Riflessioni sugli aspetti più importanti del settore giovanile calcistico.
21 luglio 2009
PIX 10
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Era un bel momento quello per Pix! La capacità umana di condividere tempo, emozioni e sogni esercitava su di lui, oltre che un'attrazione, un benessere particolare. Si era reso conto che per quei ragazzi gli amici rappresentavano il sostegno emotivo, il gruppo era vissuto in modo significativo e offriva la possibilità di esercitare i legami sentimentali. Stava bene con quel gruppo e stava bene soprattutto con Olga. Finita la partita Olga, Pix e Dadi si incamminarono verso il posto dove si erano trovati nel primo pomeriggio, per il commiato serale. Parlavano e ricordavano le azioni salienti della partita. La strada che saliva per la collinetta, che sovrastava la cittadina di Leina, era una terrazza naturale sulla stessa. Osservando la cittadina dall'alto, questo minuscolo universo autosufficiente, Pix sentiva dentro di sé qualcosa che gli era difficile da decifrare. Ad un certo punto Pix capì: la causa di tutta questa esagitazione era Olga. Pix guardava Olga con occhi diversi o meglio i suoi occhi sembrava cogliessero particolari che sino ad allora gli erano sfuggiti. Olga aveva labbra bellissime che nessun programma grafico avrebbe potuto inventare; il colore poi ricordava il pianeta Marte e le sue sfumature di rosso. Gli occhi erano cosi ricchi di luminosità propria che sembravano pietre di Sirio. La sua pelle era di un candore che nemmeno il suo riproduttore cellulare avrebbe saputo imitare. Quei piccoli sassolini bianchi che si intravedevano dietro le labbra, che gli umani chiamavano denti, sembravano ricoperti di quella polvere che rende così bianca la via lattea. Aveva deciso: Olga era un capolavoro della natura umana e lui l'avrebbe convinta a seguirlo su Terrax!
Mentre la osservava, pensava che insieme avrebbero costituito una nuova civiltà sul pianeta Terrax che avrebbe bandito l'angoscia e l'infelicità. Avrebbero insieme costruito una società senza classi, senza pregiudizi e dove i componenti di questa fossero soggetti attivi del proprio vivere. Una civiltà senza conflitti e libera da ogni oppressione. “Pix, Pix ehi ma ti sei incantato?” era la voce di Olga che lo aveva riportato alla realtà. Pix sentì il suo sguardo su di sé e vedendola sorridere improvvisamente divenne vulnerabile e un poco spaventato da queste nuove sensazioni. In testa gli frullavano mille domande e altrettanti dubbi , ma in quel momento riuscì a proferire solo una parola: “si?” Proprio in quell'istante una leggera brezza scompigliò i capelli di Olga che le avvolsero quasi completamente il viso, la vide nella sua bellezza naturale mentre fece un respiro profondo ed iniziò a parlare: “Pix a Leina il calcio giovanile va per la maggiore, è quasi una fede. Quando si gioca contro le altre squadre quasi tutti i ragazzi della città corrono al campo per fare il tifo, insomma è una cosa bella.” intervenne Dadi spazientito: “Olga come la fai lunga!” Olga lo fissò in malo modo e riprese a parlare: “stai zitto! Pix volevamo chiederti: vuoi far parte della squadra della scuola che rappresenterà la nostra città nel prossimo campionato regionale?” Pix, un po' perchè sorpreso, un po' perchè ad una richiesta di Olga lui avrebbe risposto in modo affermativo rispose: “SI”. Ricominciarono gli abbracci e le urla di gioia e lui partecipò con altrettanto entusiasmo e trasporto. Si lasciarono lì proprio nel punto dove si erano ritrovati la prima volta. Pix si sentiva fiero di sé e non vedeva l'ora di comunicare tutto ai suoi genitori. Aveva tante domande per loro soprattutto per sua madre. Era stato un pomeriggio entusiasmante e uscendo dal bosco, incamminandosi per i prati vide un tramonto spettacolare. Il cielo era arancione, pieno di nubi rosse e viola mosse dal vento. La terra sembrava come schiacciata da quel cielo così vivo e immenso, stava calando la sera e lui sorrideva a sé e alla nuova vita.
Era un bel momento quello per Pix! La capacità umana di condividere tempo, emozioni e sogni esercitava su di lui, oltre che un'attrazione, un benessere particolare. Si era reso conto che per quei ragazzi gli amici rappresentavano il sostegno emotivo, il gruppo era vissuto in modo significativo e offriva la possibilità di esercitare i legami sentimentali. Stava bene con quel gruppo e stava bene soprattutto con Olga. Finita la partita Olga, Pix e Dadi si incamminarono verso il posto dove si erano trovati nel primo pomeriggio, per il commiato serale. Parlavano e ricordavano le azioni salienti della partita. La strada che saliva per la collinetta, che sovrastava la cittadina di Leina, era una terrazza naturale sulla stessa. Osservando la cittadina dall'alto, questo minuscolo universo autosufficiente, Pix sentiva dentro di sé qualcosa che gli era difficile da decifrare. Ad un certo punto Pix capì: la causa di tutta questa esagitazione era Olga. Pix guardava Olga con occhi diversi o meglio i suoi occhi sembrava cogliessero particolari che sino ad allora gli erano sfuggiti. Olga aveva labbra bellissime che nessun programma grafico avrebbe potuto inventare; il colore poi ricordava il pianeta Marte e le sue sfumature di rosso. Gli occhi erano cosi ricchi di luminosità propria che sembravano pietre di Sirio. La sua pelle era di un candore che nemmeno il suo riproduttore cellulare avrebbe saputo imitare. Quei piccoli sassolini bianchi che si intravedevano dietro le labbra, che gli umani chiamavano denti, sembravano ricoperti di quella polvere che rende così bianca la via lattea. Aveva deciso: Olga era un capolavoro della natura umana e lui l'avrebbe convinta a seguirlo su Terrax!
Mentre la osservava, pensava che insieme avrebbero costituito una nuova civiltà sul pianeta Terrax che avrebbe bandito l'angoscia e l'infelicità. Avrebbero insieme costruito una società senza classi, senza pregiudizi e dove i componenti di questa fossero soggetti attivi del proprio vivere. Una civiltà senza conflitti e libera da ogni oppressione. “Pix, Pix ehi ma ti sei incantato?” era la voce di Olga che lo aveva riportato alla realtà. Pix sentì il suo sguardo su di sé e vedendola sorridere improvvisamente divenne vulnerabile e un poco spaventato da queste nuove sensazioni. In testa gli frullavano mille domande e altrettanti dubbi , ma in quel momento riuscì a proferire solo una parola: “si?” Proprio in quell'istante una leggera brezza scompigliò i capelli di Olga che le avvolsero quasi completamente il viso, la vide nella sua bellezza naturale mentre fece un respiro profondo ed iniziò a parlare: “Pix a Leina il calcio giovanile va per la maggiore, è quasi una fede. Quando si gioca contro le altre squadre quasi tutti i ragazzi della città corrono al campo per fare il tifo, insomma è una cosa bella.” intervenne Dadi spazientito: “Olga come la fai lunga!” Olga lo fissò in malo modo e riprese a parlare: “stai zitto! Pix volevamo chiederti: vuoi far parte della squadra della scuola che rappresenterà la nostra città nel prossimo campionato regionale?” Pix, un po' perchè sorpreso, un po' perchè ad una richiesta di Olga lui avrebbe risposto in modo affermativo rispose: “SI”. Ricominciarono gli abbracci e le urla di gioia e lui partecipò con altrettanto entusiasmo e trasporto. Si lasciarono lì proprio nel punto dove si erano ritrovati la prima volta. Pix si sentiva fiero di sé e non vedeva l'ora di comunicare tutto ai suoi genitori. Aveva tante domande per loro soprattutto per sua madre. Era stato un pomeriggio entusiasmante e uscendo dal bosco, incamminandosi per i prati vide un tramonto spettacolare. Il cielo era arancione, pieno di nubi rosse e viola mosse dal vento. La terra sembrava come schiacciata da quel cielo così vivo e immenso, stava calando la sera e lui sorrideva a sé e alla nuova vita.
18 luglio 2009
17 luglio 2009
LO STAGE IN GRECIA
DAL 12 AL 19 LUGLIO SARO` IN GRECIA E PRECISAMENTE NELL'ISOLA DI CORFU` PER UNA SETTIMANA DI STAGE RIGUARDANTE L'ALLENAMENTO CALCISTICO GIOVANILE.
11 luglio 2009
PIX 9
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I tre amiconi arrivarono al campo con circa mezz'ora di ritardo. Questo campetto di calcio, mezzo sterrato e mezzo erboso, si trovava dietro una collinetta, proprio alle spalle di un edificio fatto tutto di mattoni, di fianco proprio ad un fiumiciattolo. Tutti erano già li, sia i compagni sia gli avversari li aspettavano in maglietta, calzoncini e scarpini da calcio. Cino si preoccupò subito di dare il materiale da gioco a Dadi e al nuovo amico: “dai Dadi siete in ritardo e questo è il tuo amico dal nome strano? Pix se non ricordo male, vero?” Dadi rispose mentre si stava già spogliando: “si questo è Pix e ha bisogno di un paio di scarpini penso numero quarantadue, puoi trovarne un paio Cino?” Cino era il factotum della squadra della scuola, non essendo proprio una cima nel giocare si era dedicato all'organizzazione e ad aiutare il Prof (allenatore della squadra) durante le partite ufficiali, una specie di vice allenatore. Cino era un tipo alto e magro , con le orecchie a sventola ed un paio di occhiali che sembravano troppo grandi per lui. I capelli a spazzola erano addirittura dritti sulla nuca. Sapeva tutto sul calcio e soprattutto trovava una soluzione a qualsiasi problema, e trovò anche gli scarpini! Dopo pochi minuti fu tutto pronto. Le squadre si disposero sul campo una di fronte all'altra. Quelli della squadra di Dadi e di Pix con la maglia azzurra e gli avversari con la maglia gialla. Il pallone fu portato al centro del campo e la partita, sotto la direzione di, sorpresa delle sorprese, OLGA, poteva avere inizio. Olga fischiò e così iniziò la partita! A Pix era stato detto di posizionarsi sulla destra in difesa e lui diligentemente si mise in quel posto e per i primi dieci minuti non si mosse da li. Osservava il gioco in modo passivo ed evitava qualsiasi iniziativa e contatto con gli avversari. Stava imparando! Stava applicando il metodo che su Terrax si utilizzava da tempo per l'apprendimento di competenze motorie: la VISUALIZZAZIONE. Il metodo consisteva nell'osservare attentamente in modo analitico tutte le fasi del movimento e poi ripeterle mentalmente con il pensiero per un numero imprecisato di volte affinchè questa competenza fosse assimilata. I gesti erano molti e lui aveva bisogno di tempo, ma c'era un problema: la sua squadra però aveva bisogno di lui subito. La partita era molto accesa, sotto l'aspetto tecnico non era un gran che, anche se Dadi in mezzo al campo aveva già realizzato due o tre triangolazioni di pregevole fattura, gli avversari con il loro gioco duro mandavano a farsi benedire ogni tentativo di bel gioco. Loro lavoravano di gomiti e di spintoni e calciavano in porta da ogni parte del campo per poter segnare e ci riuscirono al quindicesimo del primo tempo, con una cannonata da fuori area, del loro numero dieci, certamente il loro miglior giocatore. Uno a zero palla al centro. Dadi capì che, se volevano vincere quella partita, dovevano buttarsi sullo stesso stile e passò la voce tra i suoi. Il gioco si faceva duro e a questo punto entrò in gioco Pix! Pix correva o meglio sfrecciava in tutte le direzioni e occupava le parti del campo con prestanza e ogni movimento era una scelta efficace. Sorprendenti erano i suoi virtuosismi con il pallone e poi su una rovesciata volanti altissima fece GOL! A questo punto la partita prese un'altra piega, un'altra fisionomia. Triangolazioni perfette, passaggi in profondità, cross bellissimi, colpi di testa imperiosi e tiri in porta imparabili permisero alla squadra di Dadi e di Pix di prendere il sopravvento sui gialli in ogni parte del terreno di gioco! Finì con un netto cinque a uno per gli azzurri. Tutti felici e festanti i compagni di Dadi si radunarono in circolo in mezzo al campo tutti scalmanati e sudati guardavano intensamente Pix, allora Dadi si mise di fianco a Pix e gli rivolse la parola dicendogli: “così mi hai preso in giro! Tu eri quello che non sapeva giocare? Sei stato bravissimo!” e lo abbracciò e al loro abbraccio non poteva mancare Olga che arrivò come un'onda anomala e travolse i due facendoli rotolare per terra per alcuni metri! Gli altri visto tanto ardore ed entusiasmo si buttarono sul trio festante e ne venne fuori una mischia fatta di urla e sorrisi. Olga nella confusione si trovò con il suo viso ad un palmo dal viso di Pix, chiuse gli occhi e lo baciò sulla bocca! Pix provò una piacevole sensazione a quel contatto e si lasciò andare cercò di stringere il volto di Olga ma una forza esterna lo trascinò via da quella bella e dolce realtà. Era un compagno di squadra che gli urlava in faccia: “tu sei un fenomeno, anzi tu sei un extraterrestre!” Pix forse aveva esagerato!
I tre amiconi arrivarono al campo con circa mezz'ora di ritardo. Questo campetto di calcio, mezzo sterrato e mezzo erboso, si trovava dietro una collinetta, proprio alle spalle di un edificio fatto tutto di mattoni, di fianco proprio ad un fiumiciattolo. Tutti erano già li, sia i compagni sia gli avversari li aspettavano in maglietta, calzoncini e scarpini da calcio. Cino si preoccupò subito di dare il materiale da gioco a Dadi e al nuovo amico: “dai Dadi siete in ritardo e questo è il tuo amico dal nome strano? Pix se non ricordo male, vero?” Dadi rispose mentre si stava già spogliando: “si questo è Pix e ha bisogno di un paio di scarpini penso numero quarantadue, puoi trovarne un paio Cino?” Cino era il factotum della squadra della scuola, non essendo proprio una cima nel giocare si era dedicato all'organizzazione e ad aiutare il Prof (allenatore della squadra) durante le partite ufficiali, una specie di vice allenatore. Cino era un tipo alto e magro , con le orecchie a sventola ed un paio di occhiali che sembravano troppo grandi per lui. I capelli a spazzola erano addirittura dritti sulla nuca. Sapeva tutto sul calcio e soprattutto trovava una soluzione a qualsiasi problema, e trovò anche gli scarpini! Dopo pochi minuti fu tutto pronto. Le squadre si disposero sul campo una di fronte all'altra. Quelli della squadra di Dadi e di Pix con la maglia azzurra e gli avversari con la maglia gialla. Il pallone fu portato al centro del campo e la partita, sotto la direzione di, sorpresa delle sorprese, OLGA, poteva avere inizio. Olga fischiò e così iniziò la partita! A Pix era stato detto di posizionarsi sulla destra in difesa e lui diligentemente si mise in quel posto e per i primi dieci minuti non si mosse da li. Osservava il gioco in modo passivo ed evitava qualsiasi iniziativa e contatto con gli avversari. Stava imparando! Stava applicando il metodo che su Terrax si utilizzava da tempo per l'apprendimento di competenze motorie: la VISUALIZZAZIONE. Il metodo consisteva nell'osservare attentamente in modo analitico tutte le fasi del movimento e poi ripeterle mentalmente con il pensiero per un numero imprecisato di volte affinchè questa competenza fosse assimilata. I gesti erano molti e lui aveva bisogno di tempo, ma c'era un problema: la sua squadra però aveva bisogno di lui subito. La partita era molto accesa, sotto l'aspetto tecnico non era un gran che, anche se Dadi in mezzo al campo aveva già realizzato due o tre triangolazioni di pregevole fattura, gli avversari con il loro gioco duro mandavano a farsi benedire ogni tentativo di bel gioco. Loro lavoravano di gomiti e di spintoni e calciavano in porta da ogni parte del campo per poter segnare e ci riuscirono al quindicesimo del primo tempo, con una cannonata da fuori area, del loro numero dieci, certamente il loro miglior giocatore. Uno a zero palla al centro. Dadi capì che, se volevano vincere quella partita, dovevano buttarsi sullo stesso stile e passò la voce tra i suoi. Il gioco si faceva duro e a questo punto entrò in gioco Pix! Pix correva o meglio sfrecciava in tutte le direzioni e occupava le parti del campo con prestanza e ogni movimento era una scelta efficace. Sorprendenti erano i suoi virtuosismi con il pallone e poi su una rovesciata volanti altissima fece GOL! A questo punto la partita prese un'altra piega, un'altra fisionomia. Triangolazioni perfette, passaggi in profondità, cross bellissimi, colpi di testa imperiosi e tiri in porta imparabili permisero alla squadra di Dadi e di Pix di prendere il sopravvento sui gialli in ogni parte del terreno di gioco! Finì con un netto cinque a uno per gli azzurri. Tutti felici e festanti i compagni di Dadi si radunarono in circolo in mezzo al campo tutti scalmanati e sudati guardavano intensamente Pix, allora Dadi si mise di fianco a Pix e gli rivolse la parola dicendogli: “così mi hai preso in giro! Tu eri quello che non sapeva giocare? Sei stato bravissimo!” e lo abbracciò e al loro abbraccio non poteva mancare Olga che arrivò come un'onda anomala e travolse i due facendoli rotolare per terra per alcuni metri! Gli altri visto tanto ardore ed entusiasmo si buttarono sul trio festante e ne venne fuori una mischia fatta di urla e sorrisi. Olga nella confusione si trovò con il suo viso ad un palmo dal viso di Pix, chiuse gli occhi e lo baciò sulla bocca! Pix provò una piacevole sensazione a quel contatto e si lasciò andare cercò di stringere il volto di Olga ma una forza esterna lo trascinò via da quella bella e dolce realtà. Era un compagno di squadra che gli urlava in faccia: “tu sei un fenomeno, anzi tu sei un extraterrestre!” Pix forse aveva esagerato!
10 luglio 2009
PIX 8
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Olga e Dadi si guardarono increduli e poi entrambi rivolsero l'attenzione al giovane amico. Dadi si mise una mano in testa per poter riflettere meglio e poi riprese a parlare: “ma Pix tu veramente non sai giocare a calcio? Ma da che pianeta arrivi?” Pix fu sorpreso dalla domanda e rispose: “si io vengo da un altro p...aese!” Si accorse di avere di nuovo suscitato l'attenzione dei due ragazzi e allora fece un sorriso e per distrarli continuò: “sapete nel mio paese nessuno gioca a calcio e quindi...” con una pausa lasciò in sospeso il discorso e subito Dadi si inserì: “sei fortunato caro Pix, qui davanti a te c'è il più grande esperto di regolamento calcistico che la scuola media del paese ha conosciuto negli ultimi vent'anni!” dicendo questo Dadi fece tre passi indietro allargando le braccia, quasi per ostentare con il suo comportamento il suo sapere. “Grazie a quel buon uomo dell'insegnante di educazione fisica quest'anno all'esame di terza media ho portato una relazione sul -IL GIOCO DEL CALCIO- le regole, le tecniche e le tattiche di gioco. So tutto!” disse Dadi facendo trasparire dalle sue parole quanto ne andava fiero di tutto questo sapere. “Allora adesso ti farò una breve relazione sul gioco del calcio”. Olga, che aveva seguito con attenzione le parole di Dadi, si girò di lato e disse: “oh no ci risiamo!” Questa esternazione era dovuta al fatto che quella “breve relazione” lei l'aveva sentita almeno venti volte mentre si preparava con il fratello gemello all'esame. “Cosa hai detto Olga?” chiese stizzito Dadi e lei rispose: “no dicevo ohh adesso ascoltiamo!”. Tutto impettito Dadi assunse il ruolo del maestrino e iniziò la sua lezione: “allora se vuoi imparare a giocare a calcio devi imparare le regole. Le regole del gioco del calcio sono diciassette!” Pix era attento e non perdeva una parola dell'amico maestro. “Ora te le elencherò semplicemente poi te le spiegherò una a una. Olga sbuffava mentre si era seduta di fianco a Pix e lo guardava rapita dai suoi bellissimi occhi azzurri. Dadi era partito per la tangente e non lo fermava più nessuno:“Dunque la regola n°1 riguarda il terreno di gioco; la regola n°2 tratta dell'oggetto con il quale si gioca questo sport: il pallone; la regola n°3 riguarda il numero dei giocatori e la regola n°4 dell'equipaggiamento di questi ultimi”. L'entusiasmo di Dadi nell'elencare le regole sembrava una recita più che una precisa esposizione di regole di un gioco. Pix annuiva ad ogni regola e Olga, sempre più vicina a Pix, cercava di carpire con i suoi occhi dolci l'interesse del suo vicino. “Ma eccoci alla regola n°5 che ci parla dell'Arbitro cioè il giudice supremo in campo senza del quale non si potrebbe giocare nessuna partita; la regola n°6 parla dei suoi collaboratori: i guardalinee; la regola n°7 della durata della gara; la regola n°8 del calcio di inizio gioco, la regola n°9 definisce la palla in gioco e la palla non in gioco; la regola n°10 è quella che definisce quando si segnata una rete; la regola n°11, la più difficile da capire vedrai, ma io te la spiegherò benissimo, è quella sul FUORIGIOCO; la regola n°12 definisce i falli e le scorrettezze; la regola n°13 definisce i calci di punizione; la regola n°14 è quella del calcio di rigore, il massimo delle punizioni; la regola n°15 definisce la rimessa laterale; la regola n°16 dice cos'è il calcio di rinvio dal fondo ed infine la regola n°17 e quella che parla del calcio d'angolo. FINITO!! Queste mio caro Pix sono le diciassette regole che ogni giocatore di calcio deve rispettare per poter essere un buon giocatore! Scolpisci bene nella tua mente queste regole, esse ti saranno di grande aiuto per giocare una bella e divertente partita di calcio”.
Pix era incantato da tanta bravura e precisione nell'elencare le regole del gioco da parte di Dadi. Questa relazione non gli aveva solo permesso di conoscere le regole del gioco del calcio ma gli aveva fatto anche capire quanto Dadi amasse questo splendido gioco.
Pix si alzò con un balzo e urlando: “tutti a giocare ora” abbracciò di nuovo sia Olga sia Dadi.
Dopo questo scatto di entusiasmo tutti e tre si incamminarono verso il campo di calcio. Durante il tragitto Dadi spiegò velocemente le regole a Pix. Entrò nei particolari delle misure del campo, della porta, parlò del pallone e descrisse in modo particolareggiato con esempi chiari la regola del FUORIGIOCO. Ma Dadi disse qualcosa di più a Pix, disse che giocare a calcio non è solo dare quattro calci ad un pallone, giocare a calcio è qualcosa che riguarda più aspetti della personalità di un ragazzo; così gli parlò di valori morali, di lealtà, di rispetto, di collaborazione, di sensibilità, di abilità, di creatività, di fantasia e di intelligenza. Mentre i due parlavano e discutevano Olga prendeva la mano di Pix tra le sue e la stringeva dolcemente, questo sicuramente non era calcio, era forse qualcosa di più.
Olga e Dadi si guardarono increduli e poi entrambi rivolsero l'attenzione al giovane amico. Dadi si mise una mano in testa per poter riflettere meglio e poi riprese a parlare: “ma Pix tu veramente non sai giocare a calcio? Ma da che pianeta arrivi?” Pix fu sorpreso dalla domanda e rispose: “si io vengo da un altro p...aese!” Si accorse di avere di nuovo suscitato l'attenzione dei due ragazzi e allora fece un sorriso e per distrarli continuò: “sapete nel mio paese nessuno gioca a calcio e quindi...” con una pausa lasciò in sospeso il discorso e subito Dadi si inserì: “sei fortunato caro Pix, qui davanti a te c'è il più grande esperto di regolamento calcistico che la scuola media del paese ha conosciuto negli ultimi vent'anni!” dicendo questo Dadi fece tre passi indietro allargando le braccia, quasi per ostentare con il suo comportamento il suo sapere. “Grazie a quel buon uomo dell'insegnante di educazione fisica quest'anno all'esame di terza media ho portato una relazione sul -IL GIOCO DEL CALCIO- le regole, le tecniche e le tattiche di gioco. So tutto!” disse Dadi facendo trasparire dalle sue parole quanto ne andava fiero di tutto questo sapere. “Allora adesso ti farò una breve relazione sul gioco del calcio”. Olga, che aveva seguito con attenzione le parole di Dadi, si girò di lato e disse: “oh no ci risiamo!” Questa esternazione era dovuta al fatto che quella “breve relazione” lei l'aveva sentita almeno venti volte mentre si preparava con il fratello gemello all'esame. “Cosa hai detto Olga?” chiese stizzito Dadi e lei rispose: “no dicevo ohh adesso ascoltiamo!”. Tutto impettito Dadi assunse il ruolo del maestrino e iniziò la sua lezione: “allora se vuoi imparare a giocare a calcio devi imparare le regole. Le regole del gioco del calcio sono diciassette!” Pix era attento e non perdeva una parola dell'amico maestro. “Ora te le elencherò semplicemente poi te le spiegherò una a una. Olga sbuffava mentre si era seduta di fianco a Pix e lo guardava rapita dai suoi bellissimi occhi azzurri. Dadi era partito per la tangente e non lo fermava più nessuno:“Dunque la regola n°1 riguarda il terreno di gioco; la regola n°2 tratta dell'oggetto con il quale si gioca questo sport: il pallone; la regola n°3 riguarda il numero dei giocatori e la regola n°4 dell'equipaggiamento di questi ultimi”. L'entusiasmo di Dadi nell'elencare le regole sembrava una recita più che una precisa esposizione di regole di un gioco. Pix annuiva ad ogni regola e Olga, sempre più vicina a Pix, cercava di carpire con i suoi occhi dolci l'interesse del suo vicino. “Ma eccoci alla regola n°5 che ci parla dell'Arbitro cioè il giudice supremo in campo senza del quale non si potrebbe giocare nessuna partita; la regola n°6 parla dei suoi collaboratori: i guardalinee; la regola n°7 della durata della gara; la regola n°8 del calcio di inizio gioco, la regola n°9 definisce la palla in gioco e la palla non in gioco; la regola n°10 è quella che definisce quando si segnata una rete; la regola n°11, la più difficile da capire vedrai, ma io te la spiegherò benissimo, è quella sul FUORIGIOCO; la regola n°12 definisce i falli e le scorrettezze; la regola n°13 definisce i calci di punizione; la regola n°14 è quella del calcio di rigore, il massimo delle punizioni; la regola n°15 definisce la rimessa laterale; la regola n°16 dice cos'è il calcio di rinvio dal fondo ed infine la regola n°17 e quella che parla del calcio d'angolo. FINITO!! Queste mio caro Pix sono le diciassette regole che ogni giocatore di calcio deve rispettare per poter essere un buon giocatore! Scolpisci bene nella tua mente queste regole, esse ti saranno di grande aiuto per giocare una bella e divertente partita di calcio”.
Pix era incantato da tanta bravura e precisione nell'elencare le regole del gioco da parte di Dadi. Questa relazione non gli aveva solo permesso di conoscere le regole del gioco del calcio ma gli aveva fatto anche capire quanto Dadi amasse questo splendido gioco.
Pix si alzò con un balzo e urlando: “tutti a giocare ora” abbracciò di nuovo sia Olga sia Dadi.
Dopo questo scatto di entusiasmo tutti e tre si incamminarono verso il campo di calcio. Durante il tragitto Dadi spiegò velocemente le regole a Pix. Entrò nei particolari delle misure del campo, della porta, parlò del pallone e descrisse in modo particolareggiato con esempi chiari la regola del FUORIGIOCO. Ma Dadi disse qualcosa di più a Pix, disse che giocare a calcio non è solo dare quattro calci ad un pallone, giocare a calcio è qualcosa che riguarda più aspetti della personalità di un ragazzo; così gli parlò di valori morali, di lealtà, di rispetto, di collaborazione, di sensibilità, di abilità, di creatività, di fantasia e di intelligenza. Mentre i due parlavano e discutevano Olga prendeva la mano di Pix tra le sue e la stringeva dolcemente, questo sicuramente non era calcio, era forse qualcosa di più.
08 luglio 2009
PIX 7
PIX 7
Pix quella notte sognò la dolce Olga e con lei correva su prati rasati di fresco a piedi scalzi per chilometri e chilometri come liberati dalla gravità si lanciavano giù dai pendii che avevano scalato un istante prima senza far fatica. Era leggero e felice di quel momento. Per spiegarsi quella vera gioia doveva forse ricorrere alle parole che la madre gli aveva detto nel video-collegamento, ma non c'era tempo per questa analisi e passò ad un altro sogno. Sognò di essere Dadi e con lui giocava a CALCIO! Con la palla faceva di tutto: la palleggiava, la calciava passandola con precisione al suo compagno e con lui esploravano le tecniche più divertenti per far fare alla palla stessa traiettorie imprevedibili ed improbabili. Si svegliò all'improvviso con un movimento che assomigliava al calciare e uscì dalla “cella letto” che lo aveva ospitato tutta la notte e che lo rigenerava nelle sue sembianze di essere umano e gli procurava energia per tutta la giornata. Mentre si vestiva pensava all'incontro che da lì a qualche ora avrebbe avuto con il giovane uomo dal nome Dadi che aveva conosciuto il giorno prima. Mentre pensava a tutto questo guardò fuori dall'oblò principale della sua astronave e vide la boscaglia che si estendeva di fronte a se, era smossa da una leggera brezza e quel movimento di foglie ben si accordava con i suoi pensieri e la sua voglia di cullare i suoi sogni. Rimise in ordine tutte le cose che aveva utilizzato per il collegamento interplanetario avvenuto la sera prima e schiacciando il pulsante -apertura scaletta- si diresse verso di essa per scendere e andare all'appuntamento. Appena sceso notò sotto il suo piede un fiore azzurro lo colse e lo portò al naso e subito le sue narici si riempirono di un profumo fresco e gradevole , lo mise in tasca e si incamminò. Oramai era a suo agio nella condizione di terrestre, si muoveva nell'ambiente trovando risposte soddisfacenti con capacità di giudizi autonomi e indipendenti. Ogni spazio, ogni momento vissuto in quel luogo era una possibile situazione che favoriva il sorgere e lo sviluppo di domande e risposte diverse da quelle preconfezionate dal computer di bordo. Pix percorse tutta la stradina affascinato dallo spettacolo che la natura in quel punto presentava ai suoi occhi e risalì tutto il viale alberato fino al punto di ritrovo dell'appuntamento. Visto che il suo compagno non era ancora arrivato Pix si mise ad osservare la natura circostante. Tutto era immerso in una luce calda, gli alberi tendevano i loro rami costellati di foglie verso il cielo azzurro come gli occhi di... “Pix, Pix, Pix” riconobbe immediatamente quella voce: Olga. Con lui c'era anche Dadi che sotto il braccio portava l'oggetto magico: la palla. Pix lasciò i suoi pensieri e le sue considerazioni su tutto quello che stava osservando e ascoltando e corse verso Olga e Dadi ed emise inaspettatamente, soprattutto per sè, un grido di gioia: “evviva siete arrivati!” I due ragazzi sorpresi da tanto entusiasmo si misero a correre anche loro verso Pix e quando si trovarono si abbracciarono, ridendo e saltando. Sembravano dei vecchi amici che non si vedevano da tempo ed invece si erano conosciuti li proprio il giorno prima. Il primo a parlare fu Dadi: “Pix vuoi venire a giocare una partita di calcio giù al campetto con i miei amici di scuola?” Pix fu preso di sorpresa e rispose immediatamente. “certo Dadi vengo di sicuro” ed ecco che di nuovo il terzetto di amici si abbracciò. Nell'abbraccio Pix sentì distintamente il profumo di Olga, era un profumo fresco che gli ricordava il profumo del fiore che aveva colto dopo la discesa dalla sua astronave . Pix ansimava e boccheggiava dall'eccitazione che quel momento gli procurava esclamando ogni tanto , appena si staccava dagli amici: “che bello giocherò a calcio, che bello, che bello”. Anche questo entusiasmo meravigliò non poco sia Olga sia Dadi il quale non mollava la presa dalla sua palla. Quando si calmò la situazione Pix, che non sapeva cosa fosse e cosa volesse dire filtrare il proprio pensiero e quello che gli frullava nella testa era subito a disposizione della sua lingua, se ne uscì con una bella domanda: “ma scusate Olga e Dadi, come si gioca a calcio?”
Pix quella notte sognò la dolce Olga e con lei correva su prati rasati di fresco a piedi scalzi per chilometri e chilometri come liberati dalla gravità si lanciavano giù dai pendii che avevano scalato un istante prima senza far fatica. Era leggero e felice di quel momento. Per spiegarsi quella vera gioia doveva forse ricorrere alle parole che la madre gli aveva detto nel video-collegamento, ma non c'era tempo per questa analisi e passò ad un altro sogno. Sognò di essere Dadi e con lui giocava a CALCIO! Con la palla faceva di tutto: la palleggiava, la calciava passandola con precisione al suo compagno e con lui esploravano le tecniche più divertenti per far fare alla palla stessa traiettorie imprevedibili ed improbabili. Si svegliò all'improvviso con un movimento che assomigliava al calciare e uscì dalla “cella letto” che lo aveva ospitato tutta la notte e che lo rigenerava nelle sue sembianze di essere umano e gli procurava energia per tutta la giornata. Mentre si vestiva pensava all'incontro che da lì a qualche ora avrebbe avuto con il giovane uomo dal nome Dadi che aveva conosciuto il giorno prima. Mentre pensava a tutto questo guardò fuori dall'oblò principale della sua astronave e vide la boscaglia che si estendeva di fronte a se, era smossa da una leggera brezza e quel movimento di foglie ben si accordava con i suoi pensieri e la sua voglia di cullare i suoi sogni. Rimise in ordine tutte le cose che aveva utilizzato per il collegamento interplanetario avvenuto la sera prima e schiacciando il pulsante -apertura scaletta- si diresse verso di essa per scendere e andare all'appuntamento. Appena sceso notò sotto il suo piede un fiore azzurro lo colse e lo portò al naso e subito le sue narici si riempirono di un profumo fresco e gradevole , lo mise in tasca e si incamminò. Oramai era a suo agio nella condizione di terrestre, si muoveva nell'ambiente trovando risposte soddisfacenti con capacità di giudizi autonomi e indipendenti. Ogni spazio, ogni momento vissuto in quel luogo era una possibile situazione che favoriva il sorgere e lo sviluppo di domande e risposte diverse da quelle preconfezionate dal computer di bordo. Pix percorse tutta la stradina affascinato dallo spettacolo che la natura in quel punto presentava ai suoi occhi e risalì tutto il viale alberato fino al punto di ritrovo dell'appuntamento. Visto che il suo compagno non era ancora arrivato Pix si mise ad osservare la natura circostante. Tutto era immerso in una luce calda, gli alberi tendevano i loro rami costellati di foglie verso il cielo azzurro come gli occhi di... “Pix, Pix, Pix” riconobbe immediatamente quella voce: Olga. Con lui c'era anche Dadi che sotto il braccio portava l'oggetto magico: la palla. Pix lasciò i suoi pensieri e le sue considerazioni su tutto quello che stava osservando e ascoltando e corse verso Olga e Dadi ed emise inaspettatamente, soprattutto per sè, un grido di gioia: “evviva siete arrivati!” I due ragazzi sorpresi da tanto entusiasmo si misero a correre anche loro verso Pix e quando si trovarono si abbracciarono, ridendo e saltando. Sembravano dei vecchi amici che non si vedevano da tempo ed invece si erano conosciuti li proprio il giorno prima. Il primo a parlare fu Dadi: “Pix vuoi venire a giocare una partita di calcio giù al campetto con i miei amici di scuola?” Pix fu preso di sorpresa e rispose immediatamente. “certo Dadi vengo di sicuro” ed ecco che di nuovo il terzetto di amici si abbracciò. Nell'abbraccio Pix sentì distintamente il profumo di Olga, era un profumo fresco che gli ricordava il profumo del fiore che aveva colto dopo la discesa dalla sua astronave . Pix ansimava e boccheggiava dall'eccitazione che quel momento gli procurava esclamando ogni tanto , appena si staccava dagli amici: “che bello giocherò a calcio, che bello, che bello”. Anche questo entusiasmo meravigliò non poco sia Olga sia Dadi il quale non mollava la presa dalla sua palla. Quando si calmò la situazione Pix, che non sapeva cosa fosse e cosa volesse dire filtrare il proprio pensiero e quello che gli frullava nella testa era subito a disposizione della sua lingua, se ne uscì con una bella domanda: “ma scusate Olga e Dadi, come si gioca a calcio?”
05 luglio 2009
PIX 6
PIX 6
Arrivato all'astronave Pix aveva ancora la mente intorpidita dal libero corso dei sentimenti. Si sedette sulla poltrona di comando e mantenne per alcuni secondi le mani penzolanti, socchiuse le palpebre e rivide in un attimo tutta la sua giornata. Via via che le immagini scorrevano Pix si sentiva prendere da uno stato di torpore che quasi magicamente gli infondeva nuove forze. Si destò da quello stato e con il dito indice premette il pulsante: connessione! Sentì e vide sul monitor subito la voce e l'immagine di suo padre: “Pix, Pix, Pix tutto bene?” si sentiva che era un po' in ansia! Pix rispose con entusiasmo: “Papà come va? Tutto bene ? Io sto benissimo! Ho molte cose da raccontarti...”. Pix iniziò a parlare e raccontò tutto a suo padre. Raccontò dei suoi incontri nella città, delle sue esperienze con gli umani e gli parlò ancora del CALCIO, facendo vedere al padre i gesti che il bambino realizzava con la palla. La sua voce durante il racconto aveva preso toni così concitati che anche il padre aveva qualche difficoltà a seguire il racconto, ma riferì i fatti con dovizia di particolari in modo talmente portentoso che al padre parve di riviverli lui stesso. Ma ad un certo punto Pix chiese: “Papà mi puoi mettere in contatto con la mamma, sai devo parlarle di una cosa, diciamo particolare!” Il padre lo fece immediatamente e prima di vederla Pix sentì la dolce voce della madre: “Pix tesoro mio come stai, come va lì sulla terra?” a Pix quelle parole riempirono il centro emozionale e avvicinandosi ancor di più al monitor rispose: “mamma qui va tutto bene! Il cielo è di un azzurro straordinario, dovresti vederlo, così puro così terso, da sembrare dipinto” l'immagine del giovane Pix la colmava talmente di gioia che era a malapena consapevole di star a parlar con lui. All'inizio era stata inquieta per la sua partenza, ma poi si era rassicurata, certa di rivederlo come certo è il divenire del giorno dopo la notte. Pix continuava nel suo racconto: “mamma qui è tutto un ascoltare, fiutare e percepire. Qui l'odore dell'erba si fa strada attraverso le mie narici umane e va a colpire il mio centro neuronale impressionandolo di sensazioni a me sconosciute” che belle parole sentiva dalla voce di suo figlio; lei che aveva immaginato che la terra fosse abitata da uomini dal ventre ripugnante con le bocche da squalo, le mani ad uncino, i petti mostruosi e con i piedi a forma di pinne, provò stupore dinanzi a quella descrizione di quel mondo sconosciuto. Ad un certo punto la voce di Pix si fece più bassa e le parole venivano esternate con più calma: “mamma ho conosciuto una ragazza dal nome Olga” ci fu una pausa e la madre capì che quello era il motivo centrale della loro discussione: “bene Pix parlami di lei”. Pix riprese con l'entusiasmo il suo dialogo, sapeva di poter contare su sua madre e i suoi consigli: “ ha occhi grandi e azzurri, ha delle labbra rosse, un colorito della pelle di un bianco abbagliante e dei capelli biondi color della luce di solex”. La madre si stupì e rimase contenta di questa descrizione così minuziosa che Pix aveva fatto della giovane donna umana, fece un grande sospiro, per svuotarsi di un po' di quella felicità che l'aveva pervasa e si sforzò di parlagli: “caro figlio mio sono immensamente contenta del fatto che tu abbia conosciuto questo essere così grazioso e sento che stai provando una sensazione che sulla terra, se i miei studi non si sbagliano, si chiama innamoramento. Stai attento che questo un po' ti farà soffrire ma sarà un'esperienza che ti crescerà e ti renderà migliore”. I led che illuminavano il tempo per la connessione stavano azzerando le cifre e Pix doveva interrompere la comunicazione. Aveva ancora molte cose da chiedere a sua madre, domande alle quali il computer di bordo non avrebbe risposto. Per ora bastava così e lasciò la madre con un: “mamma sei sempre preziosa e sai sempre dirmi le parole giuste, ciao ci sentiamo prossimamente, saluta papà!” la comunicazione si interruppe. La madre di Pix, dall'altra parte della galassia, sorrise con tenerezza infinita e le braccia di lei lunghe e sottili abbracciarono il monitor che aveva di fronte e dalla bocca uscì una sola parola: “PIX”
Arrivato all'astronave Pix aveva ancora la mente intorpidita dal libero corso dei sentimenti. Si sedette sulla poltrona di comando e mantenne per alcuni secondi le mani penzolanti, socchiuse le palpebre e rivide in un attimo tutta la sua giornata. Via via che le immagini scorrevano Pix si sentiva prendere da uno stato di torpore che quasi magicamente gli infondeva nuove forze. Si destò da quello stato e con il dito indice premette il pulsante: connessione! Sentì e vide sul monitor subito la voce e l'immagine di suo padre: “Pix, Pix, Pix tutto bene?” si sentiva che era un po' in ansia! Pix rispose con entusiasmo: “Papà come va? Tutto bene ? Io sto benissimo! Ho molte cose da raccontarti...”. Pix iniziò a parlare e raccontò tutto a suo padre. Raccontò dei suoi incontri nella città, delle sue esperienze con gli umani e gli parlò ancora del CALCIO, facendo vedere al padre i gesti che il bambino realizzava con la palla. La sua voce durante il racconto aveva preso toni così concitati che anche il padre aveva qualche difficoltà a seguire il racconto, ma riferì i fatti con dovizia di particolari in modo talmente portentoso che al padre parve di riviverli lui stesso. Ma ad un certo punto Pix chiese: “Papà mi puoi mettere in contatto con la mamma, sai devo parlarle di una cosa, diciamo particolare!” Il padre lo fece immediatamente e prima di vederla Pix sentì la dolce voce della madre: “Pix tesoro mio come stai, come va lì sulla terra?” a Pix quelle parole riempirono il centro emozionale e avvicinandosi ancor di più al monitor rispose: “mamma qui va tutto bene! Il cielo è di un azzurro straordinario, dovresti vederlo, così puro così terso, da sembrare dipinto” l'immagine del giovane Pix la colmava talmente di gioia che era a malapena consapevole di star a parlar con lui. All'inizio era stata inquieta per la sua partenza, ma poi si era rassicurata, certa di rivederlo come certo è il divenire del giorno dopo la notte. Pix continuava nel suo racconto: “mamma qui è tutto un ascoltare, fiutare e percepire. Qui l'odore dell'erba si fa strada attraverso le mie narici umane e va a colpire il mio centro neuronale impressionandolo di sensazioni a me sconosciute” che belle parole sentiva dalla voce di suo figlio; lei che aveva immaginato che la terra fosse abitata da uomini dal ventre ripugnante con le bocche da squalo, le mani ad uncino, i petti mostruosi e con i piedi a forma di pinne, provò stupore dinanzi a quella descrizione di quel mondo sconosciuto. Ad un certo punto la voce di Pix si fece più bassa e le parole venivano esternate con più calma: “mamma ho conosciuto una ragazza dal nome Olga” ci fu una pausa e la madre capì che quello era il motivo centrale della loro discussione: “bene Pix parlami di lei”. Pix riprese con l'entusiasmo il suo dialogo, sapeva di poter contare su sua madre e i suoi consigli: “ ha occhi grandi e azzurri, ha delle labbra rosse, un colorito della pelle di un bianco abbagliante e dei capelli biondi color della luce di solex”. La madre si stupì e rimase contenta di questa descrizione così minuziosa che Pix aveva fatto della giovane donna umana, fece un grande sospiro, per svuotarsi di un po' di quella felicità che l'aveva pervasa e si sforzò di parlagli: “caro figlio mio sono immensamente contenta del fatto che tu abbia conosciuto questo essere così grazioso e sento che stai provando una sensazione che sulla terra, se i miei studi non si sbagliano, si chiama innamoramento. Stai attento che questo un po' ti farà soffrire ma sarà un'esperienza che ti crescerà e ti renderà migliore”. I led che illuminavano il tempo per la connessione stavano azzerando le cifre e Pix doveva interrompere la comunicazione. Aveva ancora molte cose da chiedere a sua madre, domande alle quali il computer di bordo non avrebbe risposto. Per ora bastava così e lasciò la madre con un: “mamma sei sempre preziosa e sai sempre dirmi le parole giuste, ciao ci sentiamo prossimamente, saluta papà!” la comunicazione si interruppe. La madre di Pix, dall'altra parte della galassia, sorrise con tenerezza infinita e le braccia di lei lunghe e sottili abbracciarono il monitor che aveva di fronte e dalla bocca uscì una sola parola: “PIX”
03 luglio 2009
PIX 5
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Terribilmente stanco, Pix ritenne di aver visto e sentito abbastanza per quel giorno. Fu allora che riguadagnò la strada per l'astronave e quando fu in mezzo alla campagna, come preso da illuminazione spaziale, chiuse gli occhi e si lasciò cadere a terra. Il calore della giornata gli fu subito addosso, percepiva tutti gli odori di quel posto. Da quando aveva preso le sembianze umane era continuamente assalito da miriadi di sensazioni olfattive e queste gli amplificavano tutte l'emozioni vissute. Tutte le situazioni avevano un profumo. Il campo sul quale era atterrato odorava di fieno, la strada sterrata odorava di polvere, la ragazza che aveva conosciuta odorava di bucato appena lavato, il bar odorava di umanità e ora sentiva altri odore. Di fianco a lui scorreva l'acqua in un fosso e questa sprigionava un vapore fresco. Pix ne annusò con gioa l'odore e dopo averlo fatto si rialzò sfregandosi, con le mani, il sedere dalla polvere. Il vento aveva disperso le nuvole e il sole caldo splendeva nel cielo azzurro ed immenso. Le case, vagamente illuminate da questa luce, avevano ripreso la loro consistenza opaca quella dei mattoni faccia a vista delle pareti. Pix posò la mano sul tronco di un albero e degli insetti si misero a girargli attorno alle dita, come se avessero riconosciuto la non umanità di quel giovane uomo. Attraverso la mano il non terrestre sentiva il calore di quell'insieme di molecole organiche. Era una sensazione piacevole scoprire la vita scorrere in tutto quello che vedeva, toccava e annusava. Sorrise al proprio corpo che stava scoprendo di momento in momento, alzò le mani e si mise a giocare con le dita, mimando delle marionette, subito dopo si toccò gli occhi e li sentì umidi stava piangendo di felicità. Era contento e il suo corpo voleva farglielo rilevare. In quel preciso momento sentì uno scricchiolio di passi sul terreno fatto di ghiaia, a tre metri da lui si materializzò un bambino dai capelli biondi che giocava con una palla simile a quella dei calciatori visti sullo schermo nel bar. Scoppiò a ridere e si disse: “la giornata non è ancora finita”. Gli si avvicinò e lo osservò attentamente mentre giocava con quella sfera che dai rimbalzi e dagli effetti ricevuti sembrava magica. Questo attrezzo era per lui in quel momento un elemento simbolico e data la poliedricità d'utilizzo era una fonte inesauribile di stimoli nuovi e diversi, soprattutto se posti in relazione agli oggetti e al mondo esterno di quel momento . Il fatto di polvere, acqua, sole e cielo. Che il bambino poi giocasse con i piedi metteva ancora più in evidenza la tridimensionalità dello spazio, la sua creatività nel colpirla e nel farla roteare in aria lo divertiva, lo appassionava e il bimbo accortosi di tutto questo gli passò la palla con un lancio Pix vide la palla arrivare, si posizionò per riceverla e quando fu vicina a lui cercò di afferrarla ma questa come indispettita dal cambio di proprietà fuggi e rimbalzando li vicino cadde dentro al fosso e l'acqua la portò via!
Terribilmente stanco, Pix ritenne di aver visto e sentito abbastanza per quel giorno. Fu allora che riguadagnò la strada per l'astronave e quando fu in mezzo alla campagna, come preso da illuminazione spaziale, chiuse gli occhi e si lasciò cadere a terra. Il calore della giornata gli fu subito addosso, percepiva tutti gli odori di quel posto. Da quando aveva preso le sembianze umane era continuamente assalito da miriadi di sensazioni olfattive e queste gli amplificavano tutte l'emozioni vissute. Tutte le situazioni avevano un profumo. Il campo sul quale era atterrato odorava di fieno, la strada sterrata odorava di polvere, la ragazza che aveva conosciuta odorava di bucato appena lavato, il bar odorava di umanità e ora sentiva altri odore. Di fianco a lui scorreva l'acqua in un fosso e questa sprigionava un vapore fresco. Pix ne annusò con gioa l'odore e dopo averlo fatto si rialzò sfregandosi, con le mani, il sedere dalla polvere. Il vento aveva disperso le nuvole e il sole caldo splendeva nel cielo azzurro ed immenso. Le case, vagamente illuminate da questa luce, avevano ripreso la loro consistenza opaca quella dei mattoni faccia a vista delle pareti. Pix posò la mano sul tronco di un albero e degli insetti si misero a girargli attorno alle dita, come se avessero riconosciuto la non umanità di quel giovane uomo. Attraverso la mano il non terrestre sentiva il calore di quell'insieme di molecole organiche. Era una sensazione piacevole scoprire la vita scorrere in tutto quello che vedeva, toccava e annusava. Sorrise al proprio corpo che stava scoprendo di momento in momento, alzò le mani e si mise a giocare con le dita, mimando delle marionette, subito dopo si toccò gli occhi e li sentì umidi stava piangendo di felicità. Era contento e il suo corpo voleva farglielo rilevare. In quel preciso momento sentì uno scricchiolio di passi sul terreno fatto di ghiaia, a tre metri da lui si materializzò un bambino dai capelli biondi che giocava con una palla simile a quella dei calciatori visti sullo schermo nel bar. Scoppiò a ridere e si disse: “la giornata non è ancora finita”. Gli si avvicinò e lo osservò attentamente mentre giocava con quella sfera che dai rimbalzi e dagli effetti ricevuti sembrava magica. Questo attrezzo era per lui in quel momento un elemento simbolico e data la poliedricità d'utilizzo era una fonte inesauribile di stimoli nuovi e diversi, soprattutto se posti in relazione agli oggetti e al mondo esterno di quel momento . Il fatto di polvere, acqua, sole e cielo. Che il bambino poi giocasse con i piedi metteva ancora più in evidenza la tridimensionalità dello spazio, la sua creatività nel colpirla e nel farla roteare in aria lo divertiva, lo appassionava e il bimbo accortosi di tutto questo gli passò la palla con un lancio Pix vide la palla arrivare, si posizionò per riceverla e quando fu vicina a lui cercò di afferrarla ma questa come indispettita dal cambio di proprietà fuggi e rimbalzando li vicino cadde dentro al fosso e l'acqua la portò via!
30 giugno 2009
PIX 4
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“Io...”iniziò: “ehm!”.
Si schiarì la voce e proseguì: “mi chiamo Pix, e...e...e non sono di qui!” Non avrebbe mai immaginato che potesse essere così diretta la sua comunicazione verso un umano. Lo stupore ridestò la sua attenzione e per una frazione di secondo vide la ragazza per quello che era, un insieme fragile e solida di carni sode e tenere in poche parole: radiosa. “Lei... oh mi scusi, oh scusa...” non sapeva se usare la forma confidenziale -tu- o l'impersonale -lei-: “tu sei così...” optò per il tu e ricominciò a parlare e stava per dire: “così carina” ma si rese conto che il suo complimento era fuori luogo e soprattutto un po' troppo affrettato. Non finì la frase e arrossì. Presa alla sprovvista Olga non seppe cosa dire allora scoppiò a ridere e così mostrò ancora di più la sua bellezza. Si voltò e se ne andò cantando: “si chiama Pix, si chiama Pix, ed è un bel mix di misterix! Si chiama Pix, si chiama Pix, ed è un bel mix di misterix!! ah ah ah” rideva e correva lungo il viale come se volesse cantare la sua gioa, la sua gioa di vivere. La sua riflessione la disse ad alta voce a se stesso: “Che strani questi umani mi ci vorrà un po' di tempo per capirli ma credo che ne varrà la pena” e si incamminò verso la cittadina che ormai si trovava d'inanzi a sè, quando un campanile vicino rintoccò, con le sue campane, le tre del pomeriggio. Mezz'ora più tardi entrò in un locale che era stracolmo di gente. Alle 15.30 precise , in piedi al centro del locale si levò lo zainetto dalle spalle e appoggiandolo su un tavolino si sedette. Tutti in quel Bar, così lo chiamavano gli umani, volgevano l'attenzione verso un monitor che si trovava appeso in un angolo del locale. C'era un frastuono incredibile chi urlava, chi urlava e si muoveva e chi urlava si muoveva e nello stesso tempo beveva una bevanda di colore giallognolo ricoperta da una schiuma bianca. Un vero caos! E per cosa? Per una partita di CALCIO! Infatti sul monitor scorrevano immagini di umani in pantaloncini corti e magliette colorate che rincorrevano la palla e si affannavano per contrastare quelli , che con una maglietta diversa volevano fare altrettanto. Lo spettacolo era divertente più il gioco si avvicinava alla porta più il rumore si alzava e si rendeva fastidioso. Ma ad un certo punto il caos raggiunse il livello massimo: l'omino vestito di nero aveva fischiato e aveva indirizzato il proprio braccio verso il centro del campo. L'apoteosi! Tutti urlavano, tutti gridavano: “GOL”. Nel momento che questo si realizzò, Pix venne travolto dagli abbracci e da dei colpi sul petto che lo fecero tossire fin quasi a perdere i sensi. Fu come se gli occhi e le orecchie gli schizzassero via dal viso e anche la lingua se ne voleva andare dalla sua sede naturale. Si trovò straordinariamente sollevato dal suolo, i suoi piedi non posavano più per terra e il suo corpo aveva la leggerezza della polvere di stelle. Si sentì invadere da una felicità divorante e il peso del suo pensiero si dissolse! Accidenti che effetto faceva questo calcio! Solo dopo alcuni interminabili minuti l'ambiente tornò alla calma. Pix rideva e si rendeva conto di provare qualcosa di unico, qualcosa che nella sua esistenza non aveva mai provato, sentì un brivido corrergli su per la schiena e mille timori fecero vacillare le sue certezze razionali. Erano forse queste le famose EMOZIONI UMANE?! Era felice come un bambino con un giocattolo nuovo. Aveva viaggiato molto, aveva conosciuto mondi diversi ma questa esperienza lo faceva stare bene con se stesso. La stessa gioia forse l'aveva provata quando dal Gran Comando Militare di Terrax era arrivata la comunicazione dell'accettazione della sua domanda di ammissione all'Accademia Aerospaziale.
La partita continuò e di quelle scene se ne ripeterono altre due. Al termine della gara tutti uscirono dal locale allegri e contenti ridendo e cantando e tutti si avviarono verso direzioni a lui sconosciute. Rimase solo, così si riavviò verso l'astronave era stata una giornata piena di eventi straordinari e doveva riferire tutto a suo padre. A sua madre avrebbe raccontato di Olga!
“Io...”iniziò: “ehm!”.
Si schiarì la voce e proseguì: “mi chiamo Pix, e...e...e non sono di qui!” Non avrebbe mai immaginato che potesse essere così diretta la sua comunicazione verso un umano. Lo stupore ridestò la sua attenzione e per una frazione di secondo vide la ragazza per quello che era, un insieme fragile e solida di carni sode e tenere in poche parole: radiosa. “Lei... oh mi scusi, oh scusa...” non sapeva se usare la forma confidenziale -tu- o l'impersonale -lei-: “tu sei così...” optò per il tu e ricominciò a parlare e stava per dire: “così carina” ma si rese conto che il suo complimento era fuori luogo e soprattutto un po' troppo affrettato. Non finì la frase e arrossì. Presa alla sprovvista Olga non seppe cosa dire allora scoppiò a ridere e così mostrò ancora di più la sua bellezza. Si voltò e se ne andò cantando: “si chiama Pix, si chiama Pix, ed è un bel mix di misterix! Si chiama Pix, si chiama Pix, ed è un bel mix di misterix!! ah ah ah” rideva e correva lungo il viale come se volesse cantare la sua gioa, la sua gioa di vivere. La sua riflessione la disse ad alta voce a se stesso: “Che strani questi umani mi ci vorrà un po' di tempo per capirli ma credo che ne varrà la pena” e si incamminò verso la cittadina che ormai si trovava d'inanzi a sè, quando un campanile vicino rintoccò, con le sue campane, le tre del pomeriggio. Mezz'ora più tardi entrò in un locale che era stracolmo di gente. Alle 15.30 precise , in piedi al centro del locale si levò lo zainetto dalle spalle e appoggiandolo su un tavolino si sedette. Tutti in quel Bar, così lo chiamavano gli umani, volgevano l'attenzione verso un monitor che si trovava appeso in un angolo del locale. C'era un frastuono incredibile chi urlava, chi urlava e si muoveva e chi urlava si muoveva e nello stesso tempo beveva una bevanda di colore giallognolo ricoperta da una schiuma bianca. Un vero caos! E per cosa? Per una partita di CALCIO! Infatti sul monitor scorrevano immagini di umani in pantaloncini corti e magliette colorate che rincorrevano la palla e si affannavano per contrastare quelli , che con una maglietta diversa volevano fare altrettanto. Lo spettacolo era divertente più il gioco si avvicinava alla porta più il rumore si alzava e si rendeva fastidioso. Ma ad un certo punto il caos raggiunse il livello massimo: l'omino vestito di nero aveva fischiato e aveva indirizzato il proprio braccio verso il centro del campo. L'apoteosi! Tutti urlavano, tutti gridavano: “GOL”. Nel momento che questo si realizzò, Pix venne travolto dagli abbracci e da dei colpi sul petto che lo fecero tossire fin quasi a perdere i sensi. Fu come se gli occhi e le orecchie gli schizzassero via dal viso e anche la lingua se ne voleva andare dalla sua sede naturale. Si trovò straordinariamente sollevato dal suolo, i suoi piedi non posavano più per terra e il suo corpo aveva la leggerezza della polvere di stelle. Si sentì invadere da una felicità divorante e il peso del suo pensiero si dissolse! Accidenti che effetto faceva questo calcio! Solo dopo alcuni interminabili minuti l'ambiente tornò alla calma. Pix rideva e si rendeva conto di provare qualcosa di unico, qualcosa che nella sua esistenza non aveva mai provato, sentì un brivido corrergli su per la schiena e mille timori fecero vacillare le sue certezze razionali. Erano forse queste le famose EMOZIONI UMANE?! Era felice come un bambino con un giocattolo nuovo. Aveva viaggiato molto, aveva conosciuto mondi diversi ma questa esperienza lo faceva stare bene con se stesso. La stessa gioia forse l'aveva provata quando dal Gran Comando Militare di Terrax era arrivata la comunicazione dell'accettazione della sua domanda di ammissione all'Accademia Aerospaziale.
La partita continuò e di quelle scene se ne ripeterono altre due. Al termine della gara tutti uscirono dal locale allegri e contenti ridendo e cantando e tutti si avviarono verso direzioni a lui sconosciute. Rimase solo, così si riavviò verso l'astronave era stata una giornata piena di eventi straordinari e doveva riferire tutto a suo padre. A sua madre avrebbe raccontato di Olga!
29 giugno 2009
PIX 3
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Tacque un istante; i suoi occhi azzurri, trasognati, contemplavano qualche straordinaria visione. Si passò di nuovo la mano nei capelli per provare a se stesso che quel momento era vero e non frutto di un'allucinazione dovuta all'alta percentuale di ossigeno presente nell'aria di quello splendido pianeta. Non gli era certo proibito sperare che dopo aver viaggiato per milioni di chilometri, aver studiato il genere umano era giunto in quel preciso istante il momento del primo contatto con questa specie così diversa e così affascinante. Perchè no? Fece un'altra pausa nel suo pensiero. Sconvolto dalla bellezza di quel paesaggio che vedeva sotto e davanti a se, disegnava nella sua mente il primo incontro con un umano. Cosa gli avrebbe detto o meglio cosa si sarebbero detti? La sua intelligenza, la sua formazione scientifica gli consentivano di aspettarsi una stretta e fruttuosa collaborazione con l'umanità. Sapeva che nel momento del “CONTATTO” avrebbe saputo trovare le parole giuste, non sapeva ancora quali ma sarebbero state sicuramente quelle giuste. Provava dentro di se un'emozione tutta particolare che sino ad allora non aveva conosciuto gli piaceva essere così, voleva essere così. Si ricordò in quell'istante che doveva chiamare suo padre per informarlo sulla situazione ma poi si disse che non era granchè importante, il compito che gli si profilava era ben di altra portata. In quell'istante un piccolo animaletto volante gli si appiccicò sulla palpebra e lo costrinse a chiudere gli occhi. Una lacrima gli incollò momentaneamente le ciglia e mentre con la mano cercava di staccarsi da questo piccolo fastidio un altro di quei piccoli oggetti volanti gli entrò nelle narici e scivolò giù nella gola: starnutì! Ecco un altro segno della sua nuova identità di umano! Dopo lo starnuto, che aveva causato una flessione del capo sul petto, alzò la testa e li vicino vide che si apriva un viale che s'inoltrava fra la boscaglia, ai suoi lati correvano degli alberi di un verde cupo, alti e filiformi. Su questo lembo di natura regnava il silenzio più totale. Pix attraversò il viale e tra gli spazi che vi erano tra i tronchi degli alberi intravedeva delle case isolate e man mano che si inoltrava nel viale l'agglomerato di case diventava sempre più fitto. Una città pensò Pix! Mentre osservava le abitazioni in lontananza, l'eccitazione aumentava in intensità. Pix sentì dei rumori davanti a sé e riportò la sua attenzione sul viale alberato e così facendo vide di fronte a sè una ragazza. Mentre la ragazza si muoveva verso di lui cercò di rilevare tutti i dai possibili e necessari per avere un quadro preciso dell'umano che aveva difronte. Aveva pressappoco la sua età terreste, tredici o quattordici anni, aveva indosso una gonna a pieghe verde acqua e una camicetta bianca di pizzo. La gonna ne disegnava la vita sottile, si arrotondava sulle anche e ondeggiava sulle gambe lunghe e magre. I capelli erano raccolti in una treccia che gli arrivava a metà schiena. Fissandogli il viso il suo stato d'animo cambiò, provava un'emozione strana era come se quella parte del corpo fosse fonte di ricordi. Il suo colorito roseo gli ricordava i tramonti visti dall'oblò della sua cameretta. I suoi occhi verde acqua gli ricordavano lo scorrere impetuoso dei ruscelli che ogni notte da piccolo suo padre gli faceva vedere nei video libri. Era rimasto incantato. La ragazza sorrideva senza chiudere le labbra e la composizione di quelle linee curve inondavano il viso di dolcezza e di mistero. Pix non era ancora in grado di apprezzare la bellezza femminile, lui viveva di fredde immagini che il suo elaboratore di bordo gli aveva trasferito definendo il genere femminile, ma quel viso aveva scosso il suo animo terrestre e non solo! Ad un certo punto, quasi rompendo un incantesimo con disinvoltura la giovane donna si avvicinò e gli chiese: “ciao come ti chiami? Tu non sei di queste parti vero? Io mi chiamo Olga” e distese un braccio verso di lui cercando di stringergli la mano. Pix era inebetito, impacciato e non sapeva cosa rispondere. Vide quella mano protrarsi verso di lui e non vide cosa migliore da fare che afferrarla e stringerla. Dopo averle stretto la mano era già in preda alla curiosità di sapere tutto di lei però l'unica parola che riusci a far uscire dalla sua bocca fu: “Pix”
Tacque un istante; i suoi occhi azzurri, trasognati, contemplavano qualche straordinaria visione. Si passò di nuovo la mano nei capelli per provare a se stesso che quel momento era vero e non frutto di un'allucinazione dovuta all'alta percentuale di ossigeno presente nell'aria di quello splendido pianeta. Non gli era certo proibito sperare che dopo aver viaggiato per milioni di chilometri, aver studiato il genere umano era giunto in quel preciso istante il momento del primo contatto con questa specie così diversa e così affascinante. Perchè no? Fece un'altra pausa nel suo pensiero. Sconvolto dalla bellezza di quel paesaggio che vedeva sotto e davanti a se, disegnava nella sua mente il primo incontro con un umano. Cosa gli avrebbe detto o meglio cosa si sarebbero detti? La sua intelligenza, la sua formazione scientifica gli consentivano di aspettarsi una stretta e fruttuosa collaborazione con l'umanità. Sapeva che nel momento del “CONTATTO” avrebbe saputo trovare le parole giuste, non sapeva ancora quali ma sarebbero state sicuramente quelle giuste. Provava dentro di se un'emozione tutta particolare che sino ad allora non aveva conosciuto gli piaceva essere così, voleva essere così. Si ricordò in quell'istante che doveva chiamare suo padre per informarlo sulla situazione ma poi si disse che non era granchè importante, il compito che gli si profilava era ben di altra portata. In quell'istante un piccolo animaletto volante gli si appiccicò sulla palpebra e lo costrinse a chiudere gli occhi. Una lacrima gli incollò momentaneamente le ciglia e mentre con la mano cercava di staccarsi da questo piccolo fastidio un altro di quei piccoli oggetti volanti gli entrò nelle narici e scivolò giù nella gola: starnutì! Ecco un altro segno della sua nuova identità di umano! Dopo lo starnuto, che aveva causato una flessione del capo sul petto, alzò la testa e li vicino vide che si apriva un viale che s'inoltrava fra la boscaglia, ai suoi lati correvano degli alberi di un verde cupo, alti e filiformi. Su questo lembo di natura regnava il silenzio più totale. Pix attraversò il viale e tra gli spazi che vi erano tra i tronchi degli alberi intravedeva delle case isolate e man mano che si inoltrava nel viale l'agglomerato di case diventava sempre più fitto. Una città pensò Pix! Mentre osservava le abitazioni in lontananza, l'eccitazione aumentava in intensità. Pix sentì dei rumori davanti a sé e riportò la sua attenzione sul viale alberato e così facendo vide di fronte a sè una ragazza. Mentre la ragazza si muoveva verso di lui cercò di rilevare tutti i dai possibili e necessari per avere un quadro preciso dell'umano che aveva difronte. Aveva pressappoco la sua età terreste, tredici o quattordici anni, aveva indosso una gonna a pieghe verde acqua e una camicetta bianca di pizzo. La gonna ne disegnava la vita sottile, si arrotondava sulle anche e ondeggiava sulle gambe lunghe e magre. I capelli erano raccolti in una treccia che gli arrivava a metà schiena. Fissandogli il viso il suo stato d'animo cambiò, provava un'emozione strana era come se quella parte del corpo fosse fonte di ricordi. Il suo colorito roseo gli ricordava i tramonti visti dall'oblò della sua cameretta. I suoi occhi verde acqua gli ricordavano lo scorrere impetuoso dei ruscelli che ogni notte da piccolo suo padre gli faceva vedere nei video libri. Era rimasto incantato. La ragazza sorrideva senza chiudere le labbra e la composizione di quelle linee curve inondavano il viso di dolcezza e di mistero. Pix non era ancora in grado di apprezzare la bellezza femminile, lui viveva di fredde immagini che il suo elaboratore di bordo gli aveva trasferito definendo il genere femminile, ma quel viso aveva scosso il suo animo terrestre e non solo! Ad un certo punto, quasi rompendo un incantesimo con disinvoltura la giovane donna si avvicinò e gli chiese: “ciao come ti chiami? Tu non sei di queste parti vero? Io mi chiamo Olga” e distese un braccio verso di lui cercando di stringergli la mano. Pix era inebetito, impacciato e non sapeva cosa rispondere. Vide quella mano protrarsi verso di lui e non vide cosa migliore da fare che afferrarla e stringerla. Dopo averle stretto la mano era già in preda alla curiosità di sapere tutto di lei però l'unica parola che riusci a far uscire dalla sua bocca fu: “Pix”
25 giugno 2009
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Per molte ore Pix cercò un posto dove atterrare e poter posare i tre lunghi sostegni della sua astronave. Non c'era timore di farsi notare e farsi scoprire, perchè la navicella spaziale aveva inserito un nuovo dispositivo il -MIMESI- che permetteva all'oggetto volante di mimetizzarsi in qualsiasi ambiente si fosse trovato. In quei pochi giorni aveva studiato il territorio più idoneo per un atterraggio e il posto che soddisfaceva anche la sua curiosità su questo nuovo ed entusiasmante gioco chiamato CALCIO veniva chiamato dagli umani Pianura Padana. Era un posto tranquillo con la presenza di umani laboriosi fino allo sfinimento. Il comportamento umano degli abitanti di questa pianura lo affascinava, l'instancabilità di questi esseri lo sorprendeva. Lavoravano sempre! Tutti i giorni, al mattino, al pomeriggio, alla sera e alla notte: sempre! Meno un giorno, quello che chiamavano: domenica. In quel giorno la maggior parte di loro si divertivano a giocare a calcio. Strani esseri, sicuramente degni della sua attenzione. C'era un problema il suo aspetto. Era così diverso dagli umani che si sarebbero sicuramente rifiutati di far conoscenza con un tipo così strano. Così prima di atterrare e conoscere i Padani si trasformò da essere fosforescente e filiforme in un UMANO vero e proprio. Per mezzo del -TRASFORMIX- un congegno che aveva progettato suo padre, grande conoscitore del genere umano, si era trasformato in un bel bambino di tredici anni: aveva occhi di un azzurro luminoso, il viso magro e di un candore impressionante con un naso e le labbra sottilissimi. La macchina aveva fatto proprio un bel lavoro, anche se Pix non riusciva a sopportare tutti quei peli che ricoprivano in modo abbondante alcune parti del suo corpo. Si passava sempre, oramai era diventato una specie di tic, la mano destra dalle dita magre e lunghe tra i capelli di un biondo molto chiaro, appiattiti a ciocche contro il cranio dal berretto che si trovava in testa senza sapere il perchè. Ad un tratto vide il posto, sistemò tutto il suo equipaggiamento si sedette sul sedile della navicella ed impostò la rotta di atterraggio. Afferrava e muoveva le manopole con gesti efficaci, senza lentezza ne fretta nervosa, fin dall'infanzia era stato addestrato a pilotare oggetti volanti ed era diventato uno dei migliori del suo corso all'accademia spaziale. In pochissimo tempo realizzò la manovra sistemando l'astronave in una radura dai colori freschi e vivaci. Il contatto era avvenuto ora non rimaneva che scendere. Si alzò dal sedile e dimenticando ogni raccomandazione e soprattutto trascurando le procedure di contatto ravvicinato, premette il pulsante di apertura dello sportellone centrale e corse verso di esso per uscire dall'abitacolo il più in fretta possibile. Non vedeva nulla perchè Tutto era nascosto dai fumi dei razzi che avevano permesso il lento ma sicuro contatto con il suolo; Ma ad un certo punto quella nebbia artificiale scomparve e Pix scendendo la scaletta mise un piede sulla TERRA! La luce che lo illuminava gli sembrava composta da una miriade di colori e vide come in un sogno le mani di sua madre che lo invitavano a scendere e muoversi in quel mondo a lui estraneo. Una leggera brezza lo avvolgeva e sentiva entrare nelle cavità che si trovava sopra alla bocca, le narici, qualcosa che lo stordiva e lo inebriava era come se dentro di se stesse entrando il soffio della vita umana. Sentì improvvisamente una forza tremenda esplodere dentro di sé. Sentiva un gran freddo alle estremità cioè ai piedi e alle mani. Seppe che stava facendo qualcosa per lui di inusuale: tossì. Era UMANO!
Per molte ore Pix cercò un posto dove atterrare e poter posare i tre lunghi sostegni della sua astronave. Non c'era timore di farsi notare e farsi scoprire, perchè la navicella spaziale aveva inserito un nuovo dispositivo il -MIMESI- che permetteva all'oggetto volante di mimetizzarsi in qualsiasi ambiente si fosse trovato. In quei pochi giorni aveva studiato il territorio più idoneo per un atterraggio e il posto che soddisfaceva anche la sua curiosità su questo nuovo ed entusiasmante gioco chiamato CALCIO veniva chiamato dagli umani Pianura Padana. Era un posto tranquillo con la presenza di umani laboriosi fino allo sfinimento. Il comportamento umano degli abitanti di questa pianura lo affascinava, l'instancabilità di questi esseri lo sorprendeva. Lavoravano sempre! Tutti i giorni, al mattino, al pomeriggio, alla sera e alla notte: sempre! Meno un giorno, quello che chiamavano: domenica. In quel giorno la maggior parte di loro si divertivano a giocare a calcio. Strani esseri, sicuramente degni della sua attenzione. C'era un problema il suo aspetto. Era così diverso dagli umani che si sarebbero sicuramente rifiutati di far conoscenza con un tipo così strano. Così prima di atterrare e conoscere i Padani si trasformò da essere fosforescente e filiforme in un UMANO vero e proprio. Per mezzo del -TRASFORMIX- un congegno che aveva progettato suo padre, grande conoscitore del genere umano, si era trasformato in un bel bambino di tredici anni: aveva occhi di un azzurro luminoso, il viso magro e di un candore impressionante con un naso e le labbra sottilissimi. La macchina aveva fatto proprio un bel lavoro, anche se Pix non riusciva a sopportare tutti quei peli che ricoprivano in modo abbondante alcune parti del suo corpo. Si passava sempre, oramai era diventato una specie di tic, la mano destra dalle dita magre e lunghe tra i capelli di un biondo molto chiaro, appiattiti a ciocche contro il cranio dal berretto che si trovava in testa senza sapere il perchè. Ad un tratto vide il posto, sistemò tutto il suo equipaggiamento si sedette sul sedile della navicella ed impostò la rotta di atterraggio. Afferrava e muoveva le manopole con gesti efficaci, senza lentezza ne fretta nervosa, fin dall'infanzia era stato addestrato a pilotare oggetti volanti ed era diventato uno dei migliori del suo corso all'accademia spaziale. In pochissimo tempo realizzò la manovra sistemando l'astronave in una radura dai colori freschi e vivaci. Il contatto era avvenuto ora non rimaneva che scendere. Si alzò dal sedile e dimenticando ogni raccomandazione e soprattutto trascurando le procedure di contatto ravvicinato, premette il pulsante di apertura dello sportellone centrale e corse verso di esso per uscire dall'abitacolo il più in fretta possibile. Non vedeva nulla perchè Tutto era nascosto dai fumi dei razzi che avevano permesso il lento ma sicuro contatto con il suolo; Ma ad un certo punto quella nebbia artificiale scomparve e Pix scendendo la scaletta mise un piede sulla TERRA! La luce che lo illuminava gli sembrava composta da una miriade di colori e vide come in un sogno le mani di sua madre che lo invitavano a scendere e muoversi in quel mondo a lui estraneo. Una leggera brezza lo avvolgeva e sentiva entrare nelle cavità che si trovava sopra alla bocca, le narici, qualcosa che lo stordiva e lo inebriava era come se dentro di se stesse entrando il soffio della vita umana. Sentì improvvisamente una forza tremenda esplodere dentro di sé. Sentiva un gran freddo alle estremità cioè ai piedi e alle mani. Seppe che stava facendo qualcosa per lui di inusuale: tossì. Era UMANO!
18 giugno 2009
17 giugno 2009
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In un angolo remoto della via Lattea viveva, su un pianeta dal nome esotico: Terrax, illuminato dalla stella Solex, un popolo molto evoluto. Questo popolo era composto da più di un miliardo di esseri fluorescenti che, grazie alla loro formidabile intelligenza, erano riusciti a creare e a conservare un ambiente meraviglioso e ideale per la loro esistenza. Erano arrivati addirittura a pensare che la conservazione del loro pianeta dovesse passare dal fatto che nessuno doveva viverci sul pianeta. Così tutti gli abitanti di Terrax vivevano su navicelle spaziali orbitanti attorno al pianeta stesso. Tanto era bello il loro pianeta tanto erano tristi i Terraxani!
La famiglia Alfax, formata da papà, mamma e il giovane Pix, abitava in una comoda residenza volante che orbitava a duecento chilometri da Terrax. La vista che si godeva dal grande oblò della cucina era meravigliosa: si vedeva addirittura tutto il sistema solare. Sin da piccolo, quando la sera il papà gli raccontava di mondi lontani, Pix gli chiedeva sempre la stessa cosa: “papà parlami del sole e del suo pianeta piu bello: la terra!” Il padre gli spiegava che il Sole, con il suo fortissimo calore permetteva sul pianeta Terra, solo su di essa, l'esistenza di esseri viventi chiamati uomini che dominavano il pianeta. Questi lavoravano sul pianeta, si muovevano sul pianeta insomma facevano tutto sul loro pianeta! Pix, sognando ad occhi aperti, diceva: “un giorno costruirò una navicella spaziale e andrò a trovare gli uomini!” dopo di che si addormentava e sognava la Terra e gli Umani. Il tempo passava e il piccolo Pix cresceva e le sue giornate erano dedicate a progettare un veivolo in grado di affrontare il viaggio interplanetario. La mamma e il papà erano un po' preoccupati per questa strana volontà del loro amato figliolo e si chiedevano cosa mai avesse voluto più di quanto aveva. Perchè in lui c'era questa voglia di conoscere questo pianeta piccolo e sconosciuto?
Ma arrivò il giorno della partenza: Pix salutò i genitori e i parenti e sicuro del successo del suo viaggio partì. In pochi giorni attraversò lo spazio infinito che per anni aveva osservato dal grande oblò della cucina di casa, stava per entrare nel sistema solare. La rotta che aveva programmato con il padre lo portò vicino alla Luna, e a quel punto Pix puntò verso la direzione voluta: la Terra!
Più si avvicinava ad esso più gli sembrava bello e invitante. Quando era ormai vicino, notò che la superficie presentava grandi macchie di colore blu e altre di colore verde e altre ancora di colore marrone. Ne scelse una vi si avvicinò e atterrò comodamente. Il paesaggio era meraviglioso. Alti Alberi si alternavano ad ampie radure. L'azzurro del cielo faceva da cornice a quelle splendide immagini. Pix scrutò a fondo l'ambiente per trovare tracce di Umani. Finalmente li trovò! Erano tutti in un grande “catino” che saltavano, urlavano e si muovevano a un ritmo frenetico. Nel mezzo del catino c'erano degli altri Umani che rincorrevano un oggetto rimbalzante e sbuffando e correndo cercavano di conquistarlo e colpirlo. Rapito da ciò che vedeva, Pix si era dimenticato di essere a bordo del disco volante, in collegamento con suo padre. Quando se ne rese conto, gli manifestò il suo entusiasmo: “il pianeta è meraviglioso, vorrei che tu fossi qui, tra poco partirò e mi dirigerò verso oriente” comunicò riaccendendo i reattori. Quando pensò di essersi spostato a sufficienza, Pix decise di atterrare. Scelse un posto appartato. Il luogo era molto diverso dal precedente. Vi erano infatti grandi costruzioni dal tetto dorato e dalle facciate colorate ma anche lì trovo: “il grande catino” pieno di umani urlanti e agitati che si entusiasmavano nel vedere altri Umani rincorrere sempre lo stesso attrezzo che Pix lesse sul monitor del computer di bordo chiamarsi Palla. Decise di spostarsi ancora più ad oriente e presto arrivò in un altro paese dove notò che gli umani di quella parte della terra aveva il colore della pelle più chiaro rispetto a quella degli uomini che aveva visto in precedenza. I loro volti incorniciati da capelli lisci e nerissimi, erano illuminati da occhi scuri e sottili. Anche lì Pix trovò lo stesso “catino” che finalmente sapeva come lo chiamavano gli umani: STADIO, e quello che facevano i gli umani dentro allo stadio era quello di assistere ad una partita di CALCIO! Si convinse definitivamente che quella dovesse essere l'attività preferita degli Umani quando dirigendosi a sud trovò anche lì uno Stadio con gente che incitava a squarciagola i praticanti del Calcio. Prima di tornare dai suoi cari, Pix voleva visitare un posto che gli Umani chiamavano Europa. Sorvolò verdissime vallate, dove ogni tanto sorgeva un vecchio castello e anche li trovò uno stadio era notte e il buio regnava tutto attorno a questo posto illuminato. Uomini e donne con abiti variopinti erano all'interno di esso e sembravano contenti di essere li. Lo spettacolo che si vedeva dall'alto era così bello che Pix sorvolò sullo stadio per tante e tante volte. “Che bello, che bei colori e come mi sento bene, mi piace questo modo che hanno gli umani di stare assieme!” a quel punto volle sapere tutto sul calcio ed in pochi minuti seppe tutto quel che c'era da sapere sul calcio dal suo computer e poi si mise in contatto con suo padre e gli comunicò: “ Papà ti devo dire una cosa che forse ti darà qualche preoccupazione, ma che per me è importante. Avevo intenzione di ripartire subito, ma non ci riesco. Il desiderio di scendere dalla navicella è più forte di ogni altra cosa. Ho deciso di fare conoscenza diretta con gli uomini. La loro vita è meno monotona della nostra, e vorrei soprattutto conoscere quello che tutti gli Uomini amano fare: giocare a calcio! Sono sicuro che se riuscirò a conoscere meglio gli uomini migliorerò la nostra esistenza.” Papà e mamma Afax ne discussero ma alla fine decisero che Pix dovesse rimanere. Il padre alla fine fece questa osservazione: “se Pix desidera tanto rimanere vuol dire che ne vale la pena. E poi sai cosa ti dico?(disse a sua moglie) Questo calcio comincia a incuriosire anche me, non vedo l'ora di vedere alcuni filmati che il nostro figliolo ci porterà!” La mamma replicò dicendo: “spero che Pix torni presto e speriamo che questo calcio possa essere qualcosa che ci rallegri e ci renda la vita meno monotona!”
In un angolo remoto della via Lattea viveva, su un pianeta dal nome esotico: Terrax, illuminato dalla stella Solex, un popolo molto evoluto. Questo popolo era composto da più di un miliardo di esseri fluorescenti che, grazie alla loro formidabile intelligenza, erano riusciti a creare e a conservare un ambiente meraviglioso e ideale per la loro esistenza. Erano arrivati addirittura a pensare che la conservazione del loro pianeta dovesse passare dal fatto che nessuno doveva viverci sul pianeta. Così tutti gli abitanti di Terrax vivevano su navicelle spaziali orbitanti attorno al pianeta stesso. Tanto era bello il loro pianeta tanto erano tristi i Terraxani!
La famiglia Alfax, formata da papà, mamma e il giovane Pix, abitava in una comoda residenza volante che orbitava a duecento chilometri da Terrax. La vista che si godeva dal grande oblò della cucina era meravigliosa: si vedeva addirittura tutto il sistema solare. Sin da piccolo, quando la sera il papà gli raccontava di mondi lontani, Pix gli chiedeva sempre la stessa cosa: “papà parlami del sole e del suo pianeta piu bello: la terra!” Il padre gli spiegava che il Sole, con il suo fortissimo calore permetteva sul pianeta Terra, solo su di essa, l'esistenza di esseri viventi chiamati uomini che dominavano il pianeta. Questi lavoravano sul pianeta, si muovevano sul pianeta insomma facevano tutto sul loro pianeta! Pix, sognando ad occhi aperti, diceva: “un giorno costruirò una navicella spaziale e andrò a trovare gli uomini!” dopo di che si addormentava e sognava la Terra e gli Umani. Il tempo passava e il piccolo Pix cresceva e le sue giornate erano dedicate a progettare un veivolo in grado di affrontare il viaggio interplanetario. La mamma e il papà erano un po' preoccupati per questa strana volontà del loro amato figliolo e si chiedevano cosa mai avesse voluto più di quanto aveva. Perchè in lui c'era questa voglia di conoscere questo pianeta piccolo e sconosciuto?
Ma arrivò il giorno della partenza: Pix salutò i genitori e i parenti e sicuro del successo del suo viaggio partì. In pochi giorni attraversò lo spazio infinito che per anni aveva osservato dal grande oblò della cucina di casa, stava per entrare nel sistema solare. La rotta che aveva programmato con il padre lo portò vicino alla Luna, e a quel punto Pix puntò verso la direzione voluta: la Terra!
Più si avvicinava ad esso più gli sembrava bello e invitante. Quando era ormai vicino, notò che la superficie presentava grandi macchie di colore blu e altre di colore verde e altre ancora di colore marrone. Ne scelse una vi si avvicinò e atterrò comodamente. Il paesaggio era meraviglioso. Alti Alberi si alternavano ad ampie radure. L'azzurro del cielo faceva da cornice a quelle splendide immagini. Pix scrutò a fondo l'ambiente per trovare tracce di Umani. Finalmente li trovò! Erano tutti in un grande “catino” che saltavano, urlavano e si muovevano a un ritmo frenetico. Nel mezzo del catino c'erano degli altri Umani che rincorrevano un oggetto rimbalzante e sbuffando e correndo cercavano di conquistarlo e colpirlo. Rapito da ciò che vedeva, Pix si era dimenticato di essere a bordo del disco volante, in collegamento con suo padre. Quando se ne rese conto, gli manifestò il suo entusiasmo: “il pianeta è meraviglioso, vorrei che tu fossi qui, tra poco partirò e mi dirigerò verso oriente” comunicò riaccendendo i reattori. Quando pensò di essersi spostato a sufficienza, Pix decise di atterrare. Scelse un posto appartato. Il luogo era molto diverso dal precedente. Vi erano infatti grandi costruzioni dal tetto dorato e dalle facciate colorate ma anche lì trovo: “il grande catino” pieno di umani urlanti e agitati che si entusiasmavano nel vedere altri Umani rincorrere sempre lo stesso attrezzo che Pix lesse sul monitor del computer di bordo chiamarsi Palla. Decise di spostarsi ancora più ad oriente e presto arrivò in un altro paese dove notò che gli umani di quella parte della terra aveva il colore della pelle più chiaro rispetto a quella degli uomini che aveva visto in precedenza. I loro volti incorniciati da capelli lisci e nerissimi, erano illuminati da occhi scuri e sottili. Anche lì Pix trovò lo stesso “catino” che finalmente sapeva come lo chiamavano gli umani: STADIO, e quello che facevano i gli umani dentro allo stadio era quello di assistere ad una partita di CALCIO! Si convinse definitivamente che quella dovesse essere l'attività preferita degli Umani quando dirigendosi a sud trovò anche lì uno Stadio con gente che incitava a squarciagola i praticanti del Calcio. Prima di tornare dai suoi cari, Pix voleva visitare un posto che gli Umani chiamavano Europa. Sorvolò verdissime vallate, dove ogni tanto sorgeva un vecchio castello e anche li trovò uno stadio era notte e il buio regnava tutto attorno a questo posto illuminato. Uomini e donne con abiti variopinti erano all'interno di esso e sembravano contenti di essere li. Lo spettacolo che si vedeva dall'alto era così bello che Pix sorvolò sullo stadio per tante e tante volte. “Che bello, che bei colori e come mi sento bene, mi piace questo modo che hanno gli umani di stare assieme!” a quel punto volle sapere tutto sul calcio ed in pochi minuti seppe tutto quel che c'era da sapere sul calcio dal suo computer e poi si mise in contatto con suo padre e gli comunicò: “ Papà ti devo dire una cosa che forse ti darà qualche preoccupazione, ma che per me è importante. Avevo intenzione di ripartire subito, ma non ci riesco. Il desiderio di scendere dalla navicella è più forte di ogni altra cosa. Ho deciso di fare conoscenza diretta con gli uomini. La loro vita è meno monotona della nostra, e vorrei soprattutto conoscere quello che tutti gli Uomini amano fare: giocare a calcio! Sono sicuro che se riuscirò a conoscere meglio gli uomini migliorerò la nostra esistenza.” Papà e mamma Afax ne discussero ma alla fine decisero che Pix dovesse rimanere. Il padre alla fine fece questa osservazione: “se Pix desidera tanto rimanere vuol dire che ne vale la pena. E poi sai cosa ti dico?(disse a sua moglie) Questo calcio comincia a incuriosire anche me, non vedo l'ora di vedere alcuni filmati che il nostro figliolo ci porterà!” La mamma replicò dicendo: “spero che Pix torni presto e speriamo che questo calcio possa essere qualcosa che ci rallegri e ci renda la vita meno monotona!”
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