Ma Graziani e Pulici parenti non sono. Quindi sono
gemelli solo in campo. Gemelli in campo e nella vita, invece, lo sono Antonio e Mario, nati a Milano un giorno di febbraio del 1981, più di due lustri dopo la stagione d’oro della coppia granata.
Ma chi sono Antonio e Mario? Rispondo subito al quesito:
innanzitutto sono due grandi appassionati di calcio E TIFOSI DEL TORO. Due bambini che al tempo, quando li conobbi, giocavano a calcio dalla mattina alla sera. Tiravano calci a tutto ciò che si muoveva e rotolava e quello che non si muoveva e non rotolava lo muovevano loro e lo facevano rotolare con dei calci. Giocavano a calcio per strada e ritornavano a casa sempre con le ginocchia sbucciate.
Sono cresciuti calcisticamente nell’oratorio di Cernusco sul Naviglio e, giunti ad un bivio, dove da una parte c’era lo studio e dall’altra il calcio(erano stati selezionati per la squadra che allenavo io nel 1991: l’A.C.Milan) hanno sorprendentemente scelto lo studio!
Insomma, per la sorpresa di tutti, hanno rinunciato ad una carriera da calciatori! I due invece di giocare in attacco, come la coppia famosa sopracitata, giocavano in difesa. Erano due difensori arcigni che giocavano nell’under 11 dell’A.C.Milan (almeno ci hanno giocato per due mesi). Io, allora, li avevo soprannominati: “I GEMELLI DEL CIAPA’ GOL”
Passati dieci anni, un bel giorno, sono in pizzeria in compagnia di mio figlio, e nel bel mezzo di una discussione che aveva come tema principale: “ma le punizioni di prima le calciava meglio Maradona o Roberto Baggio?” sento una mano che si appoggia sulla mia spalla destra e un voce che mi chiama: “Mister, Mister” mi giro e vedo di fronte a me due ragazzoni con una fisionomia quasi identica: i due gemelli! Li riconosco subito sono: Antonio e Mario. “Mister ci riconosce?” continuano loro. Ma certo che li riconosco, mi alzo e li abbraccio chiamandoli per nome. Siamo tutti e tre commossi sotto gli occhi di Davide che in realtà non ci ha, ancora, capito nulla. Glieli presento e li invito ad accomodarsi ed iniziamo a parlare. Chiedo loro come va? E se soprattutto giocano ancora a calcio e mi rispondono: risponde Antonio
“Viviamo il mondo del calcio come un divertimento, qualcosa che ci piace fare; gli allenamenti non li viviamo come un obbligo ma come una gioia, naturalmente quando non si corre e basta.
Quando non siamo impegnati con gli allenamenti o con le partite di campionato, proprio per via del nostro legame con questo sport, troviamo sempre il tempo per partecipare a vari tornei o per giocare al campetto con gli amici”. Era proprio quello che cercavo per Davide: una testimonianza di pura passione per questo sport. Davide ha quindici anni e gioca al calcio ma lo vive emotivamente in modo troppo intenso. Lo vedo quando è in campo è teso e nervoso e questo gli fa fare degli errori che non dovrebbe fare. È bravino se la cava ma questa maledetta emotività incontrollata LO RENDE INSICURO ed incerto nelle giocate anche in quelle più semplici. Ma la discussione continua e mi appassiona allora e faccio un’altra domanda:
Cosa vi ha insegnato il calcio?
Risponde Antonio
”Il calcio ci ha trasmesso anche molti valori come il rispetto delle persone, educazione nei confronti di chi ci stava attorno e correttezza verso i compagni. Il calcio se interpretato senza esasperazioni ma con il giusto spirito è una scuola di vita. Così dovrebbe essere per tutti i ragazzi. Lo sport in generale deve trasmettere valori positivi, deve essere una palestra importante per allenarsi alla
vita. Purtroppo però le esasperazioni sono dietro l’angolo come pure le eccessive aspettative di taluni genitori sono spesso troppo elevate e fonte di pressione eccessiva per i ragazzi che arrivano a non sopportare più determinate pressioni. Noi siamo stati fortunati: i nostri genitori sono appassionati, ci hanno sempre seguito e ci seguono, ma ci hanno anche assecondato in modo splendido nelle nostre scelte di optare ad un certo punto per lo studio riservando al calcio un ruolo prezioso, ma come passione e basta”. Manna che scende dal cielo! Continuo con le domande:
Chi vi ha trasmesso la passione per il calcio?
”Questa grande passione ci è stata trasmessa sicuramente da entrambi i nostri nonni, e anche da nostro papà che ha giocato per parecchi anni, ci ha anche allenati da
piccoli nella squadra dell’oratorio, dove abbiamo iniziato la nostra modesta carriera calcistica e ci ha seguito anche nelle trasferte più lontane, ci ha insegnato a giocare a calcio e tutto ciò che di bello può essere il calcio: è stato un vero maestro. Ora che ha qualche difficoltà a spostarsi ovunque, è ammalato e non può muoversi da casa è comunque sempre informatissimo e non ci fa mancare mai i
suoi consigli per le nostre prestazioni domenicali. Spesso sottolinea che ci alleniamo
poco per via dei nostri studi e sicuramente ha ragione, ma sa bene e ci comprende che abbiamo fatto un’importante scelta di vita e che alimentiamo la nostra passione nel migliore dei modi secondo alcuni principi significativi che ci siamo dati trovando un equo compromesso con noi stessi e con chi ci accetta come siamo”.
Che bravi ragazzi Antonio e Mario parlano e sorridono e trasmettono a me e a Davide quella serenità che forse ultimamente ci è venuta a mancare. Il rapporto che ci lega è fortissimo ma la conflittualità generazionale a volte mi porta a non comprendere quel senso di indipendenza che cova mio figlio in quei semplici atti di ribellione alle direttive che cerco di impartigli. Antonio e Mario stanno parlando con Davide come se lo conoscessero da anni e non da pochi minuti, queste generazioni hanno facilità nel comunicare e nel condividere esperienze e a proposito sento Davide che fa una domanda ai due gemelli:
Ma cosa vi ha insegnato veramente il calcio?
Risponde Mario:
“ sai Davide Il calcio, in campo e fuori ti fa incontrare molte persone che poi possono rivelarsi grandi amici. Il calcio a noi ha dato tante emozioni belle e brutte, quando si vince la felicità non ti fa pensare a nient’altro, quando si
perde invece si ha la possibilità di capire i propri errori, correggerli per poi arrivare a una vittoria ancora più bella di una casuale”. Mangiamo, parliamo, ricordiamo tempi passati e ridiamo molto ci divertiamo e io ogni tanto guardo negli occhi mio figlio e lo vedo sereno, rilassato e tranquillo. Sono contento di aver incontrato questi due ragazzi semplici, educati e solari, che coltivano serenamente la loro grande passione: giocare al calcio, collocata appunto a grande passione e basta. Razionalmente, ma
lucidamente e serenamente hanno optato per proseguire gli studi, hanno vissuto il
calcio, semplicemente e lo hanno inserito nella loro vita come volevano e dovevano.
L’importante nella vita e nello sport è, prima di tutto, coltivare una passione che è tale quando è soprattutto divertimento, con sacrificio, ma divertimento.
Si finisce la serata con lo scambio dei numeri di telefono quanto vorrei che Davide frequentasse e diventasse amico di Antonio e Mario i miei gemelli: DEL CIAPA’ GOL!

23 novembre 2009

LUCA ANTONINI

Sin da bambino è detto “il piccolo”, dal nome del protagonista di cartone animato in voga quel tempo. Il suo ruolo iniziale era quello di attaccante, ma col tempo ha cominciato a giocare nel ruolo di esterno di centrocampo. È dotato di buona tecnica, di fantasia e di un discreto tiro di destro; è anche abile nel fornire assist. Ma andiamo per gradi e partiamo dall’inizio quando ho conosciuto e selezionato Luca. Comincia a giocare a calcio a il San Giuliano Milanese, suo paese natio. Un giorno viene visto giocare sul campo in terra battuta della società San Giulianese e viene segnalato al capo degli osservatori (signor Zagatti) e il martedì successivo il “piccolo” mi viene portato sul campo di allenamento dal signor Trapanelli, l’allora factotum dell’attivvità di base dell’A.C.Milan, per essere visionato con una certa urgenza perché ci sono altre squadre intenzionate al piccolo! Il bambino ha dieci anni ed è veramente minuto è magro ma molto magro ed è alto un metro e una buca per non dire che è basso ma molto basso. Allora Luca aveva la stessa pettinatura, la stessa maglia, le stesse movenze che ha ora: se si tralasciava la struttura fisica diversa sembra che le sue sembianze siano le stesse di allora solo che ora il giocatore pesa quaranta chili in più ed è ottanta centimetri più grande. Dopo poche esercitazioni e una breve partitella il bambino dimostra unaTecnica individuale impressionante, visione di gioco rara a vedersi in un “pulcino”, Luca è un bambino sveglio e ansioso di dimostrarmi di essere bravo. Il calcio, si vede subito, è tutta la sua vita e già a dieci anni dimostra di saperci fare, in quella prova fa sfracelli, dribbla gli avversari come birilli fa gol di testa, di piede e ricordo benissimo ne fa uno anche di piede: è bravissimo! Allora mi stacco dall’allenamento per andare a chiamare Trapanelli al quale comunico che il ragazzino va “preso subito”. Il signor Trapanelli mi sorride e mi dice: “Mister ne ha parlato con Lui?” Rispondo che vorrei parlare con suo padre più che con lui. Il sorriso del signor Trapanelli persiste e mi fa preoccupare, comunque decido di seguire il suo consiglio e vado a parlare con il bimbo. Eccomi di fronte a lui e inizio con le domande e vado subito al nocciolo della questione: “senti Luca saresti contento di venire al Milan?” Lui mi guarda e mi risponde: “ma io sono tifoso della Sampdoria, come faccio?” “tifoso della Sampdoria?” ribatto io con una certa sorpresa. Non parla ma ad un certo punto cerca di togliere la tuta rossonera del Milan, che il magazziniere gli ha dato per effettuare l’allenamento vestito come tutti gli altri, e sorpresa delle sorprese sotto porta la maglia della Sampdoria! “Ha capito Mister? Io sono veramente Sampdoriano!” ringraziandomi per la mia gentilezza e senza il minimo problema mi lascia lì in mezzo al campo e se neva a duellare con gli altri bambini che stanno continuando la partita. Sorrido e vado dal signor Trapanelli con la convinzione: “questo bimbo lo dobbiamo prendere altro che Sampdoria!”
Luca Antonini (Milano, 4 agosto 1982) è un calciatore italiano, difensore del Milan. È un giocatore polivalente che sa ricoprire sia il ruolo di terzino che di esterno di centrocampo sulla fascia sinistra e all'occorrenza anche destra.[1] Cresciuto nel
Milan, nel 2001, a stagione da poco avviata, è stato ceduto in prestito al Prato, in Serie C1, dove ha totalizzato 26 presenze e 3 reti. Nella stagione 2002-2003 ha collezionato 17 presenze e 1 gol in Serie B all'Ancona, ottenendo la promozione in Serie A e ritagliandosi un ruolo da titolare nella seconda parte del campionato, dopo un girone d'andata trascorso come riserva. Nell'estate del 2003 si è trasferito alla Sampdoria in comproprietà con i rossoneri, dove è sceso in campo solamente in 5 partite nel ruolo di vice Gasbarroni sulla fascia e non realizzando gol. L'anno seguente torna a giocare in Serie B, al Modena, dove ha segnato una rete in 15 partite disputate. Nell'agosto del 2005 il Milan lo ha prestato all'Arezzo, dove nell'arco della stagione ha segnato 3 gol in 39 partite. Alla fine della stagione 2005-2006 è stato preso in prestito dal Siena. Nell'estate del 2007 il Milan ha rilevatato la metà posseduta dalla Sampdoria e lo ha ceduto in comproprietà all'Empoli, assieme all'altro giovane Abate, anche lui prodotto del vivaio rossonero. Con l'Empoli Antonini ha esordito nelle coppe europee il 20 settembre 2007, in occasione della partita di Coppa UEFA Empoli-Zurigo (2-1), nella quale ha anche realizzato la rete del momentaneo 2-0 su rigore al 49° minuto. Dopo una positiva stagione con l'Empoli, in cui è stato spesso arretrato alla linea a quattro di difesa e utilizzato nel ruolo di terzino sinistro per sopperire alle assenze di Tosto e Raggi, terminata però con la retrocessione dei toscani in B, il 9 giugno 2008 è stato riscattato dal Milan.[2]

SAPERSI SMARCARE



Esercizio per imparare a smarcarsi
Sempre pronti a smarcarsi.Due giocatori -l'1 e il 2- col pallone, e uno -il 3- senza. Come nello schema raffigurato a fianco.Durante l'esercizio vanno efettuati degli scambi continui con l'uomo senza palla che deve muoversi negli spazi liberi, in relazione a quelli dei movimenti dei suoi compagni.Si può estendere l'esercizio a due gruppi di giocatori includendo un portiere che dovrà sempre toccare la palla con le mani senza bloccarlo.Lo scopo di questo tipo di allenamento è quello di abituare il calciatore a giocare a testa alta, a sfruttare gli spazi per smarcarsi e a cambiare rapidamente direzione.

19 novembre 2009

ALESSANDRO

I centravanti di razza li vedi subito, basta un’occhiata, hanno qualcosa di particolare: sono svegli, attenti, furbi e sempre pronti a sfruttare la situazione a loro favore. Sin da piccoli ti sorprendono: sono creativi nel cercare soluzioni di gioco e mai ripetitivi. La prima volta che vidi Alessandro eravamo su di un campetto di provincia, precisamente nella provincia di Lodi in una partita tra undicenni. Partita di campionato: categoria esordienti. La categoria categoria è la più spettacolare del settore giovanile calcistico. Vedere quegli assatanati che con il loro schema a “nuvola” corrono tutti dietro alla palla è un vero spettacolo avvincente ed entusiasmante. Ti fa rivivere quei pomeriggi estivi quando alla domenica andavi all’oratorio a giocare con i compagni di catechismo e l’unico giocattolo era la palla che portava il solito Antonio, il carogneta di turno, che faceva giocare solo chi voleva lui e si faceva la squadra su misura ed imbattibile. Quante gioe e quante scarpate in quei campi polverosi ho vissuto e ho soprattutto dato.
Ma ecco che, improvvisamente, dalla difesa era partito un lancio lungo e il pallone volando sopra le teste di tutti e superando tutto il centro campo era destinato per l’unica punta di ruolo: Alessandro! Il difensore era veloce quanto lui, insieme pestavano l’erba come se fossero stati impegnati in una gara di velocità. Mentre correvano, il difensore cercava di mettere il gomito davanti al busto di Alessandro che a sua volta cercava di fare la stessa cosa. Ad un certo punto, raggiunto il limite dell’area di rigore, Alessandro tagliò la strada al difensore e invase idealmente la corsia dell’avversario, il mal capitato arcigno difensore impattò con il proprio ginocchio il tallone destro del furbesco attaccante che cadde disteso all’interno dell’area. Un fischio acuto e lungo decretò il rigore! Fu così che vidi Alessandro segnare la prima rete: la realizzò per mezzo di un calcio di rigore.
Alessandro con quel viso da angioletto e con un casco di capelli, tutti arruffati, come copricapo, dopo il gol, correva e saltava come un grillo. La sua maglietta e i suoi pantaloncini si gonfiavano come se dovesse prendere il volo proprio come un acquilone. La sua divisa di gioco, una volta di color bianco almeno credo, era tutta imbrattata di macchie marroni che dal mio punto di osservazione sembravano impronte di mani che avevano cercato di fermare Alessandro dalle sue intenzioni carognesche di attaccante assetato di gol. Dopo alcuni minuti tutto si calma e con la palla al centro riprendono le ostilità. La partita ora sembra un grande ingorgo e sembra che la maggior parte di quei giovani giocatori vogliano fermarsi proprio li nel mezzo del campo. Solo lui si muove ai margini proponendosi in ampiezza e in profondità. L’aria densa e calda di quel sabato pomeriggio di una primavera inoltrata fa in modo che il campo sia ricoperto da un leggero strato di porvere, giusto quei quattro-cinque centimetri che avvolge tutti in una tromba d’aria polverosa dalla quale ad un certo punto sbuca ancora lui: Alessandro. Zigzagando da destra a sinistra e da sinistra a destra in un attimo dribbla tre avversari e si porta a ridosso del portiere che scarta con una finta a doppio passo e con un morbido tocco di interno destro insacca in rete la seconda marcatura personale! Due a zero! Dopo il gol Alessandro corre fuori dal campo come se volesse andareverso degli spalti per esultare con i propri tifosi che in realtà esistono solo nella sua immaginazione. Corre e grida , grida e corre mentre due suoi compagni lo rincorrono per abbracciarlo e festeggiare assieme. Il ragazzo è un vero attaccante di razza!
Mentre osservo la scena dell’esultanza, vicino a me ci sono due signori che discutono e si dicono a vicenda che il ragazzo ha talento e che meriterebbe di fare strada, continuando nella discussione iniziano a paragonarlo ad una serie di giocatori che vanno dal Boninsegna al Riva prima maniera, dal Bettega al Pulici e la frase che ripetono alla fine di ogni discorso è : “ma te se ricordet ai noster temp…? propri bei temp quand ghera chei giugadur chi” che tradotto vorrebbe dire: “ma ti ricordi ai nostri tempi…? Proprio bei tempi quando c’erano questi giocatori”. Be io non so se quei tempi erano meglio di questoi so solo che finchè ci saranno sui campi di periferia giovani giocatori come Alessandro il calcio avrà un futuro.
Alessandro Matri
Alessandro Matri (Sant'Angelo Lodigiano, 19 agosto 1984) è un calciatore italiano, attaccante del Cagliari.
Di proprietà fino al 2006-2007 del Milan, si mette in mostra in serie C e B con le maglie di Lumezzane e Rimini. Nel 2007-08 metà del suo cartellino viene acquistato dal Cagliari. Ha esordito con la maglia rossoblù, andando subito a segno, fissando il momentaneo 0-1, in Napoli-Cagliari, nella prima giornata del campionato 2007-2008. Il primo gol in trasferta lo segna contro il Parma, segue poi il gol in casa contro il Catania, allo stadio Azzurri D'Italia contro l'Atalanta, quella nella prima giornata di ritorno sempre contro il Napoli e infine l'ultima il 24/02/2008 contro la Lazio che ha portato un'importante vittoria per il Cagliari. Ha segnato anche in Coppa Italia contro la Sampdoria. Nel periodo di Davide Ballardini e nonostante i suoi preziosi goal, Matri è spesso relegato in panchina a causa del buon periodo di forma dell'attaccante Robert Acquafresca. Tuttavia, nel giorno dopo il divorzio tra la società sarda e il tecnico ravennate, Matri viene riscattato dal Cagliari per 2.300.000 €. ILconsolidamento del ruolo di titolare di altri compagni lo vede spesso partire dalla panchina nella prima parte del torneo, mentre il girone di ritorno lo vede protagonista con sei gol, rispettivamente con Lazio, Juventus, Lecce, Catania, Sampdoria e Roma. L'anno successivo, con la partenza di Robert Acquafresca, si prospetta una stagione più in primo piano per Matri, che però trova qualche difficoltà a partire titolare nelle prime partite e, dopo 12 giornate, arriva a quota quattro gol.

13 novembre 2009

VALERIA

VALERIA
Valeria arrivava al campo da calcio con le gote color vermiglio, sorrideva appena mi vedeva e mi salutava con semplice: “ciao OBI-UAN mister RU”. Era tutta particolare Valeria, si esprimeva con un linguaggio tutto suo, a volte era incomprensibile, ma il più delle volte era spiritosa, divertente e le sue parole ti facevano ridere anche nei momenti più seri. Ti ispirava tenerezza quella bambina dagli occhi convergenti e dal nasino a forma di uncino rovesciato. Si vestiva anche in modo particolare: in testa portava sempre un cappellino di lana che gli aveva sferruzzato la nonna e che non smetteva mai, neppure quando giocava, era ormai parte di lei in qualsiasi momento della giornata. Il sospetto che lo utilizzasse come fazzoletto da naso era fondato, visto che su di esso c’erano anche delle piccole chiazze biancastre diffuse in ordine sparso. Il copricapo in questione era di colore nero. Valeria arrivava sempre per prima al campo perchè era l’unica bambina che faceva parte della squadra dell’Istituto Comprensivo di Lainate e quindi aveva la necessità di cambiarsi da sola; ecco che allora mezz’ora prima degli altri arrivava lei con la sua bicicletta di colore nero fumo di lontra (la definizione era sua), entrava nello spogliatoio si metteva gli abiti sportivi ed usciva ad aspettare gli altri. A proposito di abiti sportivi: anche qui la sua originalità toccava i limiti della decenza e del regolamento. Si vestiva con i pantaloni neri,lunghi sino alla caviglia e larghissimi all’interno dei quali le sue gambe si perdevano. Metteva poi un maglione di colore giallo allampanato che dava fastidio solo a guardarlo. È inutile dire che il numero che portava sulla schiena era l’1. Le mani le infilava nei guanti che erano almeno tre misure più grandi , per lei erano guanti magici perché li aveva avuti in dono dal suo idolo: Pierluigi Buffon. Lei sognava di diventare il Buffon al femminile del calcio italiano. Vedeva e aveva visto tutte le sue partite, a volte in televisione e a volte in diretta allo stadio. Andava allo stadio di Torino quasi tutte le domeniche, accompagnata dal padre tifosissimo della Juventus. Conosceva tutte le caratteristiche del fuoriclasse Juventino e si ispirava a lui durante gli allenamenti e le partite. Buffon era il suo eroe e il suo modello. Lei non era come tutte le altre bambine che impazzivano per gli attori o i cantanti famosi, lei impazziva per lui il portiere più bravo del mondo: Pierluigi Buffon!
Tornando allo spogliatoio: Valeria, dopo essersi cambiata, aspettava tutti seduta sui gradini dell’ingresso degli spogliatoi. Le sue gambe lunghissime e ben distese arrivavano sino all’ultimo dei tre grandi gradini in granito rosa di Sardegna, che si trovavano davanti al cancello d’ingresso e che se si voleva accedere agli spogliatoi si dovevano affrontare con qualche difficoltà. Le braccia altrettanto lunghe e ben distese occupavano tutta la larghezza del cancello. Così Valeria controllava l’entrata e sembrava una vera portinaia, anzi una vera PORTIERA. Valeria era infatti il portiere della squadra under 12 di calcio dell’Istituto. Una squadra che lei adorava, la faceva sentire parte di un gruppo, parte di una famiglia, un porto tranquillo che nella vita non aveva mai avuto. Per lei questa squadra era un territorio conosciuto e amato, dove si parlava un linguaggio comprensibile e condiviso, dove si tornava sempre volentieri. Per Valeria questa squadra era una sosta nel lungo viaggio della vita. Ma torniamo al calcio!Un particolare non trascurabile: Valeria era brava quanto un maschio, anzi di più! L’aneddoto che voglio raccontare è legato a questo aspetto, anzi ne è l’antefatto: “Sono le 14.30 di un giovedì pomeriggio di una primavera, che di primavera non ha nulla, fa un freddo becco infatti. Siamo a Milano in via Cilea n°51 al campo dell’Accademia Internazionale e sta per iniziare la finale provinciale under 12 di calcio a cinque tra il nostro istituto comprensivo “Fermi” di Lainate e l’Istituto Comprensivo “Muratori” di Cornaredo. Noi in tenuta rosso blu, i nostri avversari in completo verde pisello. Io sono l’allenatore in panca e in porta, con noi ovviamente, c’è Valeria. Ai bordi del campetto ci sono dei familiari (5), gli autisti dei bus (2) e qualche curioso, insomma c’è il tutto esaurito e sono rimasti solo posti in piedi. L’inizio della partita è un po’ contratto è un continuo batti e ribatti, le squadre non vogliono prendere gol e pensano più a difendersi che a costruire buone trame di gioco per farlo il gol. Siamo noi ad aprire le segnature con un tiro al sette del Rino. Loro ci tentano in tutti i modi ma Valeria si supera parando l’imparabile. Il nostro secondo gol arriva dopo cinque minuti con un’altra bomba del Tano che piega le mani al portiere avversario. Dopo due minuti l’arbitro assegna un calcio di rigore alla squadra avversaria per un fallo di mano (netto) del solito Pila! Valeria…PARA! Finisce il primo tempo e si vince 2 a 0! Nel secondo tempo non cambia la musica: loro attaccano e “NOI” pariamo tutto o meglio Valeria para tutto. A due minuti dalla fine la loro punta, certo Nello, fa un gol di fortuna dopo una carambola interminabile, la palla prima di entrare tocca ben quattro gambe. A questo punto loro cominciano a crederci più che mai, ma Valeria si supera in almeno tre occasioni e salva il risultato! CAMPIONI PROVINCIALI DI CALCIO A 5!! Tutti a portare in trionfo Valeria che è stata la vera eroina della partita. È a questo punto che mi si avvicina una persona (della quale non farò il nome) che io conosco da anni perché fa l’osservatore per il settore giovanile di una società professionistica di serie C (che non citerò) che mi dice: “senti Giuliano che ne diresti di mandarci questo portiere per un provino? E’ veramente forte questo Valerio…non è da Inter ma per noi potrebbe andare” rimango basito, non so se ridere e rispondere che non si tratta di “un” ma di “una”. Sto zitto gli sorrido e rispondo: “vedremo prima di mandartelo lo voglio provare io all’Inter e casomai dopo si vedrà…” il mio interlocutore fa un cenno di assenso e se ne va dicendomi: “fammi sapere noi siamo veramente interessati a questo VALERIO”. Lo saluto e girandomi me la trovo di fronte Valeria tutta contenta e sorridente, l’abbraccio e le faccio i miei complimenti dicendole una cosa che la farà sicuramente felice: “Valeria il nuovo Buffon del calcio del calcio femminile!” ride prende il cappello di lana tra le mani e … si soffia il naso! Nooo!

02 novembre 2009

SAMUEL

SAMUEL
“Pronto chi parla? Pronto! Pronto! Si può sapere chi sei?” il telefonino aveva fatto circa quattro squilli prima che io lo potessi sentire. Ero negli spogliatoi e il cellulare era nei pantaloni dei jeans appesi nell’armadietto. Guardai il piccolo schermo del cellulare e vidi la dicitura:-numero sconosciuto- stavo per riattaccare quando un filo di voce replicò: “Pronto mister sono io Samuel”. Samuel erano quattro giorni che non avevo sue notizie. Oggi, giovedì, doveva presentarsi all’ultimo allenamento della settimana ma stranamente non si era visto. “Ciao Samuel, come mai oggi non sei venuto all’allenamento?” silenzio, dall’altro capo della comunicazione non c’era segno di vita. Allora ripresi: “pronto Samuel ci sei? Sei ancora in linea?” “Si mister ci sono” rispose con il solito filo di voce e fu in quel momento che sentii una voce maschile che sembrava provenisse da un altro apparecchio e da lontano: “dai diglielo, digli quello che hai deciso!” ripresi subito la parola e dissi: “scusa Samuele chi c’è li con te?” Samuel rispose subito: “c’è mio padre mister” fece una pausa e poi riprese a parlare: “Senta mister io non vengo più! Non voglio più venire a giocare!” i bambini sono così diretti, senza tanti giri di parole e senza tanti fronzoli vanno subito al nocciolo della questione. Samuel è così, un bambino diretto, schietto e trasparente. Quello che ha da dirti te lo dice in faccia senza usare tanti giri di parole. Samuel è anche un bambino di talento calcistico straordinario. Un bambino che fa la differenza. Quando vole prende la palla salta in dribbling due o tre giocatori avversari e fa gol con una semplicità inconsueta per uno della sua età. È un bambino che gioca per il piacere di giocare e lo si vede quando viene al campo che il calcio per lui è una passione. Una volta sua madre mi disse che prima di andare a letto trovò Samuel vestito con la divisa da calcio e lei gli chiese il perché e lui rispose: visto che tutte le notti sognava di giocare a calcio voleva farsi trovare pronto con la maglia della sua squadra per la partita che doveva giocare. Ci avevamo scherzato su questo fatto io e Samuel, ricordo che gli avevo detto che a letto doveva portarsi anche gli scarpini e non dimenticare il pallone e lui aveva riso e abbassando la testa aveva raggiunto il gruppo contagiandolo con la sua allegria. Perché Samuel ora non voleva più venire a giocare? Cosa stava succedendo? La domanda che mi uscì fu la più ovvia delle domande ovvie: “e perché non vuoi più giocare a calcio?” la risposta non si fece attendere: “non mi diverto più mister ecco perché non voglio più venire a giocare a calcio!” un bel pasticcio, non sapevo cosa ribattere a questa dichiarazione tanto decisa e perentoria. Un bambino di undici anni diceva di aver perso la voglia di giocare a calcio ed io non sapevo cosa rispondere, proprio un bel pasticcio! L’unica idea che mi venne fu quella di dire: “senti Samuel fai una bella cosa, sabato vieni a giocare la partita e se vuoi ne parliamo dopo di che deciderai. Ok? Che ne pensi?” ci fu una pausa e subito dopo una risposta decisa: “ok mister vengo sabato ma per l’ultima volta!” “Va bene Samuel ok!” prio in quel momento mi venne un’idea: “ah Samuel fai una cosa per sabato SCRIVI un breve temino su –che cosa è per te il gioco del calcio e portamelo, sono convinto che questo potrebbe essere utile alla discussione che ci sarà tra di noi, Ok?” ancora breve pausa e poi sentii: “ok mister sabato ci sarò per giocare l’ultima partita e porterò il tema”.
Tema di Samuel dal titolo: COSA E’ PER ME IL GIOCO DEL CALCIO
Svolgimento:
Il CALCIO per me è tutto. Ho iniziato a giocare a pallone già all’età di 4 anni nella squadra vicino a casa con bambini più grandi di me. Fin dall’inizio ho provato con il pallone un’emozione grandissima, una passione grandissima, nuove e bellissime amicizie ed infine la cosa più importante un continuo divertimento. Oggi ho undici anni gioco a Milano nell’Inter e pur facendo molta strada ogni volta che vado a giocare ho ancora una grande passione e ho fatto nuove amicizie. Oggi però mi trovo difronte a paure che non ho mai provato e che nell’allenamento non mi sfiorano nemmeno. Purtroppo io sono un bambino che ha poca pazienza e pretendo che spariscano subito. So che la strada sarà difficile e faticosa ma io fine alla fine ci proverò con tutte le mie forze perché mi sono reso conto in questi giorni, che non sono andato agli allenamenti, che il calcio è la mia vera passione.
Samuel…
È inutile dire che Samuel sta giocando ancora a calcio e, secondo me, anche se non dovesse diventare un calciatore professionista diventerà sicuramente un UOMO VERO!
(per correttezza nei confronti del bambino il nome è pura invenzione)

NICOLA

È una domenica mattina fredda e soleggiata di un autunno inoltrato. Il sole ha sciolto la brina che aveva ricoperto il campo di calcio di via Orsini a Milano. Oggi giochiamo contro l’Aldini, una società prestigiosa nel panorama del calcio giovanile, non solo milanese ma anche nazionale, per i suoi successi ottenuti nei campionati allievi e giovanissimi. I bambini che oggi scenderanno in campo sono del 96, i miei, e del 95 quelli dell’Aldini, entrambe l’età fanno parte della categoria esordienti. L’appuntamento è per le 11.00 al campo. Mentre mi accingo a varcare la soglia del centro sportivo, scorgo molti visi conosciuti, e guardando un po’ più in la mi accorgo che nel calmpo dove giocheremo noi si sta disputando già una partita. Mi dirigo verso il campo da gioco e d’istinto osservo quel che succede sulle panchine e noto, in una di esse, un allenatore giovane dai capelli ricci e biondi. È un viso noto, mi sembra proprio di conoscerlo, ma Si è proprio lui! È Nicola un mio ex allievo, di quando allenavo al Milan gli esordienti regionali, circa dieci anni fa. Nicola era un giocatore tecnico. Un centrocampista di qualità, subiva un po’ la fisicità degli avversari, ma usciva dalle situazione di gioco con intelligenza e sagacia. Sempre attento riusciva ad essere efficace soprattutto negli spazi stretti e aveva giocate originali che non sempre venivano sfruttate dai compagni di squadra. Adesso era li su di una panchina a fare il Mister! Sembrava ieri quando…lasciamo stare e torniamo al presente!
Nicola seguiva la partita in piedi dando indicazioni, rimproveri, incitamenti, complimenti e addirittura distribuendo applausi. Non faceva mancare nulla alla sua squadra di tredicenni, si era l’allenatore della squadra giovanissimi B dell’Aldini. Caratterialmente mi ricordavo un Nicola tranquillo silenzioso, timido e quasi riservato. Qui invece vedevo un giovanotto pieno di energia e quasi aggressivo. Ma non avevo visto ancora nulla. Il vero Nicola infatti lo vidi dopo che il numero 7 della sua squadra, immarcabile in quella partita, scese sulla fascia fece cross e il numero 9 realizzò un gol stupendo, lui ebbe uno scatto di gioia incontrollabile saltava e gridava gol-gol-gol! Palla al centro e Nicola si ricompose e continuò a dare consigli alzando il tono della VOCE: “dai Cris più decisione”, “dai Manu dacci dentro”, “forza Cocu”. Nicola parlava per acronimi. Nomi, cognomi e soprannomi tutti ridotti all’essenziale: due sillabe e via! Non si mangiava le parole riduceva le sillabe inutili per ottenere una comunicazione più veloce. Effettivamente la differenza tra l’avvertimento: “attento Alessandro” e l’altro: “attento Ale” era quello che bastava per impedire l’anticipo di un avversario. Mi incuriosiva Nicola, mi piaceva il suo modo di essere e di fare l’allenatore. Così mi intrufolai tra il pubblico e iniziai a fare domande sul biondino che era in panchina. I difetti e i pregi che mi riferirono erano quelli tipici di noi istruttori di settore giovanile: “è esigente, è irascibile, è comprensivo, carica bene la squadra ma ogni tanto alza troppo la voce…”. Mano a mano che ascoltavo le caratteristiche che lo contraddistinguevano mi accorgevo che Nicola mi assomigliava e questo un po’ mi inorgogliva, ma quando mi dissero che lui nei suoi discorsi ai ragazzi citava sempre quello che diceva “un suo vecchio allenatore” dal nome Giuliano, sentii montare l’emozione. Non vedevo l’ora che finisse la partita per salutarlo e per fagli gli auguri per la sua nuova carriera. Proprio in quel momento l’arbitro fischiò la fine della partita. Mi avviai verso gli spogliatoi con tutti i componenti della mia squadra. Le squadre che avevano giocato la partita precedende erano già negli spogliatoi. Chiesi dove potevo trovare Nicola, mi dissero spogliatoio numero 3, mi avvicinai e lo sentii che diceva: “bravi ragazzi abbiamo vinto una partita difficile perché questo avversario normalmente riesce a mettere in difficoltà chiunque. Noi gli abbiamo tolto la possibilità di giocare tranquillamente, era questa la nostra chiave per la vittoria.” Però si esprimeva come un vero allenatore, allora invece di bussare stetti ad ascoltare o meglio ad origliare: “Ci siamo riusciti molto bene. Siamo riusciti a comandare la partita seppure non ci siano state grandi occasioni da gol. Abbiamo solo rischiato su un contropiede a causa di un rimpallo. La squadra avverasaria non ci lasciava spazi, chiuso nella sua metà campo, cercava di colpirci in contropiede. Ma questo contropiede non è mai partito perché voi ragazzi siete stati bravissimi per intensità e forza fisica. Ho visto grande voglia di aiutarsi, senso tattico. Poi è venuta la qualità, il gol di Andrea poi ci ha dato la possibilità di arrivare al successo. BRAVI E COMPLIMENTI A TUTTI!” Stavo per bussare quando sentii: “ Un mio vecchio allenatore direbbe: -L’importante non è quello che provi alla fine di una partita, ma quello che provi mentre stai giocando la partita” Era una mia frase, la dicevo spesso ai miei giocatori e Nicola la stava ripetendo ai suoi giocatori citandomi. Decisi in quel momento che avrei bussato e lo avrei salutato. Bussai e dall’altra parte rispose la sua voce: “Chi è?” la risposta fu immediata: “UN VECCHIO ALLENATORE!”